Un giorno in regalo
Mi è bastato rovistare per
poco nella memoria per ritrovarvi tanti dei tuoi doni; ho preso così il primo che
mi è tornato in mente: quello particolare di una passeggiata campagnola che si perde nel
ricordo di una
infanzia lontana; esso rappresenta un momento alquanto emblematico tra quelli che hai
saputo spaziare
fuori dal ristretto del nostro vissuto quotidiano.
"Santa Bruna, sabato prossimo andremo a Santa Bruna, presso il casale del sor Italo
!".
E' bastato che sussurrassi appena la proposta, che un consistente drappello di pargoli ti
circondasse entusiasta.
Per me non fu facile ottenere il benestare dei genitori: la località era
"lontana", non era del tutto esente
da pericoli, ma tu eri la certezza fugatrice di ogni titubanza e riuscii quella volta a
strappare il consenso
desiderato.
L'eccitazione per questa
avventura, per la scoperta di una nuova meta, immaginata spesso nella fantasia
ascoltando
i discorsi dei contadini che là si recavano per qualche giornata lavorativa, fece sì che
fossi tra
i primi ad attenderti davanti al portico della chiesa.
Era una mattina di agosto, per evitare la calura partimmo abbastanza presto; eravamo circa
cinquanta ragazzi di età compresa tra i miei otto anni ed i tredici, in marcia verso la Mossa e tu,
davanti a tutti, con
gli immancabili occhiali scuri.
Ora che ci penso, me li
ricordo sempre della stessa forma, chissà se li avrai mai cambiati !
Solo dopo aver superato i grandi olmi e la lunga fila dei cipressi del Poggiolo, ebbi la
sensazione di aver lasciato il paese; la strada si fece polverosa, delimitata da grandi siepi di more con le
fronde spinose che trattenevano ancora steli di paglia sfilati dai carri transitati
carichi di gregne della recente trebbiatura.
Vi fu una breve sosta presso la fontana del Fosso di Agliano, ancora così ricca di
rigogliosa vegetazione
da lasciar filtrare solo qualche esile raggio di sole.
Alcune bucce di pomodoro disseminate qua e là lasciavano supporre una recente panzanella,
frugale e consueto ristoro della fatica estiva dei campi.
Si proseguì con la salita
verso il casale Mariani e l'attraversamento della provinciale per Gallese.
Non vi fu certo bisogno che tu dicessi di stare attenti alle macchine, anzi, in quel
momento, nonostante
un voluto rallentamento del gruppo per salutare qualcuno in transito, non ne passò
alcuna.
Quindi la discesa verso i ruderi dell'abitato di Santa Bruna ancora resistenti all'usura
del tempo ed alla furia distruttrice degli uomini, con la chiesa abitata da una famiglia di coloni, la
solitaria torre, il tratto di
strada selciata che dicevi essere parte della via Amerina ed il ponte romano sul fosso con
le arcate ancora intatte dalla corrosione del tempo.
In prossimità del casale di
destinazione, Luigina, la moglie del proprietario, ci venne incontro raggiante,
ma un po' preoccupata per il nutrito numero di ospiti, senz'altro superiore a quello
atteso; si scusò perché
il marito non fosse ad attenderci dato l'irrinunciabile impegno nella gestione degli
operai in preparazione del
noccioleto per il raccolto imminente.
Più in disparte, il grande pentolone, che le suore utilizzavano presso l'asilo, aveva
interrotto la sua estiva
inattività ed era già pronto sul poderoso treppiedi.
Una breve sosta per un sorso d'acqua e poi cominciammo a scendere giù per la valle, dalla
parte opposta
alla quale eravamo venuti: era in programma un bagno in località fosso dell'Acqua Santa.
Ci raccomandasti di stare
uniti e di avvicinarsi con cautela alla diga di sbarramento.
Non so quanto in realtà fosse grande il fosso, ricordo solo che a me dovette sembrare un
fiume, tanta era
l'emozione.
Ci spogliammo rimanendo in mutande che, al contatto con l'acqua, si appiccicavano alla
pelle, lasciando
trasparire in qualcuno, schernito ma nello stesso tempo oggetto di curiosità, i segni di
una pubertà precoce.
L'altezza dell'acqua in
prossimità dell'imbocco della diga, limite oltre il quale ci fu severamente impedito di
andare, arrivava al massimo all'altezza del bacino.
A gruppi di cinque o sei tenendoci a braccetto l'uno con l'altro, ci divertimmo
scorrazzando con lunghe
corse nel breve tratto rettilineo del fosso in accesso alla diga, investendo e schizzando
quanti erano intenzionati a prendersi un tranquillo bagno.
Qualcuno di noi capace di nuotare, sotto il tuo occhio attento e fulmineo ad ogni
trasgressione, si immerse nella diga ed io, dal bordo, con invidia osservavo, non ricordo chi di noi che, con la
maschera subacquea, si avvicinò alla chiusa della diga aggiungendo delle zolle di terra nei punti
dove vi era qualche
cenno di perdita: ai miei occhi sembrò un marziano che nuotava nel mare lunare.
Mezzogiorno era già
trascorso quando cominciammo a risalire lungo il viottolo tra piante di nocciole che,
esposte a sud in un terreno arido, cominciavano a far cadere i primi frutti, sintomatico
segno di una precoce decadenza autunnale.
Ci seguì fino al casolare la somarella del compare Peppe (Giuseppe Fabiani), con due
piccole botti riempite
d'acqua potabile presso la fontana che sgorgava all'interno di una grotta sulla mezza
costa.
Quando arrivammo il caldo era notevole, ci sedemmo nella parte nord del casale sotto una
tettoia, dove,
su tavolacci di legno, era stata imbandita la mensa con le stesse posate che ricordavo di
aver usato allo
asilo infantile.
Sempre premuroso ed impeccabile nell'organizzazione di ogni cosa, avevi già pensato a
predisporre il tutto
nei giorni precedenti.
Dopo le schermaglie
nell'acqua, seminascosti dietro le piante delle nocciole, avevamo indossato i soli pantaloni, infilando nelle tasche le mutande strizzate ed arrotolate e, prima di metterci a
tavola, ingombranti
come erano e dato che avevano già bagnato abbastanza, le stendemmo ad asciugare al sole
sul filo di
ferro teso tra due robusti pali al limitare dell'aia, dove la strada cominciava a scendere
verso la valle.
Dopo esserti assicurato che
ognuno avesse avuto il proprio pasto e recitato l'immancabile preghiera di ringraziamento, forse già durante la stessa, mentre volgevi lo sguardo orante dalla tavola
verso l'alto, solo
allora ti accorgesti della lunga fila di braghe.
Una delle tue battute, che certo non mancavano di franchezza e spontaneità,
sull'eventuale squarcio di
qualche pantalone, fece sì che cominciassimo il pasto con una fragorosa risata.
Gli squarci nei pantaloni erano frequenti sia per la stoffa lacera dei continui lavaggi,
sia per le numerose
toppe che qualcuno di noi ancora portava nella più assoluta naturalezza.
Con il volto rubicondo e sudato, la tonaca impolverata e chiusa dalla lunga fila di
bottoni che in quel momento solo i giocatori di "buchetta" potevano invidiare, ti sedesti accanto a
Luigina e, a quel punto non
so chi dei due fosse più soddisfatto.
L'età e la stanchezza
fecero sì che il semplice pasto fosse alquanto gradito.
Per quel giorno particolare mangiarono con noi anche gli operai addetti ai lavori
agricoli, che in genere consumavano sul campo il pasto che si portavano avvolto nel fagotto di panno dai grandi
quadrati azzurri.
Una leggera brezza pomeridiana rendeva piacevole lo sguardo sui lontani monti della Sabina
che dal ciglio
del colle sembravano molto più vicini di quanto in realtà non fossero; la spoglia
vegetazione circostante
lasciava intravvedere, ben visibile giù in basso, Magliano, mentre più prossimi verso
l'alto gli abitati di Corchiano a destra e di Gallese a sinistra, ben circoscritti ancora attorno all'antico nucleo
urbano.
Il riposo pomeridiano sotto
l'ombra ci ristorò quel tanto che bastava per raccogliere altre energie da spendere in qualche partita di pallone sotto il sole che cominciava il lento declinare.
Del ritorno non voglio aggiungere altro, ma solo immaginare l'incedere del gruppo che,
esausto, ma soddisfatto chissà per quale conquista fatta in quelle ore, entrava trionfante in paese.
Il tuo passo, ancor più gagliardo, lasciava trasparire la fierezza di un nocchiero che,
ancora una volta,
conduceva in porto una navicella di innocenti sognatori nel mare insidioso dell'infanzia.
Voglio ricordarti così, con questo giorno che ci hai voluto e saputo regalare, dilatato
in uno spazio lontano,
sperando che tu ne abbia raccolto, magari per caso, la gratitudine
ed il meritato premio.
Antonino Scarelli
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