Una voce d'oltreoceano
Tra grandi e dolci ricordi,
restano di don Mario alcune reminiscenze ancora fresche ed indelebili nella mia
mente.
Riassumerle non è facile, anche perché con lui ogni giornata era serena e positiva, a
cominciare dal servizio ministeriale quotidiano, fatto di zelo, di facezia e di effervescente vigore.
Così, negli anni, entrò nel cuore di tutti; capiva la gente e la gente lo amava.
Aveva sempre una parola di sollievo e di conforto per tutti, con frasi semplici e, qualche
volta, in forma
umoristica alla Bassanellese, ma colpiva sempre nel segno.
Don Mario si poteva definire "Un prete moderno" sempre
in linea con le spinte ecclesiastiche.
Un giorno mi mostrò
un'agenda con i suoi introiti e spese; tra le righe vi erano somme di 50-60.000 lire
che lui spediva regolarmente ai bimbi del Terzo Mondo; anche quelli erano suoi risparmi.
Mi spiegava, che con i ragazzi aveva una sua tattica particolare: "Gioco a
pallone con loro, arbitro
qualche partita, finita la quale me vengono dereto sill'acchiesa ! Mi
diceva: "Se i ragazzi crescono
bene, un domani saranno buoni cittadini !".
La sua opera miliare che
rimarrà inconfutabile a tutti, resta la costruzione della nuova scuola materna
"Gesù Salvatore".
A dispetto di eruditi, parolai e politicanti che non mossero un dito, Don Mario, con
l'aiuto di Dio, del paese, della Provincia e perché no dei suoi risparmi, realizzò questo sogno che aveva già
da tempo: lo fece
disinteressatamente, ma con grande orgoglio per Vasanello e
si rammaricava sempre di non aver fatto di
più e meglio.
Investiva i suoi risparmi
nei giovani, non in banca o in borsa, ma in coloro che domani sarebbero stati buoni cittadini ! Era il nostro Don Bosco. Mi ripeteva spesso: "Sono
nato povero e morirò povero, basta la
salute". Don Mario era così.
Amato da i munelli, stimato
dai giovani, apprezzato dalla gente comune, rispettato da chi aveva divergenti ideologie politiche; sempre buono, gentile, un signore con
tutti, ma anche risoluto con polso d'acciaio.
Raramente dava un giudizio personale su altri, ma quando era d'obbligo, non la prendeva
alla larga e senza tanti preamboli.
Non era certamente un Don Abbondio ! Un giorno gli domandai scherzando: "Don
Ma', pensi che un giorno arriverà dalla Santa Sede la chiamata per la tua elevazione a Vescovo ?"
e lui scherzosamente
rispose: "Ma nun ce penso nemmeno ! In Diocesi ce stanno tanti mejo de me...
E poi stajo tanto
bene decchì a Bassanello, e che voi da Dio Benedetto ?".
Era tanto contento di stare con suoi parrocchiani, non aveva altre presunzioni.
Pur con profonde conoscenze
letterarie, quotava spesso veri autori latini, spiegava ogni concetto sempre
con parole alla portata dell'interlocutore che aveva dinanzi; mai parlava in semantico o e
con parole altisonanti, se talvolta lo faceva, era per riderci sopra.
In un paio d'ore di seria conversazione con lui, s'imparava di più che in una settimana
sui libri.
Posso giurare d'aver inteso molte persone, tra l'Italia e gli Stati Uniti, ribadire questo
concetto.
Ai primi degli anni '60 decise di visitare gli Stati Uniti, dato che aveva la zia Maria,
suora Passionista, nel
convento di Carrik Pa. che non aveva mai conosciuta e, nello stesso tempo, rivedere
emigrati bassanellesi
che sparsi qua e là vivevano da anni negli USA.
Un'avventura non facile, ma nei viaggi successivi li rivide tutti con le loro famiglie ed
amici.
- Con Livio Pesci in
Carnagie PA -
Nell'apprendere la notizia
del primo viaggio, gioii immensamente; erano più di 15 anni che non ci vedevamo
ed ebbi l'onore di averlo ospite sempre a casa mia.
I viaggi e gli itinerari con lui sono stati tanti.
Tra i più salienti quello con il nostro amico cicerone Antonio Terezza, che a quei tempi
viveva con la famiglia a New York, la città degli italiani (Quasi 500 mila).
Incominciammo da Brooklin,
percorremmo Manatthan, Rockefeller Center, la 5a Avenue per vedere i grandi
negozi Lord e Taylor con le Ceramiche di Vasanello lì in vendita.
Visitammo la cattedrale di S. Patrizio, Broadway, Central Park e salimmo sulla Statua
della Libertà.
Vedendo per strada qualche persona un po' eccentrica nel vestire, e già a quei tempi ve
ne erano tante,
don Mario spesso se ne usciva con una delle sue, come: "Oh che mello !"
Erano altri tempi: la
città, pur sempre frenetica, sembrava più pulita (La Grande Mela non era ancora marcia), la gente più umana; in più Antonio ed io, a fianco di un uomo di Dio, ci sentivamo
più sicuri.
Nei viaggi successivi, con la mia famiglia, prendemmo a noleggio un pulmino per la volta
di Washington.
Per lui fu una cosa meravigliosa vedere di persona l'interno del Congresso e Senato in
Capitol Hill, il palazzo della Zecca dove sfornano i biglietti verdi, la Embassy Row, il lungo viale dove
risiedono quasi tutte le
Ambasciate e fummo contenti di vedere il tricolore sulla nostra maestosa Ambasciata
Italiana.
A Philadelphia visitammo
l'Indipendence Hall, dove nacque la Costituzione Americana; don Mario era avido
di conoscere e vedere il più possibile; una maratona al giorno, con bellissime vedute che
definiva "da cartolina" e con tante, tante risate.......
La visita al monumento dei caduti dell'ignobile guerra del Vietnam, fu un'esperienza
tristemente suggestiva.
La persona che guarda il gran muro di marmo nero e osserva la lunga lista dei deceduti,
vede riflesso il suo
volto come in uno specchio "Tutti furono colpevoli di quelle atrocità".
Notai che don Mario ne rimase
molto colpito.
Arrivammo ad Arlington per
la visita alla tomba del Milite Ignoto e quella di John F. Kennedy.
Di ritorno avevamo programmato il tour della Casa Bianca; qui successe l'imprevisto,
dimenticammo che
quel giorno era domenica (Unico giorno di chiusura): ricordo bene, che con un po' di
rammarico don Mario
disse: "Mannaggia i billi, mo' che ce stavamo...".
La visita alle Cascate del
Niagara ed a Toronto resta una giornata memorabile e lui ne parlò per molto tempo; nel pullman, come sempre, era l'animatore, cantando quelle canzoni che facevano
riscoprire la nostra
italianità.
Più ci avvicinavamo a Niagara, più aumentava il rombo dell'acqua; la prima veduta da
mozzafiato: sopra
l'acqua spumeggiante, risplendevano contro il cielo blu i sette colori dell'iride;
attraversammo i sotterranei
con il boato impressionante sopra di noi; uscimmo all'aperto dall'altro lato; prendendo il
battello che ci
portò a pochi metri sotto il getto ruggente della Cascata, con un po' di strizza per
tutti.
Il pranzo fu caratteristico: eravamo sulla Skylon, il grande ristorante impercettibilmente
girevole, da cui
nel giro completo di un'ora si gode la magnifica veduta delle Cascate dall'alto.
Per la cena della sera erano illuminate da scenografia teatrale con vive luci di
differenti colori. E don Mario
continuava a ripetere: "Che spettacolo...!".
Non ebbi l'opportunità di
accompagnarlo nel vicino Stato del West Virginia, ospitato dalla famiglia Marks
(Sigismondo Marcucci), parenti ed amici al completo; dopo un paio di giorni ritornò molto
contento dicendomi: "Ho ricevuto un'accoglienza veramente principesca".
Come pure, tutte le volte che andava in aereo da Pittsburgh a Detroit, per visitare Leo
Purchiaroni, parenti e amici, non aveva che parole di lode per l'ospitalità ricevuta.
- Con Sigismondo Marcucci
ed il Figlio Orlando -
Ad ogni viaggio in America
ripeteva sempre: "Gli Italiani di qui sono buona gente, molto ospitali e generosi".
Ma la sua più grande sorpresa era il continuo aumento di amici che lo amavano, con inviti
e visite a non
finire.
In casa mia conobbe Philip Passaro, presto divennero amici, e un paio di settimane dopo lo
definì "l'americano più italiano che abbia mai conosciuto".
Philip, appena aveva tempo disponibile, si prestava a portare don Mario ovunque, per
Pittsburgh e dintorni,
giorno e notte.
Era un veterano autista e conosceva i percorsi della zona come il palmo della sua mano;
tanto che don
Mario lo nomina suo chauffeur ufficiale; un giorno gli disse: "Tutte le volte
che verrai in Italia io farò
ugualmente con te" e così fu.
Ricordo in un week-end
d'estate, zio Angelino Lane (un Lannaioli bassanellese verace) organizzò un picnic
alla grande per complimentare don Mario; credo che tra i figli, nipoti, parenti e numerosi
amici, lì a Carnegie Park, i partecipanti saranno stati un centinaio e più; fu una riunione cordiale e di
sapore familiare.
I pasti del giorno a cominciare dalla prima colazione con svariate qualità e quantità di
cibi, un vero mega
party.
Nel dopo merenda, lì al campo sportivo giovanile del parco, alcuni incominciarono una
partita amichevole
di baseball, sport preferito dagli americani; don Mario ed io stavamo osservando dalla
tribuna e lui commentava: "Beati loro, da stò sport io nun ce vedo gnente de straordinario,
è un gioco un po' stupidello", dopo una decina di minuti, per rompere la monotonia, qualcuno lo
invitò calorosamente a scendere in campo per esibirsi con loro.
Di poca voglia e timidamente don Mario entrò.
Venne piazzato alla base del
battitore, e qui avvenne un episodio comico-sportivo (Proprio da cineteca),
dalle prime palle che arrivavano, lui ne azzeccava quasi tutte e andando di bene in
meglio, non ne falliva
una; quando disse basta, con una bella risata esultò: "Che prujello, gni
botta 'na tacchia !" con gli applausi e le grida di tutti, come ad un Joe Di Maggio.
Fu veramente una bella giornata per tutti.
Ma la persona che qui in
Carnegie si impegnò più di qualsiasi altra, sia per la Chiesa, sia provvedendo per
i viaggi e tutto il resto per don Mario, fu la signora Caterina Tavoletti e famiglia, di
una gentilezza straordinaria.
Don Mario ne ricordò, ringraziò e elogiò costantemente in America e in Italia.
La famiglia Tavoletti lo invitò varie volte a casa, sempre con un menu prettamente
italiano, dall'antipasto,
al dolce e all'espresso.
Ma una sera fu classica.
Nella sala da pranzo vi erano più di venticinque invitati, tra parenti ed amici dei
Tavoletti.
Alcuni raccontavano barzellette italiane, altri americane; e dato che vi erano in giro per
la tavola bicchieri
di buon vino, l'euforia era in tutti; fu una cosa logica che tutti incominciassero a
cantare in coro canzoni
nostalgiche del passato ben note a tutti gli emigranti e oriundi
italiani.
Naturalmente don Mario non
si fece pregare due volte.
Da "Terra straniera", "La romanina",
"O sole mio", "Luna rossa", "O
surdato 'namurato".
Quando don Mario intonò "Moretto, moretto..." fu sorpreso che
fosse ben nota e tutti lo seguirono in
coro.
Mi disse: "Oh come je dajo ! Ma che bardella !"
Si continuò ancora per molto.
E come da un copione dei vecchi films di don Peppone e don Camillo, ad un certo punto,
qualcuno ebbe la
felice idea d'intonare "Bandiera rossa": io che mi trovavo alla
destra di don Mario, rimasi incollato freddo
sulla sedia, non prevedendo la reazione; invece cantò a voce alta come tutti.
Finito l'inno, alzò la mano per un attimo di pausa e con l'indice destro puntato in alto
sempre con il suo
pieno sorriso: "Però aricordateve, che io nun so de sto colore"
subito vi fu uno scroscio di applausi e
grida: "Bene ! Bene ! Bravo !".
La signora Tavoletti, con
una mente ancora lucida ed energica alla bella età di 89 anni, ricorda sempre
con ammirazione il buon don Mario, ridendo con ilarità di quell'episodio dell'afosa
serata di luglio del 1981.
Ricordo come oggi, quando don Mario rimase incantato, quasi estasiato, nell'incontrare
gente anziana di
Carnegie Pa. che avevano conosciuto e lavorato insieme a suo padre Giovanni
nell'acciaieria di qui la "Superior Steel-Capperweld".
Aveva le lacrime agli occhi nel sentire reminiscenze della vita giornaliera di suo padre
in quei tempi della
fine dell'ottocento, con aneddoti umoristici (A Carnegie e dintorni vi erano una ventina
di bassanellesi o
del viterbese).
Don Mario, come sempre, bombardava tutti di domande, avido di sapere tutto.
L'idea del padre era di lavorare duro un paio d'anni, mettere da parte un gruzzolo di
dollari, ritornare alla
aria paesana e con i suoi.
Effettivamente così fece.
Fui presente più di tre
volte, quando la comunità italiana, gente altolocata e facoltosa di qui, gli chiese
seriamente, se avesse avuto intenzione di trasferirsi per sempre qui nella chiesa della
parrocchia italiana
Holy Souls, (Forse in una maniera un po' ingenua e puerile, ma con buone e ferventi
intenzioni).
Avevano intuito di che caratura era il valore del nostro don Mario.
"Qui abbiamo bisogno di un parroco italiano come te !".
L'ultimo parroco italiano fu don Ercole Dominici di Frosinone che morì nel 1958.
"Noi ci preoccupiamo di tutte le pratiche con la chiesa e visto di residenza
permanente".
Don Mario non tardò molto a
rispondere: "Non posso abbandonare la mia parrocchia che io amo; la
scuola che ho tirato su; la casa dove vivo e sono nato; non posso lasciare
Bassanello" ed io aggiunsi: ...E i trujone ! E loro di nuovo: "Qui starai bene
finanziariamente; non ti mancherà nulla; sarai in una posizione agiata; qui la gente ti vuole...".
La risposta di don Mario con un sorriso: "Proprio non posso; mi
dispiace; ma è impossibile; dal mio
paese pregherò per voi - vivere nel cuore di chi vive" e così "Roma
locuta, causa finita" (questa
però è mia).
Con il tempo, don Mario strinse amicizia con il parroco padre Paluse; e un giorno, la
conversazione cadde
sulla questua della Messa domenicale; quando don Mario sentì la cifra, rispose con una
risata da opera
buffa: "E' propio vero che ill'americani so' capitalisti, a me, là dà S.
Maria, me ce vo quasi tutto
ill'anno pe' fa la stessa quota. Alleluja !".
Come sempre, intorno a lui come una magica calamita, c'era un gruppo di cinque, sei
persone, il miglior
catalizzatore che abbia conosciuto.
Quando qualcuno propose e
mise nell'aria la parola "Las Vegas"; don Mario disse: "Io
sto in vacanza e
so' sempre pronto". Chiamai zio Memmo Purchiaroni a Sun City AZ per un
consiglio sul da fare ed all'altro
capo del telefono a più di 3000 Km: "Fateme sapé quanno partite che ve
spetto dill'aroporto a braccia ruperte !".
Due giorni dopo, e quasi cinque ore di volo, Memmo e Jenny erano ad accoglierci
all'aeroporto.
Ci fermammo un paio di giorni, girando con Memmo questa città del Sole: veramente una
incantevole città
modello, con belle costruzioni e case attraenti; chiese di ogni ramo
religioso; edifici ricreativi, d'arte, danza, cine, teatri, piscine, campi da golf, tutto moderno, eccetto gli abitanti della
città.
E' una città dove vivono solo persone in pensione che vi arrivano da tutti gli altri 49
Stati.
Le persone under 55 anni non possono abitarvi.
I giovani impiegati nei supermercati, ristoranti, o altre attività, finito il loro lavoro
ritornano nelle rispettive
dimore fuori città.
Ovviamente a Sun City non
esiste malavita, delinquenza e crimine e non esiste città pulita come questa.
Don Mario ne rimase molto impressionato: durante la nostra sosta non abbiamo incontrato
nessun poliziotto; gli anziani sono svelti e vigorosi, non decrepiti, camminano contenti e spensierati,
spesso circolano con
piccole auto elettriche per andare a giocare a tennis o golf.
Gli unici giovani che vedi in giro sono in vacanza per visitare i nonni o i parenti.
Questa città era una novità anche per me; con don Mario scambiammo le nostre idee e lui
così commentò: "La temperatura è ideale tutto l'anno, la gente vive tranquilla, ma mancano
le risate e li strilli di
munelli, sembra che manca la vita, non so se ci potrei vivere senza la gioventù".
Una mattina si partì per
Las Vegas, città fantasmagorica e dei sogni.
Grazie a zio Memmo e il suo
macchinone Ford incominciammo ad attraversare il famigerato deserto dell'Arizona; usciti da un'ora dalla città e già non incontri nessun'auto, nessuna persona,
nessun volatile.
La vita sembra sparita, non v'è che deserto; è come stare sulla luna.
Uscimmo per cinque minuti dall'auto, per sgranchire un po' le gambe e scattare qualche
foto.
Don Mario esclamò quasi subito: "Jamo, sto callo t'allucca !"
era un caldo infernale, ma secco, con il
sole cocente sul capo.
Ritornammo al gradevole fresco dell'aria condizionata in auto, ascoltando cassette di
Claudio Villa, Modugno, e via ancora per il deserto.
A pochi Km. da Flagstaff,
incontrammo un elegante ristorante francese; come un'oasi nel deserto snervante; erano le 13.00 passate ed incominciavamo ad avere le traveggole, e all'unisono fu: "Meno
male
che decchì se magna bene !".
Pernottammo confortevolmente fuori città, cadendo in un profondo sonno.
Eravamo quasi a mezza strada, il paesaggio e la vegetazione stavano cambiando: vedendo
montagne caratteristiche, multicolori, alcune a guglie, altre a plateau; don Mario guardava
estasiato, arrivando così
alla veduta "mozzafiato" del Grand Canyon; è stato come
ritornare a diecimila anni fa, una cosa indescrivibile !
Vedevamo entrambi per la
prima volta quello spettacolo, quella visione così imponente. Don Mario disse:
"Sembra di stare con Dio".
Restando tre giorni in Arizona, sempre in giro con zio Memmo; aveva canticchiato, o
sottovoce, o forte,
ma ennesime volte: "Laggiù nell'Arizona..." con qualche
intervallo di: "S'è rotto i disco, ma è una
gran bella canzone".
Era sull'imbrunire ed a meno di 30 Km da Las Vegas già s'intravvedevano lontano le grandi
lettere stravaganti e multicolori al neon.
Finalmente arrivammo nel cuore della città.
Tutto sembrava faraonico e irreale ! Las Vegas è più attraente di notte, che di giorno;
brulicante di gente
da un casinò all'altro per giocare
tutto ciò che ha in tasca.
La prima cosa che don Mario notò, fu che camminando per strada con quel caldo così umido
e pesante, le
scarpe s'affondavano leggermente sul molle catrame, quindi non avevi altra alternativa che
entrare in
qualche casinò al fresco con aria condizionata e giocare, e giocare confortevolmente
fresco, con drinks
gratis di tuo gusto, serviti da hostess a tutti coloro che giocano a qualsiasi macchina o
tavolo.
La nostra guida, Renato, era residente da più di vent'anni a Vegas, essendo esperto
croupié sui tappeti
verdi.
Visitammo quasi tutti i più importanti casinò tra i quali Excalibur, San Remo, Flamingo,
il Barbary Coast
(Famoso per i pronostici sportivi), con le loro linee architettoniche esterne grandiose e
stravaganti, ma
all'interno tutti uguali con gente frenetica ai tavoli da gioco.
Quelli più spettacolari che colpirono don Mario furono il Cesar Palace, con
l'architettura della Roma Imperiale, sia all'esterno che interno, con costruzioni e colonnati maestosi ed hostess in
tuniche romane, ed il
Mirage, il più moderno e costoso; con grandi giochi di luce e straordinari effetti
speciali, con eruzioni vulcaniche, fuoco e fiumi di lava incredibilmente reali; ad ogni ora della notte uno show
gratis all'aperto; don
Mario rimase letteralmente a bocca aperta e commentò: "Che fiara !".
La visita all'Imperial
Palace fu molto interessante ed istruttivo, con l'enorme museo storico delle auto degli
anni passati, originali e smaglianti come all'epoca.
Dalla prima auto di Henry Ford, a quella lussuosa di Caruso, alla limousine di Al Capone,
alle auto private
dei presidenti Roosevelt, Truman, Eisenhower, all'auto del corteo dove venne ucciso John
F. Kennedy; le
auto papali di Paolo VI e Giovanni XXIII, fino alla Giulietta sport che Mussolini regalò
alla Petacci, e l'auto
ultrablindata di Hitler; e
così tante altre appartenute a
personaggi famosi, fino alla nostra Vespa e Lambretta.
Don Mario guardava e continuava a ripetere: "Che auto, che meraviglie".
Il Golden Nugget merita
d'essere visitato per la pepita d'oro più grande del mondo, è di vari Kg, lasciata
così tra la pietra, come originalmente venne trovata in una miniera del Sud Africa; è in
mostra permanente sotto il vetro infrangibile.
Come pure è in mostra, su un gran tabellone appeso al muro, un milione, 1000 biglietti da
1000 dollari, la
gente sfila davanti, ad occhi spalancati e sognanti; già stanno al verde, hanno perso
tutto, o quasi, ma
continuano a sognare il milione; sfilano per passare al ristorante del
casinò, a mezzanotte servono la cena
a prezzo speciale "bistecca ai ferri e champagne per solo due dollari".
Una sera, per non essere da meno degli altri turisti, volle provare una slotmachine anche
lui: "So giocà
solo un po' a briscola, scopone e tre sette, ste macchine nun le conosco".
Dissi "Metti un 25 cents, abbassa la leva e vedi che esce".
Giocò solo 25 cents la puntata per passatempo più che divertimento; s'era entusiasmato e si stava divertendo: "Si
pijo le tre cerasa, je pagamo
le nocchie !"
Feci notare a don Mario, come le guardie di sicurezza trasportassero con fredda
indifferenza carrelli colmi
di pacchi di dollari d'ogni taglio, come noi facciamo al supermercato, ma a nessuno
vengono brutte idee,
guardano soltanto e fanno largo a passare.
Come m'ha assicurato un
poliziotto, a Las Vegas la polizia nei casinò non fa tante cerimonie, processa per
direttissima "Spara e uccide !"
Vedendo così tanto denaro, don Mario disse semplicemente: "E' sterco di
Satana - pensa a la salute".
E sì basta la salute era il suo ritornello.
L'esperienza di Las Vegas, la città che non dorme mai, che non ha orologi, in cui le ore
del giorno non
hanno nessun valore; dove la gente di tutto il mondo viene a giocare tutta la notte, e 99
volte su 100 ritorna a casa per incominciare di nuovo da zero; lasciò una forte impressione a don Mario.
Ritornando a casa, scambiavamo varie idee su questa città irreale, da "Mille
e una notte"; entrambi arrivammo alla stessa conclusione: "Sic transit...".
Fu una settimana umoristica, diversa, ma senza illusioni da pascere.
Gli dissi che per il suo
prossimo viaggio avrei programmato altri itinerari interessanti, aggiungendo che:
"Se campa 'na vorda sola e pure male" lui non dimenticò di
aggiungere: "Se Dio vuole...". Purtroppo,
Las Vegas, fu il suo ultimo viaggio in America.
Mi chiamava "Zio" e "O' King",
mentre lui era il vero zio di tutti e il King per eccellenza.
Gli dissi che se continuava così, in poco tempo avrebbe imparato a parlare inglese meglio
di me - e lui: "Ma nun me fa ride, si me faccio capì, per me m'abbasta e m'avanza".
Tutti sanno come guidava don Mario e spesso lo lasciavamo guidare; un giorno "Il
grande Remo Trombetta" come lui lo chiamava, gli diede le chiavi dell'auto per raggiungere
l'aeroporto (ritornava in Italia);
guidò come se fosse a Monza, e ridendo di tutti coloro che arrivarono 5-10 minuti dopo: "Ete
visto come
cureo, passao tutti", però mi sembrò che Remo avesse i capelli un po' più
bianchi !
Tutte le volte che ritornavo in Italia, don Mario era sempre pronto ad accompagnarmi in
macchina; parlavamo per ore e su vari argomenti; quando non parlavamo, cantavamo le nostre canzoni.
Mi diceva: "Vedi, tutte le auto che ho avuto, nun l'ho comprata nessuna con
la radio. La radio so
io, l'accenno quanno me pare, metto le canzoni che vojo, cor tono che dico io e la spegno
io" e
continuava a cantà; perché cuor contento, l'Iddio l'aiuta.
Gente così non muore mai, vive per sempre.
M'immaginavo sempre don Mario ad età avanzata, vecchietto a 90-95 anni e più, con i
capelli imbiancati e
forse un po' leggermente curvo, appoggiato ad un bastone; ma non è stato così.
Quando ritornò a casa dalla clinica, parlai per telefono con lui, e intuii subito che non
era la voce di don
Mario che avevo conosciuto da sempre; si stava spegnendo.
Due settimane dopo arrivai a Fiumicino; chiesi a mio fratello se potevamo andare
direttamente al "Gemelli".
Stabilimmo di andare all'indomani, ma il giorno successivo la triste notizia: Don Mario ci
aveva lasciati, il
fulcro della vita parrocchiale, l'eclettico per eccellenza, il carismatico che trascinava,
qualità innate nel
suo DNA.
So che lui ora è contento perché è in Paradiso; ci guarda con il suo sorriso; amava i
giovani, la gente e la
vita, ma con Dio è meglio.
Era il sacerdote di tutti ed era uno di noi.
Livio Pesci
|
PREFAZIONE |
L'ORNELLO |
UNA STORIA
D'AMORE | BIOGRAFIA FAMIGLIARE |
LA VITA PASTORALE |
Le Sue
Creature
|
LA SCUOLA MATERNA GESU'
SALVATORE
|
IL CINEMA DON BOSCO
|
UNA
DOMENICA ALL'OMBRA DEL CAMPANILE |
|
SAN LANNO, LA NOSTRA FEDE, DON MARIO
|
Così lo
Ricordano
|
UNA SEMINA
| QUALE DOMANI ? |
UN SACERDOTE MODELLO TRA CHIESA E SOCIETA'
| IL PRETE DI TUTTI E PER TUTTI |
| LA RADIO TV DEI "SETTE CAMPANILI"
| UNA PREDICA |
UN NOME, UNA FIGURA, UNA ISTITUZIONE ! |
IL TAMBURINO DEL SEMINARIO
|
| UNA ORDINAZIONE TRA LE MACERIE |
RICORDO DI UN FRANCESCANO |
UNA
CHIAMATA COMUNE |
LA SUA PERLA |
| GUIDARE
LE PIANTE QUANDO SON PICCOLE |
UN GIORNO IN REGALO
| QUANDO MENO TE LO ASPETTAVI... ECCOLO
| IO LO RICORDO COSI' |
|
IN
QUEL DELL'ORTACCIO |
RICORDO D'INFANZIA
| UNA VOCE D'OLTREOCEANO |
UNA
RICORRENZA, UN RICORDO O UNA MEMORIA ? |
| BUSSO' ALLA PORTA... |
UN
INNOVATORE |
UN PRESTITO |
IL SUO PENSIERO PER GLI ALTRI |
A DON MARIO |
Appendice
|
ESTRATTO DEL BATTESIMO DI DON
MARIO
|
OMELIA DI S. E. IL VESCOVO MARCELLO ROSINA AI FUNERALI
|
|
SALUTO DI DON MAURO NELLA MESSA FUNEBRE
|
LETTERA A DON MARIO |
BREVE ESTRATTO DEI TESTI TRASCRITTI PER LA TRASMISSIONE IN
TV |
LE ORIGINI DELLE FAMIGLIE PORRI-SCARELLI
|
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