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Una voce d'oltreoceano

Tra grandi e dolci ricordi, restano di don Mario alcune reminiscenze ancora fresche ed indelebili nella mia mente.

Riassumerle non è facile, anche perché con lui ogni giornata era serena e positiva, a cominciare dal servizio ministeriale quotidiano, fatto di zelo, di facezia e di effervescente vigore.

Così, negli anni, entrò nel cuore di tutti; capiva la gente e la gente lo amava.

Aveva sempre una parola di sollievo e di conforto per tutti, con frasi semplici e, qualche volta, in forma umoristica alla Bassanellese, ma colpiva sempre nel segno.

Don Mario si poteva definire "Un prete moderno" sempre in linea con le spinte ecclesiastiche.

Un giorno mi mostrò un'agenda con i suoi introiti e spese; tra le righe vi erano somme di 50-60.000 lire che lui spediva regolarmente ai bimbi del Terzo Mondo; anche quelli erano suoi risparmi.

Mi spiegava, che con i ragazzi aveva una sua tattica particolare: "Gioco a pallone con loro, arbitro qualche partita, finita la quale me vengono dereto sill'acchiesa ! Mi diceva: "Se i ragazzi crescono bene, un domani saranno buoni cittadini !".

La sua opera miliare che rimarrà inconfutabile a tutti, resta la costruzione della nuova scuola materna "Gesù Salvatore".

A dispetto di eruditi, parolai e politicanti che non mossero un dito, Don Mario, con l'aiuto di Dio, del paese, della Provincia e perché no dei suoi risparmi, realizzò questo sogno che aveva già da tempo: lo fece disinteressatamente, ma con grande orgoglio per Vasanello e si rammaricava sempre di non aver fatto di più e meglio.

Investiva i suoi risparmi nei giovani, non in banca o in borsa, ma in coloro che domani sarebbero stati buoni cittadini ! Era il nostro Don Bosco. Mi ripeteva spesso: "Sono nato povero e morirò povero, basta la salute". Don Mario era così.

Amato da i munelli, stimato dai giovani, apprezzato dalla gente comune, rispettato da chi aveva divergenti ideologie politiche; sempre buono, gentile, un signore con tutti, ma anche risoluto con polso d'acciaio.

Raramente dava un giudizio personale su altri, ma quando era d'obbligo, non la prendeva alla larga e senza tanti preamboli.

Non era certamente un Don Abbondio ! Un giorno gli domandai scherzando: "Don Ma', pensi che un giorno arriverà dalla Santa Sede la chiamata per la tua elevazione a Vescovo ?" e lui scherzosamente rispose: "Ma nun ce penso nemmeno ! In Diocesi ce stanno tanti mejo de me... E poi stajo tanto bene decchì a Bassanello, e che voi da Dio Benedetto ?".

Era tanto contento di stare con suoi parrocchiani, non aveva altre presunzioni.

Pur con profonde conoscenze letterarie, quotava spesso veri autori latini, spiegava ogni concetto sempre con parole alla portata dell'interlocutore che aveva dinanzi; mai parlava in semantico o e con parole altisonanti, se talvolta lo faceva, era per riderci sopra.

In un paio d'ore di seria conversazione con lui, s'imparava di più che in una settimana sui libri.

Posso giurare d'aver inteso molte persone, tra l'Italia e gli Stati Uniti, ribadire questo concetto.

Ai primi degli anni '60 decise di visitare gli Stati Uniti, dato che aveva la zia Maria, suora Passionista, nel convento di Carrik Pa. che non aveva mai conosciuta e, nello stesso tempo, rivedere emigrati bassanellesi che sparsi qua e là vivevano da anni negli USA.

Un'avventura non facile, ma nei viaggi successivi li rivide tutti con le loro famiglie ed amici.

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- Con Livio Pesci in Carnagie PA -

Nell'apprendere la notizia del primo viaggio, gioii immensamente; erano più di 15 anni che non ci vedevamo ed ebbi l'onore di averlo ospite sempre a casa mia.

I viaggi e gli itinerari con lui sono stati tanti.

Tra i più salienti quello con il nostro amico cicerone Antonio Terezza, che a quei tempi viveva con la famiglia a New York, la città degli italiani (Quasi 500 mila).

Incominciammo da Brooklin, percorremmo Manatthan, Rockefeller Center, la 5a Avenue per vedere i grandi negozi Lord e Taylor con le Ceramiche di Vasanello lì in vendita.

Visitammo la cattedrale di S. Patrizio, Broadway, Central Park e salimmo sulla Statua della Libertà.

Vedendo per strada qualche persona un po' eccentrica nel vestire, e già a quei tempi ve ne erano tante, don Mario spesso se ne usciva con una delle sue, come: "Oh che mello !"

Erano altri tempi: la città, pur sempre frenetica, sembrava più pulita (La Grande Mela non era ancora marcia), la gente più umana; in più Antonio ed io, a fianco di un uomo di Dio, ci sentivamo più sicuri.

Nei viaggi successivi, con la mia famiglia, prendemmo a noleggio un pulmino per la volta di Washington.

Per lui fu una cosa meravigliosa vedere di persona l'interno del Congresso e Senato in Capitol Hill, il palazzo della Zecca dove sfornano i biglietti verdi, la Embassy Row, il lungo viale dove risiedono quasi tutte le Ambasciate e fummo contenti di vedere il tricolore sulla nostra maestosa Ambasciata Italiana.

A Philadelphia visitammo l'Indipendence Hall, dove nacque la Costituzione Americana; don Mario era avido di conoscere e vedere il più possibile; una maratona al giorno, con bellissime vedute che definiva "da cartolina" e con tante, tante risate.......

La visita al monumento dei caduti dell'ignobile guerra del Vietnam, fu un'esperienza tristemente suggestiva.

La persona che guarda il gran muro di marmo nero e osserva la lunga lista dei deceduti, vede riflesso il suo volto come in uno specchio "Tutti furono colpevoli di quelle atrocità". Notai che don Mario ne rimase molto colpito.

Arrivammo ad Arlington per la visita alla tomba del Milite Ignoto e quella di John F. Kennedy.

Di ritorno avevamo programmato il tour della Casa Bianca; qui successe l'imprevisto, dimenticammo che quel giorno era domenica (Unico giorno di chiusura): ricordo bene, che con un po' di rammarico don Mario disse: "Mannaggia i billi, mo' che ce stavamo...".

La visita alle Cascate del Niagara ed a Toronto resta una giornata memorabile e lui ne parlò per molto tempo; nel pullman, come sempre, era l'animatore, cantando quelle canzoni che facevano riscoprire la nostra italianità.

Più ci avvicinavamo a Niagara, più aumentava il rombo dell'acqua; la prima veduta da mozzafiato: sopra l'acqua spumeggiante, risplendevano contro il cielo blu i sette colori dell'iride; attraversammo i sotterranei con il boato impressionante sopra di noi; uscimmo all'aperto dall'altro lato; prendendo il battello che ci portò a pochi metri sotto il getto ruggente della Cascata, con un po' di strizza per tutti.

Il pranzo fu caratteristico: eravamo sulla Skylon, il grande ristorante impercettibilmente girevole, da cui nel giro completo di un'ora si gode la magnifica veduta delle Cascate dall'alto.

Per la cena della sera erano illuminate da scenografia teatrale con vive luci di differenti colori. E don Mario continuava a ripetere: "Che spettacolo...!".

Non ebbi l'opportunità di accompagnarlo nel vicino Stato del West Virginia, ospitato dalla famiglia Marks (Sigismondo Marcucci), parenti ed amici al completo; dopo un paio di giorni ritornò molto contento dicendomi: "Ho ricevuto un'accoglienza veramente principesca".

Come pure, tutte le volte che andava in aereo da Pittsburgh a Detroit, per visitare Leo Purchiaroni, parenti e amici, non aveva che parole di lode per l'ospitalità ricevuta.

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- Con Sigismondo Marcucci ed il Figlio Orlando -

Ad ogni viaggio in America ripeteva sempre: "Gli Italiani di qui sono buona gente, molto ospitali e generosi".

Ma la sua più grande sorpresa era il continuo aumento di amici che lo amavano, con inviti e visite a non finire.

In casa mia conobbe Philip Passaro, presto divennero amici, e un paio di settimane dopo lo definì "l'americano più italiano che abbia mai conosciuto".

Philip, appena aveva tempo disponibile, si prestava a portare don Mario ovunque, per Pittsburgh e dintorni, giorno e notte.

Era un veterano autista e conosceva i percorsi della zona come il palmo della sua mano; tanto che don Mario lo nomina suo chauffeur ufficiale; un giorno gli disse: "Tutte le volte che verrai in Italia io farò ugualmente con te" e così fu.

Ricordo in un week-end d'estate, zio Angelino Lane (un Lannaioli bassanellese verace) organizzò un picnic alla grande per complimentare don Mario; credo che tra i figli, nipoti, parenti e numerosi amici, lì a Carnegie Park, i partecipanti saranno stati un centinaio e più; fu una riunione cordiale e di sapore familiare.

I pasti del giorno a cominciare dalla prima colazione con svariate qualità e quantità di cibi, un vero mega party.

Nel dopo merenda, lì al campo sportivo giovanile del parco, alcuni incominciarono una partita amichevole di baseball, sport preferito dagli americani; don Mario ed io stavamo osservando dalla tribuna e lui commentava: "Beati loro, da stò sport io nun ce vedo gnente de straordinario, è un gioco un po' stupidello", dopo una decina di minuti, per rompere la monotonia, qualcuno lo invitò calorosamente a scendere in campo per esibirsi con loro.

Di poca voglia e timidamente don Mario entrò.

Venne piazzato alla base del battitore, e qui avvenne un episodio comico-sportivo (Proprio da cineteca), dalle prime palle che arrivavano, lui ne azzeccava quasi tutte e andando di bene in meglio, non ne falliva una; quando disse basta, con una bella risata esultò: "Che prujello, gni botta 'na tacchia !" con gli applausi e le grida di tutti, come ad un Joe Di Maggio.

Fu veramente una bella giornata per tutti.

Ma la persona che qui in Carnegie si impegnò più di qualsiasi altra, sia per la Chiesa, sia provvedendo per i viaggi e tutto il resto per don Mario, fu la signora Caterina Tavoletti e famiglia, di una gentilezza straordinaria.

Don Mario ne ricordò, ringraziò e elogiò costantemente in America e in Italia.

La famiglia Tavoletti lo invitò varie volte a casa, sempre con un menu prettamente italiano, dall'antipasto, al dolce e all'espresso.

Ma una sera fu classica.

Nella sala da pranzo vi erano più di venticinque invitati, tra parenti ed amici dei Tavoletti.

Alcuni raccontavano barzellette italiane, altri americane; e dato che vi erano in giro per la tavola bicchieri di buon vino, l'euforia era in tutti; fu una cosa logica che tutti incominciassero a cantare in coro canzoni nostalgiche del passato ben note a tutti gli emigranti e oriundi italiani.

Naturalmente don Mario non si fece pregare due volte.

Da "Terra straniera", "La romanina", "O sole mio", "Luna rossa", "O surdato 'namurato".

Quando don Mario intonò "Moretto, moretto..." fu sorpreso che fosse ben nota e tutti lo seguirono in coro.

Mi disse: "Oh come je dajo ! Ma che bardella !"

Si continuò ancora per molto.

E come da un copione dei vecchi films di don Peppone e don Camillo, ad un certo punto, qualcuno ebbe la felice idea d'intonare "Bandiera rossa": io che mi trovavo alla destra di don Mario, rimasi incollato freddo sulla sedia, non prevedendo la reazione; invece cantò a voce alta come tutti.

Finito l'inno, alzò la mano per un attimo di pausa e con l'indice destro puntato in alto sempre con il suo pieno sorriso: "Però aricordateve, che io nun so de sto colore" subito vi fu uno scroscio di applausi e grida: "Bene ! Bene ! Bravo !".

La signora Tavoletti, con una mente ancora lucida ed energica alla bella età di 89 anni, ricorda sempre con ammirazione il buon don Mario, ridendo con ilarità di quell'episodio dell'afosa serata di luglio del 1981.

Ricordo come oggi, quando don Mario rimase incantato, quasi estasiato, nell'incontrare gente anziana di Carnegie Pa. che avevano conosciuto e lavorato insieme a suo padre Giovanni nell'acciaieria di qui la "Superior Steel-Capperweld".

Aveva le lacrime agli occhi nel sentire reminiscenze della vita giornaliera di suo padre in quei tempi della fine dell'ottocento, con aneddoti umoristici (A Carnegie e dintorni vi erano una ventina di bassanellesi o del viterbese).

Don Mario, come sempre, bombardava tutti di domande, avido di sapere tutto.

L'idea del padre era di lavorare duro un paio d'anni, mettere da parte un gruzzolo di dollari, ritornare alla aria paesana e con i suoi.

Effettivamente così fece.

Fui presente più di tre volte, quando la comunità italiana, gente altolocata e facoltosa di qui, gli chiese seriamente, se avesse avuto intenzione di trasferirsi per sempre qui nella chiesa della parrocchia italiana Holy Souls, (Forse in una maniera un po' ingenua e puerile, ma con buone e ferventi intenzioni).

Avevano intuito di che caratura era il valore del nostro don Mario.

"Qui abbiamo bisogno di un parroco italiano come te !".

L'ultimo parroco italiano fu don Ercole Dominici di Frosinone che morì nel 1958.

"Noi ci preoccupiamo di tutte le pratiche con la chiesa e visto di residenza permanente".

Don Mario non tardò molto a rispondere: "Non posso abbandonare la mia parrocchia che io amo; la scuola che ho tirato su; la casa dove vivo e sono nato; non posso lasciare Bassanello" ed io aggiunsi: ...E i trujone ! E loro di nuovo: "Qui starai bene finanziariamente; non ti mancherà nulla; sarai in una posizione agiata; qui la gente ti vuole...".

La risposta di don Mario con un sorriso: "Proprio non posso; mi dispiace; ma è impossibile; dal mio paese pregherò per voi - vivere nel cuore di chi vive" e così "Roma locuta, causa finita" (questa però è mia).

Con il tempo, don Mario strinse amicizia con il parroco padre Paluse; e un giorno, la conversazione cadde sulla questua della Messa domenicale; quando don Mario sentì la cifra, rispose con una risata da opera buffa: "E' propio vero che ill'americani so' capitalisti, a me, là dà S. Maria, me ce vo quasi tutto ill'anno pe' fa la stessa quota. Alleluja !".

Come sempre, intorno a lui come una magica calamita, c'era un gruppo di cinque, sei persone, il miglior catalizzatore che abbia conosciuto.

Quando qualcuno propose e mise nell'aria la parola "Las Vegas"; don Mario disse: "Io sto in vacanza e so' sempre pronto". Chiamai zio Memmo Purchiaroni a Sun City AZ per un consiglio sul da fare ed all'altro capo del telefono a più di 3000 Km: "Fateme sapé quanno partite che ve spetto dill'aroporto a braccia ruperte !".

Due giorni dopo, e quasi cinque ore di volo, Memmo e Jenny erano ad accoglierci all'aeroporto.

Ci fermammo un paio di giorni, girando con Memmo questa città del Sole: veramente una incantevole città modello, con belle costruzioni e case attraenti; chiese di ogni ramo religioso; edifici ricreativi, d'arte, danza, cine, teatri, piscine, campi da golf, tutto moderno, eccetto gli abitanti della città.

E' una città dove vivono solo persone in pensione che vi arrivano da tutti gli altri 49 Stati.

Le persone under 55 anni non possono abitarvi.

I giovani impiegati nei supermercati, ristoranti, o altre attività, finito il loro lavoro ritornano nelle rispettive dimore fuori città.

Ovviamente a Sun City non esiste malavita, delinquenza e crimine e non esiste città pulita come questa.

Don Mario ne rimase molto impressionato: durante la nostra sosta non abbiamo incontrato nessun poliziotto; gli anziani sono svelti e vigorosi, non decrepiti, camminano contenti e spensierati, spesso circolano con piccole auto elettriche per andare a giocare a tennis o golf.

Gli unici giovani che vedi in giro sono in vacanza per visitare i nonni o i parenti.

Questa città era una novità anche per me; con don Mario scambiammo le nostre idee e lui così commentò: "La temperatura è ideale tutto l'anno, la gente vive tranquilla, ma mancano le risate e li strilli di munelli, sembra che manca la vita, non so se ci potrei vivere senza la gioventù".

Una mattina si partì per Las Vegas, città fantasmagorica e dei sogni.

Grazie a zio Memmo e il suo macchinone Ford incominciammo ad attraversare il famigerato deserto dell'Arizona; usciti da un'ora dalla città e già non incontri nessun'auto, nessuna persona, nessun volatile.

La vita sembra sparita, non v'è che deserto; è come stare sulla luna.

Uscimmo per cinque minuti dall'auto, per sgranchire un po' le gambe e scattare qualche foto.

Don Mario esclamò quasi subito: "Jamo, sto callo t'allucca !" era un caldo infernale, ma secco, con il sole cocente sul capo.

Ritornammo al gradevole fresco dell'aria condizionata in auto, ascoltando cassette di Claudio Villa, Modugno, e via ancora per il deserto.

A pochi Km. da Flagstaff, incontrammo un elegante ristorante francese; come un'oasi nel deserto snervante; erano le 13.00 passate ed incominciavamo ad avere le traveggole, e all'unisono fu: "Meno male che decchì se magna bene !".

Pernottammo confortevolmente fuori città, cadendo in un profondo sonno.

Eravamo quasi a mezza strada, il paesaggio e la vegetazione stavano cambiando: vedendo montagne caratteristiche, multicolori, alcune a guglie, altre a plateau; don Mario guardava estasiato, arrivando così alla veduta "mozzafiato" del Grand Canyon; è stato come ritornare a diecimila anni fa, una cosa indescrivibile !

Vedevamo entrambi per la prima volta quello spettacolo, quella visione così imponente. Don Mario disse: "Sembra di stare con Dio".

Restando tre giorni in Arizona, sempre in giro con zio Memmo; aveva canticchiato, o sottovoce, o forte, ma ennesime volte: "Laggiù nell'Arizona..." con qualche intervallo di: "S'è rotto i disco, ma è una gran bella canzone".

Era sull'imbrunire ed a meno di 30 Km da Las Vegas già s'intravvedevano lontano le grandi lettere stravaganti e multicolori al neon.

Finalmente arrivammo nel cuore della città.

Tutto sembrava faraonico e irreale ! Las Vegas è più attraente di notte, che di giorno; brulicante di gente da un casinò all'altro per giocare
tutto ciò che ha in tasca.

La prima cosa che don Mario notò, fu che camminando per strada con quel caldo così umido e pesante, le scarpe s'affondavano leggermente sul molle catrame, quindi non avevi altra alternativa che entrare in qualche casinò al fresco con aria condizionata e giocare, e giocare confortevolmente fresco, con drinks gratis di tuo gusto, serviti da hostess a tutti coloro che giocano a qualsiasi macchina o tavolo.

La nostra guida, Renato, era residente da più di vent'anni a Vegas, essendo esperto croupié sui tappeti verdi.

Visitammo quasi tutti i più importanti casinò tra i quali Excalibur, San Remo, Flamingo, il Barbary Coast (Famoso per i pronostici sportivi), con le loro linee architettoniche esterne grandiose e stravaganti, ma all'interno tutti uguali con gente frenetica ai tavoli da gioco.

Quelli più spettacolari che colpirono don Mario furono il Cesar Palace, con l'architettura della Roma Imperiale, sia all'esterno che interno, con costruzioni e colonnati maestosi ed hostess in tuniche romane, ed il Mirage, il più moderno e costoso; con grandi giochi di luce e straordinari effetti speciali, con eruzioni vulcaniche, fuoco e fiumi di lava incredibilmente reali; ad ogni ora della notte uno show gratis all'aperto; don Mario rimase letteralmente a bocca aperta e commentò: "Che fiara !".

La visita all'Imperial Palace fu molto interessante ed istruttivo, con l'enorme museo storico delle auto degli anni passati, originali e smaglianti come all'epoca.

Dalla prima auto di Henry Ford, a quella lussuosa di Caruso, alla limousine di Al Capone, alle auto private dei presidenti Roosevelt, Truman, Eisenhower, all'auto del corteo dove venne ucciso John F. Kennedy; le auto papali di Paolo VI e Giovanni XXIII, fino alla Giulietta sport che Mussolini regalò alla Petacci, e l'auto ultrablindata di Hitler; e
così tante altre appartenute a personaggi famosi, fino alla nostra Vespa e Lambretta.

Don Mario guardava e continuava a ripetere: "Che auto, che meraviglie".

Il Golden Nugget merita d'essere visitato per la pepita d'oro più grande del mondo, è di vari Kg, lasciata  così tra la pietra, come originalmente venne trovata in una miniera del Sud Africa; è in mostra permanente sotto il vetro infrangibile.

Come pure è in mostra, su un gran tabellone appeso al muro, un milione, 1000 biglietti da 1000 dollari, la gente sfila davanti, ad occhi spalancati e sognanti; già stanno al verde, hanno perso tutto, o quasi, ma continuano a sognare il milione; sfilano per passare al ristorante del casinò, a mezzanotte servono la cena a prezzo speciale "bistecca ai ferri e champagne per solo due dollari".

Una sera, per non essere da meno degli altri turisti, volle provare una slotmachine anche lui: "So giocà solo un po' a briscola, scopone e tre sette, ste macchine nun le conosco".

Dissi "Metti un 25 cents, abbassa la leva e vedi che esce". Giocò solo 25 cents la puntata per passatempo più che divertimento; s'era entusiasmato e si stava divertendo: "Si pijo le tre cerasa, je pagamo le nocchie !"

Feci notare a don Mario, come le guardie di sicurezza trasportassero con fredda indifferenza carrelli colmi di pacchi di dollari d'ogni taglio, come noi facciamo al supermercato, ma a nessuno vengono brutte idee, guardano soltanto e fanno largo a passare.

Come m'ha assicurato un poliziotto, a Las Vegas la polizia nei casinò non fa tante cerimonie, processa per direttissima "Spara e uccide !"

Vedendo così tanto denaro, don Mario disse semplicemente: "E' sterco di Satana - pensa a la salute".

E sì basta la salute era il suo ritornello.

L'esperienza di Las Vegas, la città che non dorme mai, che non ha orologi, in cui le ore del giorno non hanno nessun valore; dove la gente di tutto il mondo viene a giocare tutta la notte, e 99 volte su 100 ritorna a casa per incominciare di nuovo da zero; lasciò una forte impressione a don Mario.

Ritornando a casa, scambiavamo varie idee su questa città irreale, da "Mille e una notte"; entrambi arrivammo alla stessa conclusione: "Sic transit...".

Fu una settimana umoristica, diversa, ma senza illusioni da pascere.

Gli dissi che per il suo prossimo viaggio avrei programmato altri itinerari interessanti, aggiungendo che: "Se campa 'na vorda sola e pure male" lui non dimenticò di aggiungere: "Se Dio vuole...". Purtroppo, Las Vegas, fu il suo ultimo viaggio in America.

Mi chiamava "Zio" e "O' King", mentre lui era il vero zio di tutti e il King per eccellenza.

Gli dissi che se continuava così, in poco tempo avrebbe imparato a parlare inglese meglio di me - e lui: "Ma nun me fa ride, si me faccio capì, per me m'abbasta e m'avanza".

Tutti sanno come guidava don Mario e spesso lo lasciavamo guidare; un giorno "Il grande Remo Trombetta" come lui lo chiamava, gli diede le chiavi dell'auto per raggiungere l'aeroporto (ritornava in Italia); guidò come se fosse a Monza, e ridendo di tutti coloro che arrivarono 5-10 minuti dopo: "Ete visto come cureo, passao tutti", però mi sembrò che Remo avesse i capelli un po' più bianchi !

Tutte le volte che ritornavo in Italia, don Mario era sempre pronto ad accompagnarmi in macchina; parlavamo per ore e su vari argomenti; quando non parlavamo, cantavamo le nostre canzoni.

Mi diceva: "Vedi, tutte le auto che ho avuto, nun l'ho comprata nessuna con la radio. La radio so io, l'accenno quanno me pare, metto le canzoni che vojo, cor tono che dico io e la spegno io" e continuava a cantà; perché cuor contento, l'Iddio l'aiuta.

Gente così non muore mai, vive per sempre.

M'immaginavo sempre don Mario ad età avanzata, vecchietto a 90-95 anni e più, con i capelli imbiancati e forse un po' leggermente curvo, appoggiato ad un bastone; ma non è stato così.

Quando ritornò a casa dalla clinica, parlai per telefono con lui, e intuii subito che non era la voce di don Mario che avevo conosciuto da sempre; si stava spegnendo.

Due settimane dopo arrivai a Fiumicino; chiesi a mio fratello se potevamo andare direttamente al "Gemelli".

Stabilimmo di andare all'indomani, ma il giorno successivo la triste notizia: Don Mario ci aveva lasciati, il fulcro della vita parrocchiale, l'eclettico per eccellenza, il carismatico che trascinava, qualità innate nel suo DNA.

So che lui ora è contento perché è in Paradiso; ci guarda con il suo sorriso; amava i giovani, la gente e la vita, ma con Dio è meglio.

Era il sacerdote di tutti ed era uno di noi.

Livio Pesci

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| SAN LANNO, LA NOSTRA FEDE, DON MARIO |

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| BUSSO' ALLA PORTA... | UN INNOVATORE | UN PRESTITO | IL SUO PENSIERO PER GLI ALTRI | A DON MARIO |

Appendice

| ESTRATTO DEL BATTESIMO DI DON MARIO
| OMELIA DI S. E. IL VESCOVO MARCELLO ROSINA AI FUNERALI |

| SALUTO DI DON MAURO NELLA MESSA FUNEBRE | LETTERA A DON MARIO | BREVE ESTRATTO DEI TESTI TRASCRITTI PER LA TRASMISSIONE IN TV |

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