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Così lo ricordano...

Una semina

Il 23 giugno 1988, interpretando i sentimenti di riconoscenza e di affetto di tutti i Vasanellesi raccolti sulla piazza per salutare il "nostro don Mario" dissi: "Ognuno di noi conserverà gelosamente nel proprio cuore i sentimenti, le parole, il ricordo personale di don Mario".

A distanza di dieci anni questi sentimenti, non affievoliti dal tempo, ma rinvigoriti, mi viene chiesto di renderli pubblici e lo faccio volentieri per onorare la memoria di un uomo, di un prete, di un amico che ha inciso in modo indelebile nella mia vita e nella vita di tanti vasanellesi.

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- Matrimonio di Isa ed Eliseo - don Mauro fa da Chierichetto a don Mario -

Nella nostra personale storia troviamo sempre la presenza di qualche persona che segna la nostra vita e
per me, ricordare don Mario, significa richiamare alla mente i momenti più importanti e decisivi della mia esistenza.

Ebbi modo di dirlo pubblicamente il giorno della mia prima Messa: se sono prete lo devo a don Mario.

Certamente la vocazione è un dono misterioso di Dio, ma Lui agisce attraverso gli uomini, fatti, avvenimenti.

Mi piace pertanto ricordare il giorno mai cancellato dalla mia mente e dal mio cuore, quando, mentre giocavo nell'"orto di Don Mario" fui da lui chiamato per accompagnarlo a portare la Comunione al "Sor Giuseppe" e lungo il breve tragitto mi rivolse queste parole: "Vedi, la mia vita consiste nel portare gesù agli altri, tu che cosa farai da grande? Non ti piacerebbe essere prete come me!".

Avevo appena dieci anni e non ricordo quale fu la mia immediata risposta, forse rimasi in silenzio imbarazzato, ma quelle parole calarono dentro di me, come il seme dentro la terra, e cominciarono pian piano a far crescere la consapevolezza che il Signore aveva gettato su di me il suo sguardo e mi aveva scelto.

E quando cominciai a manifestare il desiderio di entrare in Seminario, Don Mario si è prodigato in mille modi e fu lui ad accompagnarmi il primo ottobre 1959 a Civita Castellana e ad aiutare mia madre a rifare il letto in cui avrei dovuto dormire.

Questa premura l'ho sempre avvertita lungo tutti gli anni della mia preparazione e man mano che crescevo, cresceva anche la familiarità e la confidenza con lui fino a chiamarlo scherzosamente "zio".

Quando tornavo dal Seminario per le vacanze, la maggior parte della giornata la passavo con lui, potendo così imparare nella quotidianità della vita e dei rapporti, più che sui libri di scuola, come essere prete.

E ciò che mi colpiva maggiormente era la sua disponibilità, lo spezzarsi per tutti, la sua generosità, la sua gioviale amicizia (la sua casa e la sua cantina erano diventati luoghi pubblici).

Rientrando in Seminario sentivo a volte gli amici lamentarsi per i difficili rapporti con i loro parroci, mentre io avvertivo invece la stima, la fiducia e l'affetto che don Mario aveva per me e lo comunicavo con entusiasmo tanto che i miei amici vollero conoscerlo e nacque così una grande amicizia e spesso nei momenti liberi partivamo dal Seminario della Quercia per andare a trovare don Mario e stare due ore con lui facendo l'immancabile merenda che lui sempre ci preparava.

Questa sua giovialità, questo saper guardare con positività la vita, questa gratuita amicizia ci impressionava.

Certamente anche lui, come ogni prete, ha dovuto affrontare momenti difficili di incomprensione e di fatica, ma non li lasciava trasparire agli altri per non pesare su di loro.

Nel suo apostolato non escogitava chissà quali strategie pastorali, poche prediche (diceva sempre che non era capace di farle) poche riunioni ma molta presenza tra la gente.

Il suo passeggiare "sul piazzale" nel tardo pomeriggio e dopo cena era costante e chiunque passava era da lui chiamato e salutato interessandosi delle cose anche più semplici e banali.

Devo dire che questo modo di fare mi infastidiva perchè mi sembrava una indebita ingerenza nelle cose della gente, mentre invece ho poi capito che tutto questo veniva dal suo cuore di padre ed amico che si interessava di tutti e proprio questo lo faceva sentire familiare con ognuno, come uno di casa, al quale si dicono tutte le cose.

Non potrò mai dimenticare nel giorno della mia ordinazione sacerdotale, l'abbraccio di pace che ci siamo scambiati, tutti e due con gli occhi lucidi per la commozione, ma con tanta gioia dentro.

Non ci siamo detti una parola ma quell'abbraccio è stato più eloquente, per me e per lui, di un lungo discorso.

Una serie infinita di ricordi e di aneddoti mi tornano alla mente ma ciò che più mi conforta è che la presenza spirituale di don Mario, a dieci anni dalla sua morte, è da me quotidianamente avvertita come da molti vasanellesi, i quali devono a lui tanta gratitudine e riconoscenza, io per primo.

Grazie caro don Mario, tu ci attendi in Paradiso.

Don Mauro Pace

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