IN
ALBANIA
SECONDA GUERRA MONDIALE
Francesconi nelle sue memorie afferma di essere stato richiamato alle armi nel 1941 e
mandato al
fronte greco-albanese. In questa zona trascorre tutto il periodo di guerra impegnato nella
Sanità, in un nucleo chirurgico, con il grado di sergente maggiore, come attestato da una dichiarazione
del Tenente Colonnello Vincenzo de Laurenzi, caporeparto all'Ospedale di Tirana.
Del periodo trascorso in Albania, Francesconi ricorda molte opere, alcune delle quali
rintracciabili in
raccolte private; dei disegni conservati dal figlio Franco alcuni sono stati cortesemente
donati alla Casa
del Popolo di Vasanello, intitolata al padre, ed altri, con diverse tematiche, al Comune.
Le tematiche trattate in queste rapide impressioni, realizzate a matita tenera o
inchiostro di colore nero e rosso, riguardano episodi di guerra, tradizioni e costumi locali (Fig. 18-19).
Fig. 18 -
Volti di Donne Albanesi - 1941/42
Disegno a Matita - Vasanello Casa del Popolo
Fig. 19 -
Ritorno al Campo 1941/42
Disegno a Inchiostro Rosso e Nero
Vasanello Casa del Popolo
In entrambi i casi
predomina la cura per la composizione e lo spiccato plasticismo degli elementi raffigurati; emerge, in sintesi, l'animo dello scultore ed il senso dello spazio, occupato
dalle azioni dichiarate o
intuibili dei protagonisti. La prospettiva, insieme al moto generato dalle tensioni dei
corpi, determina un
vago sapore di etemo, accresciuto, nel caso dei disegni di guerra, dal tragico contenuto.
In quest' ultimo genere la narrazione offre spesso motivi di grande spessore umano:
i feriti, con i piedi
avvolti in rustiche protezioni, schiacciano con il loro doloroso fardello i dorsi dei
muli, ignari protagonisti
di una vicenda incomprensibilc, a volte, anche per gli stessi soldati.
In questo asciutto ascolto del dolore, in situazioni attonite ed astratte, sembra
scorgersi l'cco delle
composizioni di Mario Sironi, in nome di quel nuovo umanesimo che trova nelle grandi
realtà tragiche il
senso del riscatto e dell'epica popolare, in uno scenario di guerra talvolta assurdo,
grottesco.
Delle sculture albanesi possediamo immagini fotografìche descrizioni effettuate dallo
stesso Francesconi o da suoi commilitoni.
Tra questi ultimi, l'On. Angelo La Bella, parlamentare viterbese, in un articolo apparso
il 24 gennaio
1983 sulla testata locale "Sottovoce", ricorda episodi del periodo bellico
trascorso in Albania insieme a
Giulio Francesconi, nei pressi della catena montuosa del Tomor.
Ed è proprio dal fango raccolto ai piedi delle alture che Francesconi trae
"impressioni" di squisita immediatezza comunicativa.
La maggior parte di queste opere ci sono note grazie alle foto che Francesconi
inviava in Italia con frasi che lasciano trasparire l'affetto per i propri cari:
"Alla mia Zelinda bella e ai miei familiari con tanto affetto", "Ai miei bambini
con affetto", "Ai miei figli...".
Le immagini di questi piccoli lavori trasmettono con efficacia i sentimenti dettati dalle
tematiche belliche: Prigionieri greci a Precova (Fig. 20), oggi di proprietà di un colonnello
medico, e // traino del pezzo
(Fig. 21), riprodotto in una foto di proprietà della famiglia Francesconi, confermano le
capacità artistiche
dello scultore. Le figure appaiono immerse nella situazione dettata da ineluttabili
tragedie, impegnate in
movimenti estremamente lenti ma tragici nella loro sconfinata pietà.
Fig. 20 -
Prigionieri Greci a Precova
Novembre 1940
(Terracotta - Foto)
Fig.
21 -
Il Traino del Pezzo - 1941
(Terracotta - Foto)
A livello stilistico questo gruppo di opere richiama il verismo umanitario di Vincenzo
Vela, così vicino
alla dolorosa condizione dei protagonisti, e si distinguono in senso plastico per
l'accentuazione del chiaroscuro ed il tratto molto vicino all'effetto pittorico.
A livello compositivo, poi, il leggero moto suggerito dalle posture si incunea nello
spazio antistante con
una violenza oscura, dettata dalla forza di volontà e dallo spirito di rassegnazione dei
tragici eroi.
Dallo scritto dell'On. La Bella emerge il ricordo di un'opera realizzata da Francesconi in
un particolare
frangente: "... nell'Albania meridionale... esiste un paese che si chiama Gramsci...
Lì, sulle rive del fiume
Devoli, seppellimmo i nostri morti... Lì lo scultore Giulio Francesconi innalzò il
monumento dell'Ecce Homo (Fig. 22) con la scritta, dettata dal cappellano militare, 'Ora ci son io che monto
la guardia a voi'.
Una frase che non piacque a un alto gallonato che venne ad ispezionare il nostro ospedale
da campo adiacente al cimitero; trovò il tutto, monumento e scritta, poco 'guerriero', non in sintonia
con la retorica".
Fig. 22 -
" Ecce Homo " - 1940 - Tecnica Mista
Gramsci (Albania) Foto
Questa testimonianza assume, a livello artistico, una notevole importanza, laddove
conferma l'assoluta estraneità di Francesconi alle espressioni enfatiche e ridondanti della scultura
celebrativa.
Il trasferimento a Tirana, dopo le
operazioni al fronte e vicino alle sofferenze dei feriti accolti nell'Ospedale Militare, significa per Francesconi il ritomo ad opere con tematiche
diverse
ma ancorate spiritualmente al particolare momento esistenziale. Nelle note
autobiografìche
sono ricordati lavori dei quali non esiste traccia documentaria, come, ad esempio, un
grande
pannello dal titolo Dio, patria e famiglia, per la facciata della chiesa
dell'Ospedale Militare.
Di altre realizzazioni possediamo immagini fotografiche, con annotazioni dell'autore riferibili ai committenti di allora; è il caso di alcuni ritratti eseguiti per alti ufficiali e
personalità di
spicco, presenti in Albania per motivi bellici, e di una Vittoria Alata (Fig. 23 e
copertina).
Fig. 23 -
La Vittoria Alata (Part.) - 1941 (Foto)
Francesconi teneva in maniera particolare a questa opera, tanto che il 13 novembre del
1941 ne invia le foto ai figli, "con tanti baci e carezze". La figura si
avvicina al concetto classico della Nike di Samotracia, per la quale, idealmente, Francesconi sembra proporre
un volto,
improntato alla tradizione greca e suggerito dalla forzata sosta nel paese balcanico.
L'opera,
di dimensioni superiori al naturale, potrebbe riferirsi a quella che l'autore stesso
dichiara di
aver eseguito "per esaltare l'eroismo del soldato italiano".
La splendida foto che lo ritrae nell'attimo in cui pone le ultime cure nella definizione
del
volto della Vittoria, aiuta a comprendere l'intimo colloquio che intercorreva tra l'autore
e le
opere, in una sorta di simbiosi primordiale, assoluta, creativa. Il soggetto in questo
caso è pagano, ma l'afflato religioso sgorga spontaneo dai valori morali ed umani celati dietro
l'impassibile sicurezza del volto ritratto.
L'amicizia con un cappellano militare ed il particolare clima della sosta albanese, sollecitano il viareggino ad intraprendere altri lavori a carattere mistico: realizza un'intera Via
Crucis
per "una chiesa di Tirana" non meglio specificata, della quale conserviamo
alcune foto. Di particolare effetto drammatico La Passione (Fig. 24), che ripropone il tema della
sofferenza unito
agli elementi classici della famiglia.
Fig. 24 - La
Passione (Via Crucis) - 1942
(Terracotta - Foto)
La composizione, improntata ad una spiccata diagonalità, è nuova nelle figure scelte e
nella narrazione scenica: la madre, che sembra consegnare il proprio figlio al Cristo, e
l'attenzione
che quest'ultimo pone verso loro, propongono tutta una serie di riferimenti simbolici,
carichi di ascendenze bibliche e dottrinali.
E' un canto alla Provvidenza ed alla Fede, così evidente nello sguardo implorante della madre e nella drammatica espressione del Cristo.
La vita di Francesconi, ad una lettura che superi il contesto oggettivo, offre ripetute
assonanze con il
tema della rassegnazione e dell'accettazionc di una vita fatta di stenti ma ricca di
valori ascetici.
L'atteggiamento a prima vista anarcoide, viene continuamente corretto dalla trattazione
dei temi in
chiave fideistica, che relegano le con-suetudini e la ragione in un' ottica diversa da
quella artistica. L'effetto non è sempre immediato, dato che bisogna leggere, dietro la vicenda narrata, i
profondi riferimenti simbolici.
La ricerca delle soluzioni non consuete nelle tematiche religiose è, d'altra parte,
confermata dal S.Giovanni Battista (Fig. 25); l'opera, realizzata a Tirana nel 1942 per Don Luigi Dolci,
potrebbe essere custodita
a Bergamo, residenza del prelato, così come Francesconi scrive, di suo pugno, sul retro
della fotografia che
la ricorda.
Fig. 25 -
San
Giovanni Battista - 1942
(Foto)
L'atteggiamento del santo, colto nell'atto dell'invettiva ai Farisei e Sadducei, rientra
nei canoni della
statuaria classica, dimostrando le conoscenze stilistiche di Francesconi; il particolare
tema trattato, anche in questo caso, lascia intuire le riflessioni che l'autore conduccva nell'ambito della
tradizione religiosa,
con un radicato senso della fede, più volte dimostrato con la pratica artistica.
Il nesso che Francesconi stabilisce tra religione e terra balcanica è confermato dal
"grandioso presepe in costume albanese", eseguito sempre su sollecitazione dell'amico cappellano,
"cominciando dalla
Madonna vestita alla foggia delle donne della montagna, San Giuseppe vestito alla
scutarina ed i pastori
nei diversi costumi. Tutte sculture in terracotta, alte un metro".
Tra le diverse foto lasciate dallo stesso Francesconi, propongo quelle relative ai Tré
rè Magi (Fig. 26-28), figure ben definite nel ruolo e nei sontuosi abbigliamenti, ripresi da costumi
locali.
Fig. 26 -
I Re Magi - Gaspare) -
1941
(Terracotta - Foto)
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Fig. 27 -
I
Re Magi - Baldassarre - 1941
(Terracotta - Foto)
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Fig. 28 - I
Re Magi - Melchiorre - 1941
(Terracotta - Foto)
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Con gli stessi principi Francesconi realizza una serie di gruppi e figure legati ai
diversi aspetti della vita e della tradizione albanese; di particolare valore etnografico è la cura posta nel
riproporre ideali ed
usanze del posto (Fig. 29), indice dell'attenzione che l'artista poneva nell'assi-milare
le valenze del luogo.
Fig. 29 - Mussulmana
di Tirana 1942
(Terracotta - Foto)
Per Francesconi, infatti, l'Albania non rappresentò soltanto lo scenario di una vicenda
bellica che vedeva gli italiani impegnati in un territorio erto ed impervio, ma fu interpretata
principalmente in chiave
estetica, nella quale leggere forme, linee, volumi, emozioni.
In tale contesto tematico si pone un magnifico gruppo, intitolato Al lavoro nei campi
(Fig. 30), realizzato sempre in terracotta ed improntato ad una suggestiva orizzontalità; la lunga teoria di
uomini, mezzi ed
animali, si snoda in uno sforzo univoco, in un afflato di tensioni tipiche della vita
rurale di allora. L'opera,
che Francesconi data all'ultimo giorno del 1941, si propone come la raffigurazione
principe di un'epopea
minore, quella della dura conquista del necessario, tratto dalla stessa terra che fornisce
all'artista la materia prima per realizzare le sue impressioni plastiche.
Fig. 30 -
A
Lavoro Nei Campi -1941
(Terracotta - Foto)
Il realismo ottocentesco si stempera, ormai, in una angosciantc esasperazione di gesti e
forme, secondo una linea tcndenziale che porterà l'autore verso le capienti riserve
dell'espressionismo; la lettura che
Francesconi farà di questa corrente, cosi cara a Viani, sarà comunque molto personale,
raccogliendo in
essa gli echi profondi della scultura d'ogni tempo ed i presupposti stilistici delle
diverse scuole europee.
In questo senso, molto importante appare la conoscenza che Francesconi ebbe di Rambelli,
un espressionista non riconduci bile alle parallele esperienze francesi e tedesche, ma vicino
seppure a quelli che ne
furono i massimi esponenti nazionali: Lorenzo Viani, con il quale col-laborò, ed Arturo
Martini, un altro artista segnato dalla passione per la ceramica.
Fu proprio quest'ultimo che, tentando una riconciliazione tra simbolo, espressione e forma
plastica,
pose le basi per una nuova lettura della realtà oggettiva, da riprodursi, artisticamente,
secondo diverse accezioni, non tutte legate al semplice aspetto estetico.
La tragica vicenda albanese e la permanenza nella terra balcanica si propongono, infatti,
per Francesconi, come drammatico scenario nel quale ambientare opere di grande significato umano e
sociale.
I temi della sofferenza, del dolore, dell'angoscia entrano di forza nel campo visivo
dell'autore e, attraverso questo, raggiungono i più reconditi anfratti della sua sensibilità, provata e
collaudata dalle difficili
vicende personali
II canto del poeta si fa allora spontaneo, naturale, pronto a narrare la triste saga di
persone, animali e
cose, e dalla sua voce, in questo caso fatta di fango e pietra, emergono immagini e forme
che, a distanza di
decenni, riescono ancora a commuovere per immediatezza e verità.