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Il Muraglione L'antico castello di Bassanello sorgeva su una collina tufacea a pianta triangolare, su due lati aveva eccezionali difese naturali costituite da profondi burroni ai piedi dei quali'scorrevano due piccoli torrenti. Sul lato Sud, invece, si apriva una fertile pianura in aperta campagna priva di ogni qualsiasi difesa. Per ovviare a ciò, i nostri antichi predecessori , scavarono un lungo e profondo fossato che congiungeva i due burroni laterali, (testimonianza ne sono ancora "Lo Stretto" e "lo Steccato", ed innalzarono possenti mura a difesa del borgo. Per chi non lo sapesse, un tempo, la grande Torre del castello (Truione), e la torre quadrata, (ora campanile di S. Maria, erano collegate da uno spesso muro di difesa). Esso raggiungeva l'altezza del primo piano della torre di S. Maria, era costituito con grandi blocchi di tufo, privo di merli e percorribile entro il suo spessore da un camminamento aperto. Su questo muro, e precisamente presso il torrione, assai angusto, si apriva l'ingresso principale del paese e sopra la lunetta era dipinta l'immagine di S. Lanno posta a protezione dell'antico borgo. Questo muro di difesa, era chiamato famigliarmente dai bassanellesi: il Muraglione. Il 13-5-1883, il Consiglio Comunale, con atto N. 2, valutava la possibilità di abbattere il "muraglione" per le seguenti ragioni: 1 - Abbellimento del paese.2 - Utile che si sarebbe ricavato dai sassi della demolizione. 3 - Pubblica sicurezza. A questa scelta dell'Amm. Comunale, si opponeva però il Principe Maffeo Barberini di Sciarra; con atti legali dell'Autorità Giudiziaria Amministrativa, asserendo che il "muragliene" era di sua proprietà. La contestazione andò avanti per circa due anni, ed il Comune riuscì a superare questo contenzioso tramite un accordo. La sera del 20-2-1885, il Sindaco, Sig. Antonio Mariani, Convocava il Consiglio Comunale per metterlo al corrente di quanto concordato con il Principe e deliberare finalmente sull'abbattimento del "muraglione". Alla seduta presero parte: - Mariani Antonio Sindaco
- Celestini Enrico II Sindaco esponeva la proposta del Principe Sciarra che consisteva 2 - In questa area, il Principe, avrebbe costruito un giardino. 3 - Cessione di una parte dei sassi ricavati dalla demolizione del «muragliene», per la costruzione del muro che avrebbe delimitato il giardino. Il Sindaco, faceva notare che, questa operazione avrebbe portato numerosi vantaggi al Comune per i seguenti motivi: 1 - La cessione dell'area non avrebbe deturpato il vasto "piazzale". 2 - L'abbattimento del «muraglione» non avrebbe più permesso alla popolazione di recarsi fuori le mura per gli ordinari bisogni corporali. Eliminando così un potenziale deposito d'immondizia a prezioso vantaggio della salute pubblica, in un momento critico, essendo il colera alle porte della nostra provincia. - 3 - Si acquistava in decoro in quanto il Principe avrebbe creato un elegante giardino all'italiana. 4 - La cessione dei sassi per la costruzione del muro che avrebbe delimitato il giardino, era ampliamente giustificata dai molti benefici che la popolazione ed il Comune spesso avevano ricevuto dalla casa Sciarra, primo fra tutti la concessione di strade comunali, per finire all'ampliamento della passeggiata denominata la "Mossa". Per queste ragioni si reputava sicuro che il Consiglio non si opponeva alla proposta del Principe ed invitava i consiglieri a deliberare. Il Consiglio votava la proposta all'unanimità per suffragi segreti. Alla stessa unanimità di voti (undici), per alzata e seduta, il Consiglio deliberava anche la somma di 200 lire per le spese di demolizione del muraglione ed il collocamento del materiale di risulta. Letto ed approvato, il verbale è sottoscritto dal Sindaco Antonio Mariani, dal consigliere anziano Giovanni Mariani e dal Segretario comunale Cesare Pizzini. Ora ogni bassanellese si domanderà: come mai l'area del giardino del castello è più grande (Circa il doppio) di quella concessa al Principe Sciarra ? Questo non è facile saperlo. Sappiamo però, che il 9.2.1945, il Geom. Giusto Mariani, presentò un'ingiunzione presso la Regia Conciliazione di Orte, perché venisse rispettato quanto concesso dal Comune di Bassanello nella seduta del 20.2.1985. Quanto richiesto dal Geom. Giusto Mariani, non fu mai giudicato per motivi a noi sconosciuti. E bene però,che tutti i bassanellesi sappiano che sulle proprietà di Uso Civico non esiste usucapione, per cui l'area occupata abusivamente dal Principe Sciarra, può ritornare di proprietà comunale in qualsiasi momento. Fontane che Spariscono Una fontana di acqua potabile, che fu di molta comodità e di molto aiuto a quella di "sotto", venne fatta costruire ed inaugurata dall'allora sindaco Luigi Ancellotti, sul finire del secolo scorso. Fu collocata vicino alla grande torre del castello (trujone) e anche se era sull'angolo della grande piazza (piazzale), oltre la utilità, portava decoro ed ornamento. Era stata costruita dallo "scappellino" Mauro di Orte su un blocco di pietra massiccio. Da una colonnina posta al centro della fontana, sprigionavano due cannelli di acqua, poi ridotti ad uno. L'acqua che alimentava questa fontana, proveniva da "Poggio del Lago", attraversando il prato "Maria Maddalena" dove era stato costruito un tombino che serviva da aspiratore. Il ricasco della fontana, attraverso una tubazione, sfociava ad una trentina di metri in un fontanile, collocato dove attualmente sorge la casa di Paolocci Alfredo. Questo fontanile serviva da abbeveratoio per gli animali, una volta molto numerosi quasi come le macchine oggi. L'area dove sorgeva questo fontanile divenne edificabile ed anche per evitare sfasci in caso di ostruzione dei tubi, il fontanile venne demolito e ricostruito adiacente la fontana. Lo ricostruì il mastro muratore Emilio Scarelli, in proporzioni più ridotte, era sindaco Giacinto Scarelli che presiedeva l'Amministrazione Socialista. Lì rimase fino a che venne portata in paese l'acqua di Canepina tramite l'acquedotto consorziale nel 1936.
La Fontana "di Sotto" L'Amministrazione fascista sollevò la questione estetica e, demolito il tutto, fece ricostruire, utilizzando la stessa acqua, un abbeveratoio sull'angolo del "prato di sotto", vicino "San Ceconato". Qui rimase sino alla caduta del fascismo, quando alcuni vandali i figli del....... lo deturparono in parte, perché vi era scolpito il fascio littorio. Successivamente un mastro muratore, approfittando del momento e del fatto che faceva parte dell'amministrazione comunista, sopra il fontanile piantava le mura di un fabbricato, riducendo ulteriormente le proporzioni del fontanile stesso. Più tardi, ad un Commissario che era subentrato in Comune, fu fatto credere che l'acqua del fontanile aveva cessato di sgorgare (fatto assolutamente non vero), costui senza accertarsene, fece immettere l'acqua di Canepina, così incoscientemente spariva l'acqua del prato "Maria Maddalena". Di questa acqua non se ne seppe più nulla, ma nel 1964, operai addetti a lavori di scavo per fognature di case che stavano sorgendo presso il "Poggiolo", incapparono nei tubi della vecchia fontana e naturalmente ancora scaturiva l'acqua che malignamente era stata imprigionata. Ancora malignamente la amministrazione lasciò disperdere quell'acqua che un tempo soddisfo tutte le esigenze del paese. La Porticella Con questo nome veniva indicato l'ingresso secondario del Paese. La Porticella era ubicata nel lato OVEST dell'antico borgo e chi, nei tempi andati, voleva usarla doveva risalire un centinaio di scalini scavati nel vivo tufo. La sua architettura, ben proporzionata, realizzata con blocchi di peperino, era costituita da un arco a tutto sesto.
Accanto ad essa, un residuo di volta interna in disfacimento, lasciava supporre l'esistenza di una stanza presumibilmente adibita a corpo di guardia. A conferma vi sono i resti di una torre esterna, abbattuta nel 1909, quando fu costruita la nuova strada "la costa" per agevolare l'accesso alla "fontana vecchia". La Porticella subì vari atti vandalici: il primo in ordine di tempo fu perpetrato da un contadino che trasformò una grotta in cantina e che, per agevolare il passaggio dei biconci, tagliò di netto la soglia. In seguito questo agricoltore vendette ad un confinante la sua cantina e con villana incoscenza nell'aprile del 1947, abbattè definitivamente la Porticella. Il 4 giugno 1950 in un occasionale dialogo il cav. Mariani, all'epoca sindaco di una giunta social-comunista, interrogato al riguardo, cadde dalle nuvole asserendo di non saperne nulla, ma fu smentito platealmente da Cicio Salvatori, messo comunale all'epoca del misfatto, con queste testuali parole: - «Si site stati voi a falla scaricà, guarda si comune cavaliè, l'ete pure pagato...!!». Dei blocchi di peperino della Porticella nessuna traccia, presumibilmente sono a far da letto a qualche botte in un'anonima cantina. La Vecchia Fontana Al tempo che fu, le nostre progenitrici, per l'approvigionamento d'acqua, dovevano uscire dal Paese attraverso l'uscita secondaria "La Porticella" discendere circa 100 gradini riempire le brocche alla fontana vecchia e pazientemente ripercorrere il calvario, presumibilmente con qualche S. Lanno di troppo, in senso contrario. Presso questa sorgente le nostre nonne potevano lavare gli indumenti inginocchiate su sassi posticci. Nel 1900 per agevolare l'andirivieni quotidiano fu aperta una nuova strada che venne denominata "La Costa". Nel 1910, l'aliorà Amministrazione Comunale guidata dal Sig. innocenzo Lucci, deliberò l'ammodernamento della fontana. I lavori furono affidati a tale Cacioli e prevedevano l'abbassamento di circa la metà dello spazio antistante la sorgente, la costruzione di comodi lavatoi ed ancora, distanziato dagli altri, un lavatoio più piccolo per gli indumenti dei malati. L'inaugurazione fu confortata, oltre che dalla presenza delle Autorità, dalla banda musicale e da un numeroso pubblico femminile chiaramente interessato; nell'occasione furono innalzate sfere aerostatiche gaiamente dipinte. Le persone delegate dalle varie Amministrazioni ad accudire ai bisogni della fontana furono gli operatori ecologici Oreste e Giusto; a loro subentrò Augusto Mariottini e, dopo la sua morte il figlio Nando che terminò di interessarsene dopo la costruzione dell'acquedotto Canepinese. Il lavoro eseguito si rilevò con il passare dei giorni di primaria utilità ma, purtroppo dopo pochi mesi iniziarono una serie di problemi che inesorabilmente portarono alla scomparsa di quanto meritevolmente costruito. Il primo in ordine di tempo fu provocato dai fratelli Mariani che, per la lavorazione della canapa, costruirono sulla loro proprietà delle vasche che, utilizzando le acque del fosso "San Rocco" impedivano lo scorrimento naturale delle stesse e causavano l'innalzamento del livello che provocò l'allagamento della zona della fontana. Per risolvere il problema dovette intervenire l'Amministrazione Comunale, nella persona del sindaco Lucci, che con non pochi grattacapi riuscì a far demolire quanto era in contensioso. Un notevole contributo al deterioramento della fontana fu dato dai contadini, i quali confinando con il fosso, pensarono bene per accrescere di qualche pugno di terra le loro proprietà, di gettarvici enormi massi ed una grande quantità di detriti, provocando così l'innalzamento del livello delle acque con l'inevitabile inabbissamento della sorgente. Nel 1925, con ordinanza del 12 settembre, il sindaco, dott. Bonifazi, faceva obbligo a tutti i contadini proprietari di grotte adibite a porcili, di sgomberarle entro otto giorni onde evitare che gli escrementi penetrando nel tufo andassero ad inquinare la fonte, con enorme danno alla salute pubblica. Nel 1926, in occasione del riassetto delle strade interne del paese e delle fognature, queste ultime andavano a confluire nella coacla principale che a sua volta sfociava nei pressi della fontana vecchia pregiudicando definitivamente l'agibilità della stessa ponendo fine ad una lenta ma costante agonia. In occasione di questi lavori fu smantellata la vecchia strada della "Porticella", quella dei cento gradini. Spariva così un pezzo della nostra storia. Il tutto, nel bene e nel male, accadde sotto la prima amministrazione fascista con a capo, primo podestà, l'avvocato Tabacchi Attico. Nel 1963, la notte di giovedì 7 novembre, un forte temporale generò una grande piena e a seguito di questa delle frane ostruirono il fosso e la fontana vecchia rimase sommersa e dimenticata. Nonostante le numerose traversie ed attentati patiti la vecchia fontana si rese utile in due importanti situazioni d'emergenza: la prima si verifìcò nel 1944, quando a seguito di un bombardamento, l'acquedotto canepinese rimase danneggiato, la seconda volta si verifìcò nel 1957, quando sempre a seguito di un guasto fu necessario ricorrere ad essa per tre giorni, tempo necessario a Mario "I Menghi" per riparare il danno. La Zeppa Legata alla vecchia fontana c'era, vera o no, una leggenda che raccontavano sempre i nostri vecchi. Essi dicevano che sotto il paese esistevano grandi grotte con nel loro interno dei grossi massi di pietra. In una di queste grotte fu fatto un ritrovamento consistente in un mattone con su incisa una frase misteriosa: - «nun me toccassi si no me perdo». In occasione dell'ammodernamento della vecchia fontana fu trovata sotto il ponticello adiacente, ad una certa profondità, una zeppa di legno dalla quale fuoriusciva una piccola quantità di acqua; quando questa fu rimossa una gran flusso d'acqua uscì dal foro e ben presto tutte le fontane rimasero a secco, chiaro che la zeppa serviva per lo scarico della condotta. Si sostituì la vecchia zeppa, ormai logora, con una nuova ma dell'acqua , dalle cannelle nemmeno l'ombra. Fu a quel punto che molti anziani si ricordarono della frase incisa su quel famoso mattone, si ricordarono inoltre che in quelle grotte scorreva dell'acqua e che questa una volta fuoriuscita dal foro della zeppa aveva bisogno di molto tempo per tornare ai livelli normali. Erano appena passate cinque ore quando dalle cannelle cominciò a scaturire un filino d'acqua che pian piano ritornò ai vecchi valori; fu allora che il Cacioli, incaricato dei lavori, si lasciò andare credendolo un miracolo ad un: "Viva S. Lanno" seguito da un coro di osanna per il nostro santo Patrono di quanti erano presenti. Archi Privati Un portale di buona fattura, era ubicato sulla strada di "Fontana Camerata"! e dava accesso alla proprietà dei F.lli Chiodi. Questo arco venne, forse perché non più idoneo (avvento dei primi Camions) o forse perché pericolante, abbattuto nel 1930. Dei blocchi che costituivano la struttura se ne sono perdute le tracce. Un altro arco , sempre di ottima fattura sorgeva sulla strada che conduce a Vignanello, di fronte alla chiesola di S. Giuseppe, dal quale si accedeva al fondo denominato "Voc. Coscellino" di proprietà della famiglia Celestini. Nel 1920 venne abbattuto in quanto pericolante. I blocchi furono riposti in uno scantinato del Palazzo Celestini (attuale sede Municipale) e lì rimasero dimenticati sino al 1947. Fu appunto in quell'anno che, l'allorà sindaco Cav. Salvatore Mariani, lo fece riedificare nonostante mancassero delle componenti in via S. Antonio, come entrata al Parco Pubblico, ed è tutt'ora esistente e funzionale.
© Copyright Foto - Andrea Di Palermo (Foto d'Archivio) Spartizione delle Terre I Celestini Gregorio Celestini, fu un personaggio che visse nel nostro paese all'inizio del secolo scorso, di dove fosse originario poco se ne sa. Uomo ricchissimo, morì nel 1861, fece testamento con rogito del notaro Salvatore Mercuri. Con tale atto, dopo aver costituito vari legati per le S. Messe, istituiva erede universale la propria moglie Luisa, ed alla morte di questa, sarebbe diventato erede suo cugino Enrico Celestini, facendogli però obbligo che, venendo anche lui a mancare senza lasciare eredi, tutti i beni sarebbero passati alla Congregazione di Carità di Bassanello, con lo scopo di erogarli per la fondazione di un Ospedale. Il caso volle che si avverasse tutto ciò che era scritto nel testamento. Enrico Celestini (1825-1893) morì senza lasciare eredi, ed i beni della famiglia passarono alla Congregazione di Carità. Però a norma di sopraggiunte nuove leggi, i nipoti di Enrico Celestini, avvalendosi dell'art. 24, impugnarono il testamento e lo adirono al Tribunale di Viterbo per la rivendica. Dopo vari contatti tra la Congregazione di Carità e gli eredi dei Celestini, in tribunale si addivenne ad un accordo che prevedeva: ai nipoti del Celestini andavano tutti i mobili esistenti nel palazzo che successivamente, mediante una asta pubblica ad incanto organizzata da loro stessi, vendettero. Alla Congregazione di Carità andarono invece tutti i beni immobili, che rappresentavano un patrimonio enorme da gestire. Per avere un'idea di questo patrimonio eelenchiamo le ricchezze dei Celestini che passarono alla Congregazione: - Palazzo Celestini, attuale sede Comunale, il fabbricato era composto da 40 vani. - La Cantinaccia, era il più grande vano per uso magazzino di Bassanello. - Molino per la macinazione delle olive. Questi gli immobili riguardanti i fabbricati, poi i seguenti quantitativi di terreni: CASALETTO - A 200 mt. dal paese (attuali "Praticare"), una bella costruzione con giardino delimitato da un muro. Fu tenuto in affitto per molto tempo da un certo Guerrino Falcioni. Più tardi fu abitato dalla famiglia Rossetti, che da Orte si trasferì a Bassanello. Nel 1905 lo tenne in affìtto il dott. Bonifazi. SIGNORANNA - Circa 10 h. di terreno nelle vicinanze del "Casaletto", per molto tempo questo appezzamento fu tenuto in affitto da certo Giggi "targhette". COSCELLINO - Striscia di terreno confinante con la strada provinciale di Vignanello, di fronte alla tenuta di S. Giuseppe, circa 10 h. che per molti anni fu tenuta in affitto da tale "Cappelline". MECO GROSSO - Appezzamento di terreno con casa colonica a circa 3 km. dal paese, valutabile in circa 10 h., fu tenuta a colonia per moltissimi anni da Giovanni Pieri. VIGNA DI MARIO - Circa 10 h. di terreno nelle vicinanze del paese, per molti anni tenuto a colonia da tale "Bramatera". LA CRETA - Terreno vicinissimo al paese, così denominato perché da qui si estraeva la creta che utilizzavano i cocciari, per questo motivo veniva tenuto a prato. Qualche piccola frazione di terreno fu lavorato e seminato da tale "Cardinale", più tardi una parte fu recintata a staccionata e tenuta da Don Paolo come affittuario. TINACCIO - Un bell'appezzamento di terreno di circa 17 h., situato sulla strada di "Fontana Camerata", ne fu ultimo affittuario «Leone». Tutti questi terreni, erano buona parte seminativi (o solo con qualche albero o filare di vite). Ripartizione delle Terre Dopo la morte di Enrico Celestini, sorse l'ospedale e naturalmente fu a lui intitolato. Funzionò egregiamente per alcuni anni, poi fu definitivamente chiuso. I fabbricati restavano tutti in affìtto, mentre per quanto riguardava le terre, la popolazione ne reclamava la ripartizione. Però gli amministratori dell'Opera Pia di quell'epoca, tergiversavano molto nel procedere alla ripartizione, con la segreta intenzione di appropriarsi di qualche piccolo appezzamento. Infatti "Casaletto", "Pasqualetto", "Lepricciolo", "Meco Lungo", "Van la Pietra", "Vamoretto", "Poggio il lago", furono appezzamenti che il Segretario del Comune e due Amministratori, seppero trafugare dal lascito Celestini per appropriarsene. A tale proposito è bene ricordare un fatto abbastanza curioso, viveva a quella epoca un certo "Cupertoia", contadino rozzo ed analfabeta, più che il contadino faceva il "porcaro", che compose i seguenti versi: Tarantella Tarantella,
tarantella lutto ha lasciato
alla povetrà Ce vorrebbe una
mitraja E che stanno tutti
a sedè Queste strofe, non furono molto diffuse, poiché i pochi che le impararono e le cantarono, furono diffidati dai Carabinieri. Passarono anni ed il patrimonio dei poveri continuava sempre ad essere amministrato dai medesimi speculatori. Finalmente dopo molti anni, con deliberazione del 26 Aprile 1913 approvata dall'Autorità Superiore il Presidente della Congregazione di Carità. Sig. Aureliano Porri, dava incarico all'Ing. Giusto Mariani di procedere alla lottizzazione della proprietà Celestini. Da questa perizia risultarono 176 lotti da assegnarsi alle famiglie più povere del paese, tramite sorteggio. Questa la ripartizione dei lotti:
Questi lotti venivano concessi ad affitto per 29 anni mediante il pagamento di un canone annuale. Successivamente la Congregazione di Carità passava al Comune, il suo ultimo Presidente fu Crispino Filesi, cambiando il suo nome in E. C.A. (Ente Comunale Assistenziale). Fu il Segretario Morganti che prese l'iniziativa di ricordare il gesto munifico di Enrico Celestini, ed all'ingresso del cimitero fu posta la seguente epigrafe: « N. 1825
M. 1893» Una targa in data 18 Gennaio 1960 fu posta anche all'ingresso della sede Comunale:
© Copyright Foto - Andrea Di Palermo (Giu. 2008) I Beni di Bassanello Al principio di questo secolo i beni di Bassanello passarono alla Banca D'Italia che a sua volta li concedette in affitto a tale Innocenze Lucci, noto amministratore di grande abilità e già procuratore di un certo marchese Carlo di cui sposò una figlia. In quel periodo il paese era in agitazione ed il popolo reclamava i diritti civici che, fin da quando i beni erano gestiti dalla Banca D'Italia, gli erano ingiustamente negati. L'Amministrazione Comunale, presieduta dal Sindaco Mariani sig. Giovanni, fece opposizione alla Banca ed all'affittuario, protestando energicamente ed autorizzando il Sindaco, tramite delibera comunale, a stare in giudizio a difesa dei diritti del popolo. Questo intervento, nel corso delle trattative con la Banca D'Italia, risultò molto proficuo e portò al popolo di Bassanello qualche piccolo e vantaggioso risultato: - Diritto di legnatico dolce e, dai disboscamenti, la punta gratuita. - Obbligo da parte della Banca di far coltivare il terreno ai soli cittadini di Bassanello. Dopo breve tempo, in seguito a pratiche ben avviate, si aveva notizia della avvenuta costituzione della Università Agraria di Bassanello, un Ente Locale già richiesto a suo tempo dal consiglio comunale. La costituzione della Università Agraria avvenne nel Marzo del 1904 ed il popolo di Bassanello si trovò possessore della immensa tenuta di Palazzolo e Pozzaglia di 820 ha. di terreno, gran parte boschivo, per un valore, a quel tempo di circa 180.000 lire, pagando un canone annuo di lire 8.000 da versarsi al 30 Dicembre di ogni anno. Nel corso della trattativa, per indennità di affrancazione, la Università Agraria usufruì della concessione della zona denominata "Pian della Mora" e di una porzione di "Poggio Aguzzo", pari a circa 146 ha. e per un valore di 42.854 lire. La Banca D'Italia cedette inoltre gratuitamente all'Università Agraria di Bassanello il fabbricato (attuale sede) sito in Piazza del Giardino ai n.c. 15, 16, 17 ed il terreno denominato "Madonna della Stella" (attuali prati), con l'augurio di un felice avviamento e di un prospero avvenire. I prati, successivamente denominati "Beatissima Vergine", furono ceduti dalla U.A. con delibera 20 Giugno 1927 al Comune con lo scopo di utilizzarli esclusivamente per l'impianto del Bosco del Littorio e del Parco delle Rimembranze. Questa aspettativa della U.A. non è stata rispettata nel corso degli anni dal Comune. Alla buona riuscita dell'operazione di costituzione della U.A., contribuì notevolmente l'opera del sig. Lanno Pace, un uomo che acquisì una certa cultura per aver frequentato gli studi presso il seminario di Orte. Il popolo, riconoscente per l'impegno profuso, lo elesse Presidente della prima Amministrazione della Università Agraria. Erano tempi duri, i signori e l'affittuario Lucci tenevano gli operai come schiavi, essi venivano impiegati saltuariamente ed erano costretti ad orari di lavoro massacranti compensati con paghe da fame. Questo stato di cose, forzatamente, indirizzò il popolo verso una lotta per il miglioramento delle condizioni sia economiche che di lavoro. Di fronte all'inerzia del governo e delle sue istituzioni, il rancore dei lavoratori ' agricoli, affamati di terra, crebbe a dismisura e si organizzò dando origine alla nascita delle "Leghe Contadine" rosse, ispirate dal partito Socialista. Un partito questo monolitico, senza divisioni interne, senza gelosie e soprattutto privo di ogni retorica. Le direttive venivano attuate con meticolosità e senza discussioni. Nella scelta degli obiettivi e negli intenti per raggiungerli, il partito Socialista bassanellese si dimostrò solidale con i propri capi anzi "compatto". E questa la magica parola d'ordine che ha sempre unito i suoi militanti quando la posta in gioco è di grande importanza. La Lega Contadina di Bassanello eleggeva a suo Presidente "Biferone". Le prime riunioni di questo nuovo movimento contadino, venivano tenute quasi in segreto. In seguito, la Lega iniziò ad avere appoggi politici e sindacali e, si rafforzò fino ad essere pronta per intraprendere una lotta di rivendicazioni sociali e di classe. Una sera si udì per il paese il grido di un "banno" lanciato da Giovanni detto "II Moretto", che diceva testualmente: "Si avverte tutto i'popolo... giovini e vecchi...donne e bambini, de riunisse tutti sa la piazza perché se fa SCIOPERO". Per tutti i cittadini questo avvenimento era una novità e chiramente rappresentava la prima occasione di rivincita da tutte le ingiustizie subite ed anche il momento in cui far valere i propri diritti. E superfluo dire che tutto il popolo si riversò in piazza. Parlò un sindacalista della Lega, tale Mengarelli di Terni, il quale disse che, le proposte avanzate dalla Lega ai proprietari terrieri erano state respinte e pertanto si rendeva necessario, per una rapida conclusione delle trattative, che avrebbero portato ad un sicuro miglioramento delle condizioni dei lavoratori, uno sciopero ad oltranza. Il popolo si dichiarava d'accordo e così, anche a Bassanello, con questa dimostrazione, per la prima volta i padroni constatarono la vera forza delle masse contadine. Le autorità militari avevano già preso le loro precauzioni potenziando la forza pubblica il cui comando era gestito da un delegato di Orte. Nei giorni di sciopero che seguirono, la situazione si fece sempre più grave, i signori furono costretti ad accudire di persona il proprio bestiame e le loro terre con notevoli danni economici. Per porre fine a questo stato di cose dovette intervenire il Vice Prefetto di Viterbo, che riuscì ad appianare la situazione tramite una mediazione che migliorò, ma di poco, la situazione del popolo contadino di Bassanello. Mons. Luigi Misciattelli Nel 1907, Mons. Luigi Misciattelli, a quel tempo prefetto dei Palazzi Apostolici, per la somma di lire 90.000 acquistava il castello e tutti i suoi larghi che comprendevano:
La Vigna -
Estensione di terreno coltivato a grano ed un cascinale per il colono. Tutti questi terreni, molti anni dopo, passarono ad un notabile locale. Quando l'alto prelato decise di prendere possesso del castello il suo arrivo fu minuziosamente organizzato; la popolazione attese la sua venuta, prevista dalla strada che proviene da Vignanello, formando due cordoni festanti di folla. Arrivò su una carrozza degna del suo occupante trainata da due magnifiche pariglie di cavalli e scortata dai guardiani di casa Mariani in alta uniforme e da molti altri carri. Il seguito del monsignore era così composto:
Antonio mozzo ed oltre ad Alfredo cocchiere altre persone di servizio. Il tutto destò un'ottima impressione negli astanti, che con quell'innato sesto senso che li ha sempre contraddistinti capirono che fra loro ed il nuovo castellano sarebbero intercorsi ottimi rapporti. Il colto prelato riportò all'antico splendore il maniero facendo eseguire importanti restauri esterni ed interni facendovi rivivere il fasto di una volta con visite di alti prelati e principi. Per ben due volte, il 25/6/1914 e l'11/8/1915, il castello ed il paese ebbero l'onore di ospitare l'allorà prefetto delle Biblioteche Vaticane, il futuro pontefice Pio XI. La generosità di Monsignore verso gli abitanti di Bassanello si dimostrò con l'istituzione, a sue spese, del "Ricreatorio Misciattelli" ubicato presso "la cantinaccia" che raccolse le iscrizioni di ben centoventi ragazzi. Le attività del ricreatorio erano concentrate, oltre che sull'insegnamento del catechismo, in corsi di: ginnastica, musica e recitazione. Fu appunto nel ricreatorio che sorse una banda musicale, essa fu diretta dal Maestro Poliseno, e fu composta da trentatrè ragazzi la cui età era compresa tra i nove e i dodici anni. Dai corsi di recitazione furono organizzati degli spettacoli in onore del Monsignore come il dramma "San Lanno", scritto dal rev. Salvatore Mariani nel 1910; interpretava il martire Toto Pace, mentre il giovane Giuseppe "Tinchetto" intonava la spendida romanza dell'esule che poi moriva tribolato; oppure la farsa "Urbano" recitata giovedì 30 luglio 1914. In queste occasioni ed in altre ancora, il buon prelato si dimostrò prodico di regali nei confronti dei partecipanti, tant'è vero che un vecchio stornello cantato dai giovinastri del tempo recitava: - «fiore de pepe la camicetta che tà fatto i prete pe' la vergogna nun ve la mettete». Purtroppo nel 1918, durante l'epidemia di Spagnola che imperversava su tutta la penisola, il sant'uomo rimase contagiato e morì. Il castello rimase chiuso per anni finché il fratello del defunto, Lorenzo, non decise di riaprirlo apportandovi con lungimiranza artistica nuovi e definitivi restauri restituendo al maniero l'antica maschia architettura. I Mattioli Nella nostra provincia, dal 1866 e per circa un decennio, imperversò la banda del "Crudo" composta oltre che dallo stesso, all'anagrafe Nicola Porta, da circa 40 disperati che con le loro nefande azioni criminali: incendi, ricatti, grassazioni, rapimenti e barbari assassini, misero a dura prova le ambizioni di progresso, di benessere, di tranquillità e di rispetto reciproco dei natii della Tuscia. Vivvaddio, negli anni 70 del secolo scorso, si riuscì a smembrare questa banda e 28 di loro, insieme al loro capo riconosciuto, comparvero in giudizio alla Corte D'Assise di Viterbo che comminò a tutti severe pene detentive; di questa banda di malfattori fecero parte anche i tre fratelli Mattioli Francesco, Lanno e Luigi, l'uno dell'altro più crudele, l'uno dell'altro più vendicativo. Questi nobiluomini ebbero i natali nel nostro paese da tale Giovanni e Margherita Fiaschi rimasero ben presto orfani e si trasferirono, insieme alla madre, nel comune di Gallese; nonostante ciò continuarono, già dediti al crimine, a frequentare il nostro paese ed a terrorrizzare la popolazione con le loro smargiassate. Secondo quello che ci è stato tramandato dai nostri vecchi e, confortati da vari documenti, il tutto cominciò quando i Mattioli entrarono in conflitto d'interessi con il Sig. Vincenzo Ancellotti a causa di un piccolo locale di cui entrambi rivendicavano la proprietà. Riuscirono i primi, con la prepotenza e le minacce di cui erano capaci, a far sloggiare l'Ancellotti che momentaneamente l'occupava. L'Ancellotti venne fuori da questa avventura talmente terrorizzato che quando usciva dal paese, per curare i suoi interessi, lo faceva in compagnia dei suoi servi; la faida iniziò il 4 Febbraio 1866, quando l'Ancellotti si recò a Viterbo per affari da solo. Sulla via del ritorno, già in prossimità di Bassanello, fu fermato armi in pugno da cinque individui mascherati che d'acchitto lo derubarono di 50 lire e poi trascinato nella macchia fu relegato in qualche grotta. Fu richiesto alla famiglia un riscatto di 5000 scudi che fortunatamente fu estorto solo in parte dato che, in un attimo di disattenzione, l'Ancellotti riuscì a sfuggire ai suoi aguzzini. Ammaestrato da questa esperienza, l'Ancellotti, dovendo curare i suoi beni, si vide costretto a muoversi con una scorta armata. Questo espediente non intimorì più di tanto i briganti che, inviperiti dal mancato guadagno, estesero la loro rappresaglia ai famigliar! dell'Ancellotti. Il 10 Giugno 1866 il ricco proprietario fu nuovamente ricattato ed il 20 Agosto suo figlio Paolo riuscì a sfuggire miracolosamente alle fucilate dei banditi. Il 18 Ottobre dello stesso anno fu la volta di Antonio Chiodi, genero di Vincenzo, che venne aggredito in località "Poggio Paradiso", mentre era intento insieme ad alcuni contadini alla semina. Poiché il malcapitato tentò di ribellarsi fu affrontato e percosso brutalmente da Checco Mattioli, e se non fosse intervenuto personalmente il "Crudo" sarebbe stato brutalmente trucidato. Iniziò l'andirivieni di un colono, tra il provvisorio covo dei banditi e la casa del rapito; furono necessari tre viaggi dell'improvvisato messaggero per appagare l'avidità dei manogoldi. Con l'ultimo viaggio, e prima che il Chiodi venisse liberato, il messaggero portò alla moglie del sequestrato "una di costui chiave tinta nel proprio sangue, avvertendola che se avesse ella più oltre resistito, avrebbe quanto prima ricevuto la testa del marito". Tré giorni più tardi l'Ancellotti sfuggì ad un ennesimo attentato, nel quale per fatalità, cadde ucciso un suo servo che lo precedeva a cavallo, quest'uomo si chiamava Francesco Celesti. Nel Settembre del 1868 Francesco Mattioli scomparve misteriosamente senza lasciare tracce; il suo corpo fu ritrovato dopo due mesi, in avanzato stato di decomposizione, nella macchia dei "Ruffì" in prossimità di Bagnolo. I fratelli, Luigi e Lanno, attribuirono il delitto a certo Antonio Budi, detto il "Marchigiano", e di professione "calcinarolo", in qualità di sicario dell'Ancellotti e giurarono vendetta nei confronti dell'uno e dell'altro. In paese si respirava aria pesante ed in molti, facili profeti, previdero un'imminente strage. L'11 Ottobre 1868, il "Marchigiano" si recò a vendere il suo prodotto fuori del territorio di Bassanello; i Mattioli, che presumibilmente lo facevano spiare, gli tesero un agguato nei pressi del cimitero. Sulla via del ritorno, quasi giunto alla meta, il "Marchigiano" in compagnia di "Lanno i 'Madonnao" e sua moglie fu fermato e fatto scendere. I banditi intimarono a Lanno e sua moglie di allontanarsi dicendo che al "Marchigiano" avrebbero pensato loro; allontanatisi di gran fretta i due udirono il colpo di fucile con il quale il "Calcinarolo" stramazzò a terra ucciso. L'oltraggio alla salma, fu confermato quando si recuperò il corpo: i banditi gli avevano reciso il capo. Il 28 Giugno 1869, Vincenzo Ancellotti si recava, suo ultimo viaggio, in compagnia di un certo Gabriele Pieri in un suo podere; arrivato al portale di "Fontana Camerata" sentì alle sue spalle un torvo avvertimento: "Ommino.-.si morto!". Erano i Mattioli appostati nella vigna di proprietà "Castracani". Si udirono due spari, l'Ancellotti cadde a terra invocando la Vergine e, spirò mentre il Pieri, impaurilo, se la dava a gambe verso Bassanello. Ai famigliari accorsi il cadavere si presentò con due pallottole conficcate in corpo, una nella mandibola ed una nell'addome, il capo era stato mozzato. La biega barbarla della recisione del capo era opera di Luigi, il minore dei Mattioli, che così fu definito dalla Pubblica Accusa nel processo a suo carico all'Assise di Viterbo: "E più degli altri inoltrato nella carriera del delitto, nel quale aveva mostrato una sconcertante precocità; a tre lustri emulava i più rapaci grassatori, dopo due anni assassinava con premeditazione ed incredibile freddezza prendendo diletto a recidere il capo alle sue vittime". Sulla stessa lunghezza era il Sindaco di Bassanello in occasione della richiesta di certificato di moralità del Mattioli nel 1872: "Alla moralità del Mattioli Luigi, deve il sottoscritto certificare affermativamente il contrario, poiché la pubblica notorietà lo denuncia gravemente pregiudicato per reati di omicidio, di grassazioni, ricatti e sequestri». A rincarare la dose il Sindaco di Gallese: "In questo comune domiciliato pastore, tenne una condotta sospetta, quindi come corre la fama, allettato dalla facilità di illeciti guadagni vi si abbandonò senza curare i mezzi da donde derivavano, facendo tacere la propria coscienza col suono del denaro, o con la necessità della vendetta». Ancora il Sindaco di Gallese, questa volta sul conto di Lanno Mattioli: "Oriundo di Bassanello ed in questo comune per lungo tempo domiciliato come pastore, di poca laboriosità, ed inclinazione al vizio, che coltivato ed allettato da chi aveva diritto ed obbligo di distrarvelo, lo trascinò sulla via delittuosa, la quale lo condusse a render conto dei diritti di società, propietà e umanità, per esso, come è voce comune, calpestati infamemente". I Mattioli avevano a Bassanello ancora un grande nemico, Antonio Mariani, padre del Sor Giusto e Monsignor Salvatore. Fra le due parti si innescò un odio particolarmente cruento che sfociò in un'avventura degna di un films. Si racconta che: - Un giorno i Mattioli riuscirono a catturare il Mariani in località "Arignano" e lo trascinarono nel loro covo. I malfattori, in compagnia di altri componenti la banda del "Crudo", per festeggiare l'avvenimento uccisero un maialino e per arrostirlo delegarono il prigioniero ad accudire il fuoco comunicandogli anche che dopo il festino gli avrebbero fatto la "festa". Il Mariani, una volta provveduto alla cottura del maialino, fu legato e lasciato nei pressi del fuoco mentre i rapitori, al riparo della propria capanna, cominciarono a festeggiare l'accaduto. Antonio meditava la fuga ed attendeva il momento propizio per attuarla. Dopo circa un'ora, ritenuto che i malfattori fossero tutti presi dai fumi dell'alcool, si liberò dai legacci mise il suo mantello sul pongolo (specie di bastone), vi posò sopra il cappello e se la diede a gambe insalutato ospite. I briganti, quando decisero di mettere in atto la loro minaccia, si imbestialirono accorgendosi della beffa perpetrata ai loro danni; cercarono di rintracciare il prigioniero ed al culmine dell'ira Lanno Mattioli cominciò a sparare all'impazzata. Di seguito trascriviamo una delle tante lettere minatorie che i briganti indirizzavano ai possidenti locali: «Caro sorfilice ci racomantiamo a voi che noi siamo sei persone che stiamo per le mache e ci racomantiamo che ci montate cinquecento lire che no sarete molestato ne voi e ne i vostri beni che sino li montate nosarete patrone asorti di casa e se li montate che siano puliti e fate silenzio e montateli questi denari che si no li montate nosarete patrone a caminare tre pasi e se li montate che siano puliti e state zito che si no li montate vi daremo foco a voi e tuta la roba e silenzio». Finalmente la Benemerita entrò in azione, scrollandosi di dosso l'apatia fin lì dimostrata, braccando ed inseguendo i banditi ed infine catturandoli. Al giudizio ai Mattioli furono inflitte le seguenti non lievi pene: - Lanno Mattioli: lavori forzati a vita. - Luigi Mattioli: 28 anni di detenzione. Lanno morì dopo alcuni anni di bagno penale, Luigi scontò i suoi 28 anni uscì anziano e malandato, ma nonostante ciò si sposò con una certa Annamaria che gli dette un figlio maschio di nome Giovanni. Morto il bandito Annamaria si risposò con tale Marco ed emigrò in America. Qui dopo qualche anno abbandonò il marito e si risposò per la terza volta con un emigrato originario di Chia. Con quest'ultimo rientrò in Italia mentre il figlio di Luigi Mattioli, Giovanni, restò in America e di lui non si sono più avute notizie.
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