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Le Antiche Fornaci in Paese Le terrecotte fanno parte della vita e della storia degli abitanti di Vasanello. Durante gli ultimi anni, infatti, si sono ritrovati, sia in superficie sia durante scavi archeologici, frammenti di cocci con le stesse decorazioni di quelli attuali. Il centro storico custodisce ancora antiche fornaci, ognuna delle quali ha due forni, che un tempo venivano accesi due volte l'anno e intorno ai quali lavoravano tre persone. Alcune di queste fornaci sono molto antiche e si pensa che risalgano al XV sec. Gli ultimi artigiani proprietari sono stati Ovidio Orlandi e Arveto Orlandi, impareggiabili nella produzione di pignatte, brocche, tegami, mattoni, tegole, tubi per le condutture di scarico dell'acqua. Ricca era anche la produzione di vasi di diversa foggia e dimensione, più o meno decorati, per la coltivazione delle piante e dei fiori (I vasi che si trovano nel celebre giardino all'Italiana del Castello Ruspoli di Vignanello, sono stati fabbricati nelle fornaci Orlandi). L'argilla necessaria era ricavata, fino a poco tempo fa, in due cave vicine al paese, in località dal nome significativo "La creta" e "Le terrae". Questa terra veniva portata nelle fornaci e messa nell'acqua. Dopo la decantazione era macinata tra due cilindri metallici e battuta a lungo con un pesante bastone. Finalmente raffinata, l'argilla era foggiata al tornio; l'oggetto ottenuto asciugava al sole ed era infine cotto e decorato. La figura del cocciaro professionista è purtroppo scomparsa quando è drasticamente diminuita la domanda di pignatte e brocche. I pochi che ancora lavorano l'argilla lo fanno per passione nei ritagli di tempo. Visto che la mancanza di mercato aveva fiaccato la produzione e scoraggiato gli artigiani, un gruppo di volenterosi cittadini ha organizzato per molti anni una Mostra dell'Artigianato, che divenne ben presto un appuntamento importante per tutta la provincia. Problemi nati con il nuovo ordinamento fiscale ne hanno però provocato la soppressione pochi anni fa. La Scuola, in collaborazione con l'Amministrazione Comunale, sentì la necessità di far conoscere ai ragazzi l'arte di lavorare l'argilla ed istituì anni addietro un Corso di Ceramica. Settimanalmente i ragazzi del tempo prolungato, guidati dal sig.r Orlando Orlandi (purtroppo oggi scomparso), impararono a modellare e decorare semplici oggetti attraverso i quali espressero la loro creatività. Questi lavori venivano poi esposti in una mostra che si teneva ad ogni fine anno. Inoltre l'Archeoclub di Vasanello a suo tempo (dato che oggi l'Associazione non esiste più), raccolse quanto potè trovare dall'antico e vecchio vasellame di coccio, che oggi è conservato in una delle sale del Museo Cittadino. I Cocciari L'arte che sempre onorò il
ns. Paese, fu certamente quella del cocciaro, ossia il fabbricante di vasi, mattoni, cocci, in genere. Anticamente, soprattutto nel periodo del Medio Evo, questa
attività fu floridissima. 1° - EDITTO DIVIETO DI SVELARE AD ALTRI IL SEGRETO DELL'ARTE DELLE PIGNATTE Essendo gl'habitatori et gl'homini di Bassanello fondati principalmente nell'arte de vasi che volgarmente dicesi delle pignatte e di queste cavando loro il più del vitto et il sostenimento, laonde spargendosi il detto exercitio qui d'intorno, si causerebbe che quanto si accrescesse di guadagno a quest'altri luoghi tanto in questo castello se diminuirebbe di sustantie e di quotidiano emolumento. Dunque per questo ordinamo et statuimo che nessuno del prenominato nostro castello vadi fora del territorio nè altrove a lavorar li detti vasi et pignatte sensa nostra espressa et scripta licentia sotto pena per ciaschuno et ciasch'una volta di ducati cento di carlini d'applicarsi come le altre alla Camera Nostra e dare il quarto all'accusatore quale serà tenuto segreto et vogliamo che questo ordine s'intenda perpetuarci finchè non sia revocato per contrario nostro ordine scritto et autentico. Datum Bassanelli ex edibus
nostris die XIII mensis februarli MDLXV. Propria manu in hoc libro scripsi. Iulio della Rovere 2° - EDITTO DIVIETO DI ADOPERARE LA LEGNA PER LA COTTURA DELLA CALCE Essendo che la principale arte in Bassanello sia il far delle pignatte et le legne per tal exercitio siano continuamente necessarie et essendoci esposto che alcuni fanno fornace de calce per venderla a forestieri et di ciò la comunità ne sente grave danno et incommodo per esser che in tal fornace defluiscono si gran quantità de legna ad ciò che durrando così in breve tempo non si trovarebbono legna per sustentare la suddetta arte delle pignatte che sensa essa li homini di questa Terra non potrebbono vivere. Onde volendo Noi obviar a questo danno per il presente publico banno a nostro beneplacito duraturo si prohibisce a qual si voglia persona di Bassanello o habitante in esso non ardiscano dopo la pubblicazione del presente banno sotto qual si voglia quesito voler fare o far fare fornace di calce in Bassanello nè in suo territorio per altro che per l'uso proprio della detta terra di Bassanello, et che detta calce non possi venderla a foristiero alcuno sotto pena de dieci scudi per ciasche volta et ciasche soma che ne vendesse da applicarsi per un quarto allo accusatore qual sarrà tenuto secreto et il resto alla Camera del ILLmo sig.re Iulio Ruere. Die 3° Aprilis MDLXVIIII Quella dei cocciari era una classe numerosa ed importante, tanto da avere nella chiesa di S. Salvatore una cappella, dedicata a S. Giuliano, di loro proprietà, come citato da un manoscritto d'epoca: "... la suddetta cappella è della università dei Pilari per tradizione e da loro fu costruita, come si sa dai vecchi, e dai suddetti Pilari è stata sempre mantenuta con l'elemosine che sempre vengono date dalli medesimi ogni volta fanno le fornaci di pile". Inoltre per meglio comprendere la grande importanza di questa arte ed il lustro che dava a Bassanello, riportiamo alcuni brani tratti da "Dizionario Ecclesiastico" del Moroni (Vol. 102) del 1861: " Bassanello - Comune della Diocesi di Orte, con territorio in colle ed in piano, con pochi e mediocri fabbricati cinti di mura. E' posto in piana e graziosa situazione, e poco distante vi scorre il fiumicello Neva, che dopo 3 miglia gettasi nel Tevere verso tramontana. Il clima è temperato ed i venti vi spirano secchi. Abbonda d'acqua e di generi: Si fabbrica molto sapone e rinomate sono le fabbriche d'ottimo vasellame di creta resistente al fuoco e denominato di Bassanello... La statisca novera 258 case, 260 famiglie, 1201 abitanti, dè quali 16 in campagna. Sono precipui prodotti del territorio il grano ed il vino oltre i pascoli; è pure ricco di querceti. Narra il Calindri che Bassanello già esisteva sotto gli antichi re Toscani col nome di Vasanello e faceva parte dei popoli Falisci, giunta la descrizione di Livio. Lo dice originato dai popoli d'Arcadia e crede che nel territorio fosse il lago Vadimone, ormai seccato, il quale ai tempi di Plinio era di tanto interesse. Ma l'ubicazione e assai contrastata..... Soggiunge il Palmieri, che in questo paese, o ivi presso, P. Cornelio Dolabella vinse gli Etruschi nel 741 di Roma; e che anticamente forse fu detto Vasanello, per l'abilità degli abitanti nella formazione dei vasi di creta..... " All'inizio del '900, erano
ancora molti gli artigiani che svolgevano questa antichissima attività, in "Botteghe", che poi non erano altro che grotte scavate nel tufo, umide e spesso prive
perfino di finestre. A Bassanello esercitavano questa attività, nei primi anni del ns. secolo, i seguenti cocciari: "Cuccunanni", Eugenio, "Panturo", Pietro, "Burattone", "Ceserello", "Bicchierone", Giovanni "Vappo", "Giggi Vappo", "Scaramella", "Augusto Cuculo", Mario "Sacrestano", "Pizzetta", Luciano Romani, "Checcarello", "Menghi", Germanietto", "Annunzio Vappo", "Petone", "Desiella", "Adamo lo Becchino", "Nino Sacrestano", "Enrico Burattone". La materia prima per lo
svolgimento di questo lavoro era l'argilla, comunemente detta "Tera", che veniva
approvvigionata tramite estrazione da cave poste in una località a circa 2 km. da
Bassanello, denominata
"Terrae" (Dove attualmente sorge il villino degli Architetti Veraldi). La
provvista di "Tera", veniva effettuata nei mesi estivi, questo per avere una buona essiccazione al sole prima di
incamerarla nelle botteghe. La provvista di "Tera" annuale di ciscun cocciaro, variava da 100 a 150 balle. Generalmente i vetturali erano: "Peppenero", "Lanno Scuffia", "Peppe di Emma", "Carluccione", "Capone", tutti coadiuvati, nello svolgimento del lavoro, dai famigliari. La "Tera", giunta nelle botteghe, per poterla lavorare, veniva messa a bagno in una grande vasca denominata "Parmento". Dopo questo bagno l'argilla veniva macinata al "Cilindro", composto da due grandi rulli attraverso i quali veniva fatta passare. Questi rulli venivano girati a mano da due persone. Questa operazione aveva lo scopo di omogeneizzare l'argilla. Il cilindro non era posseduto da tutti i cocciari, per cui, coloro che ne erano sprovvisti dovevavano ricorrere all'affitto o al prestito di questo macchinario. La "Tera" passata al cilindro, veniva successivamente deposta su un tavolo e battuta con una sbarra di ferro, per raffinarla. Dopo questa operazione, la "Tera" era pronta per la lavorazione. La lavorazione della argilla veniva effettuata su un rudimentale "Tornio". Questo era composto da un asse verticale alla cui base era fissata una ruota di legno che faceva da volano. All'estremità superiore era fissato invece un ceppo, sempre di legno, sul quale veniva depositata la "Palla" di argilla che doveva essere lavorata. Il cocciaro batteva il volano di tocco con il piede sinistro e plasmava la creta con le mani e la stecca, unico attrezzo a sua disposizione. Terminato il particolare, questo veniva deposto su una tavola ad asciugare al sole oppure all'aria. Quando i pezzi asciutti erano molti, si procedeva alla cottura, che era l'operazione più delicata e difficile del ciclo di lavorazione dei cocci. La difficoltà di questa operazione, era rappresentata dal fatto che, si dovevano raggiungere temperature e tempi di permanenza ottimali, senza avere a disposizione, segnalatori, per cui il tutto era affidato all'esperienza personale. I cocci venivano collocati nella fornace accuratamente, senza farli toccare fra di loro, in modo che la temperatura potesse raggiungerli uniformemente in ogni punto, quindi si procedeva alla chiusura della bocchetta d'ingresso tramite muratura. A questo punto iniziava
l'operazione di cottura comunemente denominata "Tempra". Si procedeva con un
fuoco molto lento, che veniva alimentato per 4 giorni sino a raggiungere una temperatura
max di 300 C. Questi colori venivano preparati artigianalmente dai cocciari: - Il giallo era formato da un miscuglio di antimonio, calce (Come fissativo) ed ossido di piombo (Fondente). - Il verde veniva preparato con zolforamato diluito nell'acqua a cui venivano aggiunti calce, ossido di piombo e antimonio. Anche l'ossido di piombo veniva "Fabbricato in Casa" tramite un processo particolare definito "Calcinazione". Questo processo prevedeva la cottura del piombo fino al raggiungimento dello stato liquido, quindi si procedeva al prelievo di tutte le sostanze in sospensione (Ossido di Piombo) che, raffreddate, venivano macinate. I cocci, una volta pitturati, venivano sottoposti ad una operazione definita "Metriato". Questo processo prevedeva l'immersione dei cocci in un miscuglio di acqua ed ossido di piombo macinato. Con questa operazione i cocci ed i disegni venivano ricoperti di una pellicola di piombo che serviva per proteggerli dal fuoco. Terminato il processo di "Metriato", i cocci venivano di nuovo rimessi nel forno e di nuovo cotti con un fuoco allegro per circa 20 ore, raggiungendo una temperatura di circa 850/900 C. Quando la fornace iniziava a divenire rossa si doveva verificare se era giunto il momento di "Lasciare il Foco". Per effettuare questa verifica si accendeva uno "Zeppetto" di nocciolo che, inserito su un attrezzo di ferro denominato "Spido", veniva introdotto in un foro della fornace, appositamente predisposto, denominato "Vedetta". Con la fiamma che lo zeppetto sprigionava, era facile vedere chiaramente se le pitture ed i cocci avevano raggiunto la brillantezza che il cocciaro desiderava. Se i cocci avevano raggiunto il giusto punto di cottura, si "Lasciava i Foco" ed iniziava il raffreddamento, operazione che aveva una durata di circa 2 giorni. Quando la fornace era fredda si procedeva alla sfornata e quindi al controllo dei particolari. Se i cocci erano lucidi significava che tutte le operazioni si erano svolte alla perfezione, se invece erano bianchi ed opachi significava che il fuoco non era stato sufficiente per la loro cottura. Poi iniziava la cernita dei cocci e tutti quelli buoni venivano ammucchiati per categoria pronti per la vendita. I Particolari traforati che erano i più raffinati (Scaldini, Portavasi, Portaombrelli), venivano lavorati nelle case di sera, anzichè nelle botteghe, perchè erano particolari che richiedevano molta attenzione e molto tempo. Questi pezzi erano destinati, quasi sempre ad ornare le case dei signori. Per i grossisti, che acquistavano i cocci per poi venderli nei paesi vicini, i cocciari applicavano il sistema del "Conto". Il "Conto" era una unità di misura che prevedeva una cifra fissa in lire, ed una variante costituita dalla quantità di pezzi che cambiava a secondo della grandezza dei cocci e della categoria a cui appartenevano. Formavano un "Conto": Categoria Pignatti
Categoria Cazzarole
Categoria Cazzarole
Categoria Scole
Tegamini
Il valore di un "Conto" era pari a 10 soldi. Poi vasi, mattoni, anfore, tubi, tegole ed altri tipi di cocci, ogni categoria aveva, a secondo della grandezza dei particolari, un suo "Conto". La sfornatura di una fornatura dava circa 300 "Conti"; questa quantità poteva considerarsi il lavoro di circa 1 mese. La legna a quei tempi costava 1/2 lira la soma; il piombo 5 soldi al kg. Intorno ai cocciari ruotava l'indotto dei rivenditori di cocci, queste persone, denominati "Caricatori", compravano i cocci e li trasportavano , tramite barozze trainate da buoi o da somare, nelle fiere dei paesi e spesso arrivavano, a venderli a Roma, Frascati, Marino. Appartenevano alla categoria dei caricatori: "Cencio Fighetto", "Mustafà", "Mintonio", "Dondolano", Alfonso Paolocci, "Checco Pallone", Pio Paolocci, "Florindo Caggetto", "Sardino". Poi la famiglia Paolocci, comprò il "Cariolo", un carro robusto a quattro ruote, che, trainato da muli, dava loro la possibilità di trasportare più materiale impiegando minor tempo nei loro lunghi viaggi a volte anche avventurosi. Molti trasportavano i cocci a dorso di somara con due ceste. Non mancavano poi le dure vecchiette che, con grossi cesti in testa, portavano i cocci sino ad Amelia (30 km.) per guadagnare 5/6 lire. Di queste vecchiette vale la pena ricordarne alcune: "Rosa la Bittora", "Maria Argante", "Franceschella". A proposito di questi viaggi avventurosi, è da narrare un fatto curioso da cui è scaturito un noto detto Bas_ sanellese: "Un certo Anselmo, detto "Il Fusto", andava spesso in Umbria a vendere i cocci con la sua somara, per cui era costretto ad attraversare il Tevere con la barca. In uno di questi attraversamenti, mentre il Tevere era in piena, e non si sa come, la somara si imbizzarrì e finì in acqua. Sia il barcarolo che il "Fusto", fecero il possibile per salvarla, ma tutti i loro sforzi furono inutili e la somara fu trascinata via dalla corrente. Mentre si allontanava Anselmo guardandola con commi_ serazione gli lanciò questo monito: - Eh !... somara mea, ... me lasciarai scontento, ma pure tu, nun te ne varai vantanno ! - come dire: "Per me va male, per te andrà peggio". Scomparsi i cocciari
elencati all'inizio, i loro successori sono stati fino a pochi anni fa (Anni 60) i
fratelli
Orlandi Ovidio ed Alverio coadiuvati dai loro figli Linceo, Bruno detto
"Pizzetta" e Orlando. Pian piano anche
questi sono stati costretti ad abbandonare questa attività, perchè con il progresso e
con le nuove leggi si
sono trovati di fronte a molte difficoltà di ordine igienico-sanitario, ecologico e
concorrenza industriale.
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