Il
Castello di Palazzolo
Il castello di Palazzolo, distante circa
tre chilometri da Bassanello, era stato concesso dal papa Alessandro III
(1155-1181) insieme con i feudi di Bassanello, Bassano in Teverina e Alliano, a
un signorotto di nome Matalone. Quando questi morì se ne impadronirono senza
tanti riguardi e se li spartirono tra loro i quattro suoi generi, Casaguerra da
Orte, B. da Canale, Rainaldo e laczone.
Era un periodo in cui i successori di
Alesandro III dovevano affrontare situazioni piuttosto difficili: lotte interne
e antipapi spalleggiati da Federico Barbarossa non permisero a nessuno di essi
di esercitare con autorevolezza la loro sovranità e i signorotti locali si
rifiutavano di presentarsi a Roma per regolare i diritti di riconoscimento e di
investitura.
Ma nel 1198, con Innocenzo III, le cose
cambiarono. Appena eletto papa, nel pieno vigore delle sue capacità (aveva
appena 39 anni) e già ricco di esperienza politica, si diede immediatamente a
riorganizzare lo stato, secondo i principi teocratici proclamati da Gregorio VII,
(di tanto la Chiesa è superiore all'impero di quanto il sole è superiore alla
luna) e, in questo quadro, fece ricercare i quattro generi di Matalone e lì
convocò a Roma per sistemare la loro posizione. Ma costoro, convinti che le cose
sarebbero continuate come sempre, nonostante i ripetuti inviti, fecero sapere
che non avevano nessuna intenzione di presentarsi ("accedere noluerunt cum
exinde fecerimus requiri cosdem"). ma non si erano accorti che, ormai, il tempo
della pazienza era finito ("id nolumus in patienta sustinere"). Il papa fece
loro sapere che avrebbe aspettato fino alla festa di S. Pietro, che intanto
aveva già dato incarico a Cinzio dell'Isola di recuperare, a suo nome, i quattro
feudi, e che aveva ordinato agli abitanti del posto di trattare i loro affari
esclusivamente con lui; infine, con una apposita bolla del 12 marzo 1212
sollecitò Rainaldo, podestà da Orte, di dare a Cinzio tutto il suo appoggio [1].
Palazzolo non era un castello solitario ma
una piccola comunità organizzata, con una chiesa dedicata a San Giovanni, un
prete residente e un notaio sul posto, collocato al centro di un territorio
assai vasto, diviso in contrade. Il Leoncini [2] ne riporta l'elenco quasi con
una nota di sorpresa, tratto da un atto notarile del 1308: "Colle Mozzo,
Modigliano, Valle del Colle, Vado Petraiolo (appresso Santa Maria di Luco,
territorio di Bassano in Teverina) Valle Rafigliati, Casolini, La selva del
comune, Maczone Carpinete: e conclude: tutte queste contrade stanno a Palazzolo".
Era però anche una comunità assai
tribolata, spesso ribelle, continuamente assalita, più volte devastata e più
volte puntigliosamente ricostruita, e infine definitivamente distrutta. Dopo che
Innocenzo III l'aveva riportata alla giurisdizione della Santa Sede, eretta a
comune non tardò, prima, a ribellarsi e poi nel 1255 a fare atto di
sottomissione a Clemente IV (1265-1268). Caduta sotto la signoria degli Orsini
al tempo di papa Nicolo III (1277-1280), fu recuperata nel 1282 da Martino IV
(1281-1285) per merito dei Viterbesi che, alla morte di Nicolo III, erano
insorti e avevano gettato in prigione i cardinali Matteo e Giordano della
famiglia Orsini.
Occupata da nobili romani, Bonifacio VIII
(1295-1303) la fece riportare all'obbedienza del papa da Segoccione da Vescelli,
e per un pò di tempo visse in relativa tranquillità.
Sulla base di numerosi atti notarili, il
Leoncini (Fabrica Ortana, passim) ci offre il quadro di una comunità piccola ma
vivace, nella quale la vita civile si svolgeva normalmente nelle forme proprie
del tempo: si vendeva e si acquistava, si litigava e si faceva pace, si
stipulavano contratti di locazione e di nozze, si facevano testamenti e, molto
spesso, si doveva lottare contro signorotti e contro squadroni di soldati di
ventura.
Così, nel 1265, nove marzo, Giacomo e
Angelo del fu Giovanni di Arnolfo da Palazzolo vendevano al Priore Rainello tre
pezzi di terra, uno in contrada Maczone, un altro in valle Cerqueta, un terzo in
Valle Ferrata; a sua volta Rainello concedeva loro questi stessi beni in
locazione, per tre mensali l'anno, secondo la misura del comune di Orte.
Nel 1304, sede vacante per la morte di
Benedetto XI, Puccio Locio di Pietro Cencio diede in affitto a Pietro Stefano di
Orte una casa che aveva a Palazzolo (Leoncini, vol. III, pag. 162); nel 1305
Pietro loanni di Palazzolo venne nominato procuratore del governatore della
Tuscia, che in quel tempo risiedeva a Montefiascone (Leoncini vol. III, pag.
163); nel 1308, Dario Paconis di Orte diede in affitto a Lello Speranza di
Palazzolo alcune sue possessioni nel territorio del castello (ib. vol. III, pag.
167); nel 1324 Giovanni di Silvio di Palazzolo rinunciò al "privileggium fori",
cioè alla facoltà di esser giudicato da un apposito tribunale per determinate
cause; lo stesso farà l'anno appresso un altro cittadino di Palazzolo, Nicola
Notia (ib. vol. III, pag. 170-172); nel 1338, 13 febbraio, il notaro Pietro di
Giovanni rogò a Palazzolo, nella chiesa di San Giovanni, alla presenza di cinque
testimoni Ortani, un contratto di matrimonio tra Faziolo di Rainello Guidi, un
tempo abitante in Orte e ora residente a Palazzolo, e Berto di Buccio, Ortano:
il Faziolo prometteva a Berto di dargli in moglie la propria figlia Saita, e
costituiva per lei una dote di 280 libre paparine: Berto accettava e si
impegnava a porre un'ipoteca dotale sui propri beni non appena fosse entrato in
possesso della somma promessa, secondo l'uso e la consuetudine Ortana (ib. vol.
II, pag. 173).
Che la chiesa di Palazzolo fosse dedicata a
San Giovanni è attestato anche dal notaro Pietro Quondam Cuntii Sorici di
Palazzolo in un atto del 18 agosto 1344 (ib. vol. III, pag. 159). Nel 19 aprile
1363, al tempo di papa Urbano V, per gli atti del notaro Francesco Pucio di Meo
da Orte, Balduzio Puccio Falcone di Orte vende a Pietro loanni di Palazzolo,
allora "abitatore" del Castello di Baucca, quattro pezzi di terra nel territorio
di Baucca, contrada le Piane "appresso di beni Ranieri" del Signor Nicola (ib.
vol. I, pag. 155 e vol. III, pag. 242). Dal registro del card. Albornoz risulta
che Palazzolo aveva subito una prima distruzione, non sappiamo per quale motivo
né da quale nemico, ma dal 1364 aveva ricominciato a riprendersi lentamente (cfr.
Mons. Mariani: Un cavaliere di Cristo, pag. 43).
Nel 1255, 8 marzo, dinanzi al notaio Pollio
Vintii da Palazzolo, in casa sua, e a quattro testimoni, Tedesco di Vegnezio
vende a Santuccia Ragnecti, anbedue di Palazzolo, un pezzo di terra posto in
contrada Carpineto, al prezzo di un fiorino d'oro in contanti. Nello stesso
anno, 27 Ottobre, in Orte, nel convento di Sant'Agostino, il notaio Cristoforo
di Angelo Cecchi, alla presenza di 2 testimoni, stende un atto di procura con il
quale quattro castellani in Palazzolo, Gianni di Lello Angeloni, Luzio di
Tavolone, Angelo di Angeluccio e Pietro di Gianni, nominano Todesco di Vanguzio,
loro procuratore, per condurre le controversia che essi hanno nei confronti di
prete Castaldo (Leoncini, vol. II, pag. 172).
Negli anni 1367, 1369, 1384 la camera
apostolica mise all'asta, al maggior offerente, l'affitto dei castelli di
Bassano, Bassanello e Palazzolo. L'ottenne per 150 libre d'oro, l'ortano
Sebastiano Nardello, il quale, il primo giugno 1369, completò con 44 fiorini
l'acconto già versato per il primo anno, e pagò l'affitto dell'anno corrente con
57 fiorini d'oro.
Nel 1384, per la stessa somma, l'affitto fu
preso da Sebastiano Sardelli (Leoncini vol. III, pag. 83 bis). Citando Nicola
Della Tuscia (Cronache di Viterbo, carta 30), il Leoncini riporta la notizia che
l'anno prima, mentre Giovanni Sciarra occupava Nepi, il governatore di Roma
Giovanni di Vico, prendeva Palazzolo, e insieme ambedue la misero a saccheggio e
la distrussero (vol. I, pag. 455 e 459; vol. III. pag. 161). Nel 1390, al tempo
di Bonifacio IX, il prefetto di Roma pose Giovanni "de castro Palazzolo" come
giudice ordinario e notare dell'ospedale dei Raccomandati di Orte.
Dal 1389 al 1404 ci furono momenti
piuttosto difficili, per il papato e per tutti gli stati italiani. Nel 1389 era
stato eletto papa Bonifacio IX, della famiglia Tomacelli, oggi dagli storici
diversamente giudicato: cortese e conciliante nei modi, ma fermo e risoluto nei
fatti, avido di danaro, assillato continuamente da problemi finanziari. Si dice
che sul letto di morte, a chi gli chiedeva come si sentisse, rispondesse: "Pecuniam
si haberem, bene starem". (Se avessi danaro, starei bene !).
Il fatto è che, alla morte di Urbano VI,
egli aveva trovato vuote le casse dello stato e le esigenze finanziarie non
tardarono a far sentire il loro peso: egli dovette, perciò, prendere
provvedimenti talvolta pesanti, non solo per raccogliere danaro ma anche per
ridurre in qualche modo il disordine diffuso nei vari centri del Patrimonio,
turbati dallo scisma e dalle ribellioni suscitate dall'antipapa Clemente VII.
Per eliminare la potenza dei d'Angiò, che
si erano impadroniti del regno di Napoli e per fronteggiare le bande dei soldati
brettoni, attestati attorno al lago di Bolsena e nel territorio viterbese, egli
aveva affidato al fratello Andrea e ai suoi nipoti il compito di tener testa ai
disordini all'interno delle città fuori di Roma. Il Leoncini (vol. III, pag.
171) ci riferisce, in proposito che nella nostra zona non si poteva "far mostre
e controlli" sulla consistenza delle guardie, "respecto la guerra che si faceva
a Gallese e a Soriano".
I priori di Orte il 19 maggio 1400
inviarono 75 guastatori "con ferri atti a guastare" e posero guardie per tutti i
poggi e le torri della rocca di Bassanello e fecero un cambio di guardia:
"cassarono Ludovico di Colle, e vi posero Nicolao di Antonio di San Lepido", e
inviarono "uomini" a fare guardia "perché s'intendeva" cioè si sospettava, "che
alcuni di detto Castello volevano occultamente darlo ad altri", e diedero in
affitto tutte le terre e le cose esistenti nel territorio della chiesa di
Ponticelli e "le terre e le cose di quelli che erano usciti da Bassanello".
Due interessanti notizie, tratte dal libro
dei consigli comunali di Orte, ci riporta il Leoncini nella sua "Fabrica Ortana"
(vol. II, f. 173). Nella prima, ci informa che nel 1401 il comune di Orte aveva
dato incarico a Cencello Luzio di Palazzolo di "rifare a Palazzolo le
bertesche", cioè le torrette di fortificazione sulle mura esterne, per colpire
dall'alto gli attaccanti, rimanendo al sicuro. Per questo lavoro ebbe dalla
comunità l'esenzione, insieme con la sua famiglia, di tutte le imposte
("gravezze") e pesi reali e personali.
Nella seconda, riferisce che Vestro di Cola
di Bassanello supplicava il comune di Orte di "voler stare alla guardia di
Palazzolo come gli altri castellani, e chiedeva l'esenzione degli abitanti in
loco da "pesi reali et personali", in altri termini, dalle tasse sui terreni e
sulle entrate. Da questa notizia il Leoncini trae la conferma che quel castello
era allora, certamente, sotto la giurisdizione del comune di Orte. Nel gennaio
1401 si aprì, per un breve tempo, uno spiraglio di pace e a Orte "se ne fece
allegrezza" (Leoncini vol. II, f. 172). Il 25 febbraio, Ventura di Bevagna,
locotenente di Andrea Tomacelli, fratello del papa, pose a "Maestro" della rocca
di Bassanello Pietro di Palazzolo e stabilì che i priori di Orte dovessero dare
a lui e ai suoi soldati 13 fiorini al mese; tolse le guardie "di notte e di
giorno" dai poggi e dalle torri ed emanò un editto, che fece attaccare alla
porta di Bassanello, in cui ordinava agli abitanti di avvertire tutti i
fuoriusciti di ritornare nel castello entro un mese, pena la confisca dei beni
mobili e stabili a favore "della camera di detto Marchese".
La pace, purtroppo, fu di breve durata.
"Disprezzando le paci fatte, scrive il Leoncini (ib.), Ministeo, nipote di
Verrocchio di Baucca. insieme con i figli di Vanni Evangelista (quello che aveva
la casa delle Colonne, al Poggio, bollata poi, dopo la sua cacciata, come la
casa di Giuda) e altri loro amici, introdussero in Orte Giovanni Colonna con
molti sgherri, che uccisero due cittadini ortani, Egidio Puccetti e Menico
Corpopassi. Il papa Bonifacio IX "li maledisse" e li dichiarò "in perpetuo
ribelli della Santa Chiesa, interdisse Palestrina e Gallese e promosse una
crociata contro di loro. Nel 1401 li assolse però della scomunica e concesse
loro il vicariato di Gallese e il porto sul Tevere (Leoncini vol. II, f. 198).
Pochi anni dopo, Giovanni e Nicolò Colonna furono fatti prigionieri da Paolo
Orsini e gli dovettero cedere il castello di Gallese. Ebbe inizio, da quel
momento, un periodo di tempo sciagurato, che durò, pur con alcune pause, per
quasi tutto il secolo: divisioni, scontri, risse e uccisioni non solo
nell'interno delle città, ma in tutto il territorio circostante. Anche
Bassanello e, soprattutto Palazzolo, che era sotto la giurisdizione di Orte, ne
furono coinvolti. A controllare la situazione, si era portato a Orte Andrea
Tomacelli, insieme con la moglie (Leoncini vol. III, f. 10).
La comunità lo accolse con rispetto, lo
alloggiò in vescovado e gli donò 50 ducati e una tela di lino. Le cose si
aggravarono ancora quando a Bonifacio IX successe il card. Cosma Maliorati da
Sulmona, che prese a nome di Innocenzo VII (1404). Potè esser incoronato solo un
mese dopo, essendo i luoghi più importanti di Roma, il Vaticano, Castel Sant'Angelo
e il Campidoglio in mano agli insorti, capeggiati dei Colonnesi. Chiamato da
costoro a mettere ordine, venne da Napoli Ladislao di Durazzo che si presentò
come vassallo del Papa. In pochi giorni riuscì a fare un accordo che prevedeva
in Campidoglio, accanto al senatore, l'insediamento di 10 governatori e
l'incoronazione del Papa in San Giovanni in Laterano. La calma durò ben poco.
Il papa si dimostrò subito una figura
"mediocre, debole e accentuatamente nepotista" e non volle sentir parlare di
incontrarsi con l'antipapa Benedetto XIII, per ricomporre lo scisma, che per i
Romani era il problema più importante da risolvere subito, se si voleva ridar
respiro alla città. Fu ricoperto, per questo, da insulti da parte di una
delegazione popolare di quindici membri, che si erano proclamati rappresentanti
del popolo. Dinanzi a questa scomposta scenata, il nepote Ludovico Meliorati
perse il controllo di sé, e di quei quindici delegati ne fece uccidere undici,
alcuni dei quali del tutto innocenti. Ne derivò una violenta reazione popolare
che costrinse il papa a fuggire a Viterbo.
Anche nella nostra zona la tensione era
grave. Nel 1405, essendo la comunità Ortana turbata e non essendovi possibilità
di eleggere i Priori, il vescovo Paolo Alberti e altri nobili cittadini si
riunirono in casa di Verrocchio Pandolfini nel castello di Baucca e scelsero
essi stessi, a nome del Tomacelli, cinque cittadini con il titolo di
governatori, ai quali, "per il pacifico stato delle città", diedero autorità di
"fare e disfare, punire i malefattori e fare le paci". E poiché il borgo era
stato "affatto scaricato, ruinato et derelicto", diedero incarico a 10 uomini,
con a capo Verrocchio, di ripararlo mentre la comunità esentò "da ogni peso" gli
abitanti perché tornassero ad abitarvi. Le conseguenze economiche e giuridiche
di così gravi disordini non tardarono a farsi sentire.
Raddoppiò il prezzo della carne ("il
quatrino della carne") e si impose la necessità di ritoccare ancora una volta lo
statuto, già rinnovato nel 1395 (Leoncini vol. III, f. 249; vol. II, f. 40 e
188). Nei mesi di maggio e giugno e durante la mietitura furono assoldati
("pigliati") 20 uomini forestieri per la guardia della città, con l'obbligo di
stare sempre in piazza (Leoncini vol. III, f. 249).
Innocenzo VII tornò a Roma nel marzo del
1406, piuttosto malandato a causa di una paralisi che lo aveva reso inabile per
metà. Ciò nonostante, riuscì a riordinare a Roma l'università della Sapienza a
istituire (e forse questo fu il provvedimento più importante del suo
pontificato) la cattedra di "lingua greca e de suoi scriptori", e a chiamare a
far parte della curia famosi umanisti come Leonardo Bruni e Pier Paolo Vergerio.
Nel maggio di quello stesso anno, i
Colonnesi avevano occupato il castello di Baucca, ma poco dopo erano arrivate a
Orte "le genti del papa" con a capo Ludovico Meliorati, che era diventato
signore di Orte al posto di Andrea Tomacelli, con l'incarico di fare le paci con
i fuoriusciti. Per precauzione, la comunità pose le guardie a tutte le torri
anche a Palazzolo, mandò cento guastatori a Gallese (Leoncini vol. III, f. 250)
e proibì di comprare bestiame "dalle genti di Gallese, di Soriano e dai feudi
dei Colonna e dei Savelli".
Papa Innocenzo VII morì il 6 dicembre di
quello stesso anno. Gli successe il veneziano Angelo Corner con il nome di
Gregorio XII, un ottantenne "tutto pelle e ossa" ma pieno di energia, attivo e
deciso. Impegnato a ricomporre lo scisma d'occidente, fu costretto a stare molto
spesso fuori Roma, ma nei momenti più agitati e turbolenti fece sentire la sua
presenza ferma e risoluta. Nel 1407 era venuto a porre la sua residenza in Orte
Ulisse Orsini e si era stabilito nel Vescovado, che durante la sua permanenza
prese fuoco e fu "rifatto" a spese della Comunità (Leoncini vol. III, pag. 251;
vol. I, f. 146) ma la sua presenza fu di breve durata e venne a sostituirlo suo
fratello Paolo. Tra il marzo e l'aprile del 1407 ci fu "la prima novità" cioè il
primo tentativo di rivoluzione. Il papa Gregorio XII ordinò di scacciare dalla
città "tutte le genti" cioè tutti i forestieri e tutti gli intrusi che si erano
accasati e di non accogliere ("non si ricetti") "alcuna sorte di genti armate,
senza suo speciale mandato (Leoncini vol. III, f. 251).
Il moto si smorzò quasi subito e tra il
Papa e Paolo Orsini sembrò che si riuscisse a stabilire un accordo che
riportasse un po' di ordine nella zona: il papa lo avrebbe perdonato per tutto
il male che aveva fatto a Orte e a Bassanello, ed egli, a sua volta, prometteva
al papa di restituirgli, e di non accogliere ("recettare") per l'avvenire
"alcuna sorte di gente armata, senza suo speciale mandato" (Leoncini vol. I,
pag. 484; vol. III pag. 251). A seguito di questo compromesso, nel 1408 Paolo
Orsini fu nominato dal Papa capitano generale della Chiesa e, insieme con la
moglie Rita de Sanguine si insediò a Orte come "padrone" anche di Bassanello e
di Bomarzo (Leoncini vol. II, pag. 405).
Per qualche anno, pur con qualche
scaramuccia qua e là, ci fu una certa calma. Nell'agosto del 1416 Paolo Orsini
si scontrò a Foligno con "la gente" di Braccio di Montone e di Tartaglia, e lì
fu ucciso da Ludovico Colonna che stava al soldo di Braccio. La signora Rita,
che alloggiava ancora in Vescovado a Orte, chiuse i conti ("fece finale
quietanza di ogni amministrazione") con ser Ludovico Clemente di Orte e se ne
andò.
Durante tutte queste vicende, a Palazzolo,
che seguiva le sorti di Orte, la vita doveva esser ridotta al lumicino.
Il Leoncini, citando il libro dei consigli
dell'anno 1411-1412 cap. 19 e cap. 152 menziona il nome di una sola persona,
Famiano Egidii di Palazzolo, senza indicare il motivo per cui lo cita. Solamente
qualche anno dopo Palazzolo torna ad esser rammentato negli atti ufficiali con
una certa frequenza che sta a testimoniare la ripresa di una vita interna
sociale ed economica.
Nel 1425 il notaro Ser Antonio Quondam
menziona un certo ser Giovanni da Palazzolo (anche qui senza indicarne il
motivo) e ricorda che Egidio da Palazzolo "piglia in società" 45 capre da loanni
di Bartolomeo di Vecchiarello di Orte (Leoncini vol. III, pag. 180).
Ma assai più importante, per le sorti
politiche della piccola comunità è, la notizia riportata in un "breve", cioè un
decreto del primo aprile 1415, in cui l'antipapa Giovanni XXIII dona in feudo
con il titolo di Conte, il contado e la torre di Palazzolo, "luogo della diocesi
di Orte", al nobil uomo laco Quondam filio di Marco, "miles" nato a Siena, e ai
suoi discendenti "nati e da nascere" in cima mascolina, diretta e legittima, con
tutti i diritti a lui concessi, doni e privilegi soliti, purché però giuri
fedeltà a lui e a un suo procuratore "in mano del Vescovo Antonio senese,
tesoriere della Camera Apostolica".
Molto probabilmente tale donazione non
dovette andare in porto.
Il 20 maggio 1415 Giovanni XXIII fu deposto
d'autorità insieme con l'altro antipapa Benedetto XIII, dal Concilio di
Costanza: cercò di fuggire, ma venne in seguito arrestato e, qualche anno dopo,
costretto a firmare la sua definitiva denuncia.
Dopo il pontificato di Martino V (alla cui
morte nel 1431 gli Ortani insorsero e distrussero definitivamente la rocca,
(fatta ricostruire dall'Albornoz nel 1367) dove si era insiedato come tiranno
Antonio Colonna, il nipote del Papa, Eugenio IV concesse a Gentile Meliorati da
Sulmona il feudo di Bassanello con la clausola che, dopo la sua morte, passasse
prima a Giovanni, Cardinale di San Lorenzo in Lucina, e poi ai figli che
sarebbero nati da Gentile e Elena fino alla quarta generazione.
Forti di questo "breve", nel 1432, cioè
appena pochi mesi dopo l'investitura papale, i signori feudatari promossero una
causa al comune di Orte perché anche Palazzolo venisse "restituito" alla
dipendenza di Bassanello e cominciarono a promuovere scorrerie nel territorio di
Orte con furti di "animali et bestie". La comunità Ortana oppose un risoluto
rifiuto a questa pretesa: Palazzolo era stato sempre un castello amministrato e
difeso da Orte, "sendo differenza tra la nostra comunità e la comunità di
Bassanello" (Leoncini vol. III, pag. 161). L'undici di Novembre 1432 papa
Eugenio nominò una commissione composta da Ugone Alberto da Firenze, tesoriere
del patrimonio, e da Giovan Pietro da Firenze podestà di Orte, con l'incarico di
risolvere ("vedere et finire") una situazione che era diventata ormai
pericolosa.
Sfilarono dinanzi a loro testimoni
convocati da Bassano, da Bassanello e da Palazzolo, e tutti confermarono che, a
loro memoria, Palazzolo era stato sempre amministrato e difeso dal comune di
Orte.
Così, Fagliano di Angelo da Bassano
testimoniò che "ser Fidenzio", mentre vi abitava 50 anni fa, era stato podestà
"nella rocca e nel castello" di Palazzolo, cioè del complesso edilizio
fortificato sviluppatesi storicamente attorno all'originario torrione, e quindi
diventato centro politico e amministrativo.
Un altro cittadino di Bassano, Naldo Putio,
attestò che ser Fidenzio, ser Francesco Grosso, ser Martino di Benedetto, Angelo
Vanni et loanni lovannuntio di Orte, sessantenni prima erano stati incaricati
dalla comunità di Orte come "castellani et officiali" della Rocca e del Castello
di Palazzolo. In una testimonianza assai più ampia e dettagliata, Checco di ser
Federico, anch'egli da Bassano, dichiarò che, quarant'anni prima, suo padre era
stato castellano e comandante di Palazzolo a nome della comunità ortana e vi
morì mentre era ancora in carica. Fu allora che "della roccha et castello"
furono presi, saccheggiati e distrutti da Francesco da Vico, ma gli ortani poi
li recuperarono e vi posero come castellano Angelo Vanni di Orte; anche nel
tempo in cui il "castello" era rovinato, "li Ortani possedevano detto
territorio", ed egli fu presente quando di nuovo Ludovico Colonna e Ulisse
Orsini lo occuparono "furtivamente" per un certo tempo, ma poi la comunità di
Orte lo ricuperò "et da allora sempre lo ha posseduto".
Anche Menico di Pietro, "alias Peteloca",
di Bassanello, disse che "la rocca, castello et tenuta" di Palazzolo già da 95
anni erano in possesso di Orte. Li "rubò" il prefetto di Vico [3] ma gli ortani
glielo ritolsero e posero come castellano, a nome della comunità ortana, Zello
di Bassanello. Confermano quanto i convocati avevano detto anche di abitanti di
Palazzolo.
Antonio Manni, detto il Tosto, disse infatti di aver visto come "castellani et
officiali" alcuni notari che Naldo Puccio aveva già indicato, e Famiano di
Egidio specificò che "gli Ortani et li notari sopra nominati "erano stati
"padroni" di Palazzolo e che il "prefetto de Vico", Ludovico Colonna e Ulisse
Orsini "lo rubarono e lo "scaricarono furtivamente, e lo tennero due o tre anni,
ma gli Ortani subito lo rivolsero".
A seguito questo processo, le cose rimasero
come erano: agli Ortani furono riconosciuti i diritti che avevano, ma i signori
di Bassanello, e particolarmente la signora Elena Orsini, si accanirono a
incoraggiare e a proteggere i loro sgherri nelle continue scorribande e
depredazioni nel territorio ortano. La soluzione della controversia si ebbe nel
1452 con un breve di Nicola V il quale, volendo fare "cosa grata" al cardinale
Latino Orsini, suo tesoriere e nipote della signora Elena, confermò quanto aveva
stabilito Eugenio III, aggiungendo al feudo di Bassanello anche il governo dei
castelli di Quercete e di Palazzolo, "con territorio, ragioni et pertinentie".
Dopo questa data, nei consigli comunali di
Orte non si fece più cenno del castello di Palazzolo. Solo nel libro dei
consigli del 1452 carta 44-45, il Leoncini accenna a un elenco di "nomini eletti
per fare il catasto" e tra i luoghi da accatastare trova che sono compresi anche
i terreni di Palazzolo.
Dopo questo fuggevole cenno, stupisce che
nei consigli comunali non si parli più di Palazzolo, neppure quando esso fu
distrutto, come se, per gli ortani, quel castello non fosse mai esistito.
Da chi fu distrutto ? Perché fu distrutto ?
Perché tanto silenzio ? Fino ad oggi, tutto questo rimane per noi un mistero.
Mons. Mariani in un fuggevole cenno dà per scontato che il castello fu distrutto
dai Brettoni che in quella fase avevano fatto tante scorrerie nel territorio.
Certo è che nel 1505 di esso non si parlava più come di un castello, ma come di
una tenuta, cioè, di un vasto possedimento rurale che Laura Orsini portava in
dote nel matrimonio con Nicola della Rovere.
E dovevano essere terreni fertili se nelle
aggiunte allo statuto, a proposito dei danni dati, Giulio della Rovere estendeva
la pena di 10 scudi, già prevista il 3 aprile 1559, anche a coloro che fossero
stati sorpresi a tagliar legna nei boschi di sua signoria nella tenuta di
Palazzolo, e pene di uno scudo per ciascuna bestia grossa, di un giulio per una
bestia minuta e di tre scudi "se serra fiocca", se fossero state trovate a
pascolarvi.
Vasanello dall'Alto - Viale
Marconi
(Archivio Archeoclub Vasanello)
[1] -
Il testo della bolla, assai importante anche per altri aspetti, è riportato dal
Fontanini "De antiquitatibus Hortae" 1723, pag. 399. Nel linguaggio della Curia
romana
per bolla papale si intende una
lettera del papa autenticata con il sigillo pontifìcio fissato alla pergamena
con un filo di seta o di canapa.
[2] - Leoncini vol. III, pag. 157.
[3] - Iaco de Vico, prefetto di Roma, fu ammazzato con accetta nella rocca di
Soriano assieme a Corrado Trinci da Foligno. (Leoncini vol. I, foglio 469).
Cfr. anche Giulio Roscio: Elogi Militari.
Vita di Giovanni Vitelleschi.