LIBRO PRIMO - PARTE PRIMA Il Magistrato Se gli "Statuti della città di Orte" si aprono con un lungo capitolo sui diritti ed i doveri del Podestà e di tutti i membri della sua "famiglia", lo statuto di Bassanello, inizia "in primis" con il capitolo "della electione degli officiali et loro arbitrio". Alla luce della premessa, era questa, infatti la vera novità emersa all'interno della vita cittadina. I rapporti giuridici, fino allora regolati dietro la copertura del principe, dalla volontà insindacabile e spesso vessatoria del Vicario venivano finalmente fissati con norme scritte, l'attuazione delle quali, se continuava ad essere affidata al Vicario, la loro osservanza era , però, garantita dalla presenza degli ufficiali e assicurata dai capitoli IV, V, VI e CXXXX dello statuto. Non senza una ragione, nell'ordinamento generale, il capitolo IV "dei sindacatori" precede immediatamente quello che riguarda il Vicario. Con esso infatti si stabiliva di sottoporre il vicario e i suoi ufficiali, al termine del loro mandato, a un "sindacato della bona et mala iustitia", e si ordinava di custodire gelosamente, a "corte" e nella "camera" del Vicario, il testo originale dello statuto, perché nessuno "presumesse" dì portarlo fuori e di contraffarlo. La comune soddisfazione di essere usciti dalla condizione di servi, e di avere conquistato il diritto di contribuire, con propri rappresentanti, ad affrontare i problemi della comunità, traspare nel capitolo I, dove si afferma che "la electione degli ufficiali" rispondeva alla "comune utilità delli uomini di Bassanello" e con essi si "levava in parte il fastidio alli Signori" che, standosene abitualmente a Roma, lontani quindi dalla vita quotidiana del paese, "non potevano intendere il bisogno della comunità".
Lo Statuto di Bassanello
Il diritto di scegliere i quattro uomini che dovevano affrancare il Vicario nel disbrigo ("expeditione") delle faccende cittadine ("delle cose pubbliche") era comunque riservato non agli illustrissimi signori' o vero "locotenenti", ma ai capi famiglia, secondo il principio della comunità intesa come una grande famiglia, formata dall'insieme delle piccole famiglie. Ogni anno, nelle feste di Natale e ai primi di Luglio, questi dovevano riunirsi in una piazza del paese, in apposita assemblea che era valida solo se vi partecipava la maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed eleggere "quattro uomini discreti et de bona fama" perché soprintendessero degnamente alla retta amministrazione "delle cose della comunità". Due erano le qualità che in essi si richiedevano: che fossero "discreti" e che godessero "bona fama". Il termine "discreto", qui comunemente usato per indicare persona "riservata", va inteso nel senso etimologico in cui fu usato per la prima volta nel sec. XII da Bono Giamboni: participio passato del verbo latino "discernere", per indicare, appunto, un uomo prudente, che sa ben distinguere ed è ben accorto nel valutare, che gode, quindi, di buona fama ed è stimato da tutti. Prima di prendere possesso della carica, i quattro prescelti dovevano giurare davanti al Vicario di assolvere il loro doveri "bene e con diligenza". Il capitolo elenca specificatamente quali fossero questi doveri: amministrare le cose della comunità; provvedere "al quieto et pacifico vivere della terra" [1]; "esser favorevoli alla chiesa, a ospedali, a orfani et vedova et ad altre miserabili persone"; far fronte alle necessità comuni; riunire il popolo a consiglio generale; render conto della loro amministrazione alla fine dell'ìncarico. Tra le necessità comuni di primaria importanza il capitolo ricorda, in particolare la provvista del sale e l'imposizione della dativa, a seconda della necessità, e imponeva agli ufficiali di non concedere, mai e per nessun motivo, il sale "a credito", e di riscuotere il prezzo all'atto steso della consegna. Per giustificare quest'ordine, che poteva apparire talvolta odioso agli occhi dei più poveri, gli statutari sentirono il bisogno di spiegare che il tesoriere del sale a Roma era molto esigente e, se la comunità non era in grado di pagare "alli tempi ordinari", inon esitava a "far rappresaglie", cioè a sospendere immediatamente il rifornimento. Particolare interesse sul piano storico è, inoltre, la precisazione degli statutari sull'uso della "dativa", per reperire in breve tempo la quantità di denaro necessario a coprire spese urgenti e impreviste. Il termine derivava dall'originaria "dadìa" del latino medioevale, con imitazioni della "di" in "ti", "dadia" da cui poi dazio, e veniva usato per indicare una somma di denaro da raccogliere per il mantenimento del signore e della sua corte: Era perciò come una "colletta" sgradevole e mal sopportata. La somma fissata veniva, di norma, divisa in tre parti: la prima pesava "prò capite" su tutti i cittadini maschi, la seconda su tutte le famiglie (il cosiddetto "focatico") e la terza sui proprietari di bestiame, in proporzione al numero e alla qualità di esso, a seconda che fossero bestie grosse (buoi, vacche, cavalli e asini) o bestie piccole (pecore, capre e maiali). Dopo la rivoluzione americana, inglese e francese la dativa viene mantenuta con finalità diverse, come un principio costitutivo di uguaglianza, cui i cittadini si sottomettevano per contribuire a cercare i servizi di comune utilità e per fornire i mezzi necessari per l'autogoverno. Ora, sul piano storico (siamo nel primo trentennio del '500), gli statutari di Bassanello ritengono opportuno chiarire bene che "la collecta de dativa" e le imposte pagate da tutti i cittadini non servivano a soddisfare il lusso del principe, ma "alle occorrenze della comunità" cioè alle necessità comuni. Con questa precisazione, messa lì in forma semplice, come se fosse cosa ovvia, essi, senza rendersene conto, di fatto anticiparono di due secoli quella che poi sarebbe stata sbandierata una grande conquista nell'età moderna. Il capitolo non fa cenno al salario che spettava agli "ufficiali", ma ricorda che, in segno di riconoscimento per il loro servizio e di rispetto per la comunità da loro rappresentata, erano "franchi et exempti" dal pagare le tasse, e tutti i cittadini erano tenuti a prestar loro "hobedientia et onore" per tutto il semestre in cui stavano in carica. Nei confronti degli ufficiali e della cittadinanza, il Vicario, pur con alcune differenze, svolgeva sostanzialmente la funzione che in un libero comune svolgeva il Podestà [2] (cap. IV). A Orte, come del resto in tutti i comuni direttamente dipendenti dal governo centrale, il Podestà era scelto dal consiglio comunale in seduta straordinaria, doveva provenire da una città distante almeno 18 miglia [3], durava in carica sei mesi e non poteva essere rieletto. Il Vicario di Bassanello, invece, era scelto esclusivamente dal principe, ne esercitava le funzioni e rimaneva sul posto "ad nutum domini" finché, cioè, fosse piaciuto al Principe. Se, però, fino allora, nell'esercizio delle sue funzioni, egli era tenuto a rispondere solamente al Principe, ora, con la promulgazione dello statuto, anch'egli era tenuto a svolgere la sua autorità nell'ambito delle norme fissate, e a vigilare, a sua volta, perché tutti le osservassero. Dice, infatti il cap. V nella breve frase di apertura: "Poco sarria utile havere gli statuti et legi municipali se non ci fossero gli ufficiali et vicari quali le mandassero ad exsecutione". Anche il Vicario, nell'assumere la carica, doveva perciò, promettere con giuramento "di esser fedele" ai Signori di Bassanello e alla comunità, e di osservare "bene et senza alcuna fraude" gli statuti. Anch'egli aveva delle regole da rispettare: non poteva, infatti, allontanarsi da Bassanello "senza licentia dei signori et suo factore", doveva annotare "nel libro" tutti gli atti civili e criminali, le accuse di danni dati durante il tempo del suo ufficio; osservare gli statuti, le consuetudini del luogo e il diritto canonico e civile; anch'egli, come gli ufficiali, doveva essere "amorevole" per le chiese, per gli ospedali, per i fanciulli e le vedove e "per altri miserevoli persone et religiosi". Lo statuto ammonisce, infine, di non chiedere "per le scritture", cioè per i documenti da rilasciare, più di quanto nello statuto era stabilito [4] e prevedeva due casi di multa, ambedue salati: cinque "libre" di denari paparini per ogni giorno di assenza da Bassanello non autorizzata, e "perdimento del salario" se non avesse pubblicato, come si è soliti pubblicare, i libri "li strumenti et controlli" ben numerati" nel principio et in fine", affinchè abbiano piena fede in ogni tempo. Il salario a lui dovuto venne fissato dai signori Laura Orsini e Nicola della Rovere, con una apposita informazione, da inserire come aggiunta nello statuto, il 17 novembre 1533, e venne pagato dal fattore in ragione di 20 carlini al mese. Allo stipendio fisso venivano aggiunte le competenze a lui riservate per le cause civili e criminali. Egli aveva però l'obbligo di vivere in un alloggio fuori dal castello ("della corte") "a spese sue". L'accenno al salario introduce sullo sfondo della vita cittadina la figura del Fattore. Questi non rientrava ufficialmente nelle cariche istituzionali ma, in realtà era l'occhio vigile del Principe che seguiva come un'ombra il suo Vicario: era, insomma, il vero controllore del potere. Lo statuto ne fa appena un fuggevole cenno: pagava il salario al Vicario, ne sorvegliava l'attività, sceglieva insieme con gli ufficiali i suoi sindacatori, gli concedeva il permesso di assentarsi per qualche giorno e controllava se erano in ordine i libri degli "istrumenti" notarili e dei contratti che aveva l'obbligo quando scadeva dall'incarico, di pubblicare e consegnare a lui e agli officiali del comune. Che nell'ordinamento generale degli statuti il cap. IV, "della electione dei scendicatori ad scendicare (dei sindacatori a sindacare ) el Podestà", preceda immediatamente il capitolo del Vicario non ci sembra fatto di poco conto. Anche qui, non si tratta di una collocazione puramente casuale: essa è, invece, il frutto di una scelta consapevole e ben meditata, che ha il preciso significato di un avvertimento: e cioè, colui che era stato chiamato dal principe a svolgere sul posto la funzione di rappresentarlo, prima ancora di conoscere ciò che era tenuto a fare, doveva ricordare che con lo statuto era stato stabilito un rapporto nuovo tra il principe e i suoi sudditi, e perciò a nessuno era più concesso di comportarsi a suo piacimento. Per ogni caso, c'era sempre una norma da rispettare, non solo da parte del popolo, ma anche degli ufficiali e del Vicario, senza alcuna eccezione. Tutti coloro, dunque, che dal consiglio generale e dal principe venivano investiti di una responsabilità nell'amministrazione della vita cittadina, dovevano sapere che, alla fine del loro incarico, se qualcuno avesse presentato qualche protesta, i loro atti sarebbero stati sottoposti a controllo e giudicati in maniera rigorosa, alla luce delle norme statutarie." Ce pare cosa molto honesta", dicono gli statutari (cap. IV), "che il Vicario quale ha administrato rascione alli uomini de Bassanello habia ad rendere conto della bona et mala iustitia (quod absit) et stare ascindacato come in tucti li lochi boni se costuma". Il Vicario poteva agire con onestà e disinteresse "a servizio" del bene comune oppure in maniera disonesta badando solo a trarre da ogni azione un proprio personale vantaggio. Era giusto, dunque, che anche lui avesse a render conto "della bona et mala iustitia" come avveniva appunto in tutti "li lochi boni". Ci sembra, inoltre, necessario sottolineare un'altra importante novità,'rispetto ai feudi al di fuori dello Stato Pontificio. I tre sindacatori del Vicario venivano "eletti", cioè scelti, non dal Signore, ma dagli ufficiali, da coloro cioè che il popolo aveva scelto come esecutori delle norme statutarie, anche se poi la loro scelta doveva avere l'approvazione del fattore. Il sindacato consisteva in un esame accurato e pignolesco di tutti glì atti compiuti "in lo tempo del suo uffizio" e, anche per questo, c'era una procedura da seguire (cap. VI). I tre sindacatori, scelti di comune intesa dagli ufficiali e dal fattore, dovevano anzitutto prendere in consegna i libri "e altre scritture pertinenti allo uffizio del Vicario", e custodirli dopo averli sigillati, in attesa di consegnarli al nuovo Vicario. Quindi ordinavano al castaldo [5] di passare per il paese a mettere il bando "la sera per la mattina" che, se qualcuno avesse avuto qualcosa da lamentare nei confronti del Vicario, poteva liberamente presentarsi ai sindacatori e esporre le proprie lagnanze alla presenza del notaio che le avrebbe raccolte e stese per iscritto. A ciascuna querela il Vicario doveva dare una risposta, anche questa per iscritto."Finiti li tre dì", i sindacatori insieme con il notaro esaminavano in maniera accurata e rigorosa le accuse e la difesa e, alla luce delle norme statutarie, se avessero trovato il Vicario colpevole di non aver osservato lo statuto o di non aver fatto "iustitia ad alcuna persona", nel termine di due giorni dovevano condannarlo a riparare il malfatto o il maltolto. Se, invece, non lo avessero ritenuto colpevole lo dovevano assolvere per sentenza, e se non avessero emesso sentenza entro tre giorni il Vicario doveva ritenersi assolto "ipso iure". Nella magistratura di Bassanello, cioè nel complesso degli organi e dei funzionari che rivestivano ed esercitavano funzioni esecutive ed amministrative, non vi erano altre cariche istituzionali: mancano il giudice, il notaio, il cancelliere, il massaro, il baiolo, insomma tutto l'apparato amministrativo che rendeva ammirevole e veneranda la rappresentazione visiva della città e della sua dignità. Un notaio era certamente presente nella comunità: viene, infatti, citato in diversi capitoli. Non è però annoverato, in quanto tale, tra i componenti la magistratura, non ne è parte integrante con compiti specifici da attuare sotto giuramento: è chiamato di volta in volta, come appare dal cap. VI, a seconda delle necessità. Sono invece presenti, con incarichi che richiedevano particolari esperienze di vita e di costume, i viali e i veditori. L'importanza della presenza dei "viali" per l'ordinato svolgimento della vita della comunità, è messa in luce dal cap. II: la loro presenza è definita "più che necessaria in le occorrentie degli homini de Bassanello". A differenza degli ufficiali, i viali, in numero di quattro, non erano scelti dal consiglio generale, ma "dai signori o dai loro locotenenti", cioè dal Principe o dai suoi incaricati, entro il mese di Gennaio tra gli "homini maturi et discreti". Anch'essi, prima di assumere l'incarico, dovevano giurare di comportarsi con onestà e retta coscienza. Era loro specifico compito provvedere alla manutenzione delle strade e delle fontane, stabilire, su richiesta delle parti, dove una strada cessava di essere pubblica e dove cominciava a diventare privata, in rapporto a edifici, orti, vigne, campi e possedimenti, sia "de fore" che dentro il paese. Non solo, ma era riservata a loro l'autorità di assegnare, al proprietario di un terreno che non avesse via di accesso, uno stradello, il meno dannoso possibile, adatto però a raggiungere il terreno "a una bestia con la soma" (libro V, Cap. 114). In questi casi, se qualche confinante avesse impedito il transito, veniva punito con una multa di 20 soldi ogni volta, "et la via stia ferma che fusse assegnata per li viali". Se poi (e talvolta poteva succedere) chiamati a risolvere casi intricati, per non andare incontro a risentimenti e a odiosi sospetti, cercavano di lavarsene le mani e si ricusavano per qualche motivo di intervenire, il Vicario era tenuto "astringuerli de facto ad instantia de le parti" (a costringerli in ogni modo su richiesta delle parti). Per le procedure che dovevano seguire, si potrebbe dire che, grosso modo, i viali costituissero come un piccolo tribunale di pace: dapprima essi dovevano sentire le ragioni dell'una e dell'altra parte e, tenendo conto delle consolidate consuetudini locali ("intese delle differenze delle parti et di costumi della terra"), consultare "un doctore non sospetto" e infine decidere ("per sententia terminare"). Assai significativa è la norma che riguarda le spese del processo. I contrasti per
diritto di proprietà sono sempre pericolosi e sfociano non di rado in liti e
risentimenti e, purtroppo, perfino, in fatti di sangue. Cosa più saggia sarebbe
risolvere ogni questione in via bonaria e con reciproca comprensione. Coloro che
volevano seguire la via del giudizio dovevano, perciò, sapere che le spese
processuali, nella misura di 10 libre di denari papalini, sarebbero state pagate
non da chi perdeva ma da ognuna delle parti. Intimamente connesso
con il capitolo dei viali è quello dei veditori top. III). Il consiglio generale
li sceglieva all'inizio dell'anno, anch'essi in numero di quattro, tra persone
esperte "in nelli lavori et cose rurali et de bona coscientia" perché si
recassero, su richiesta, a verificare "de visu", "con diligenzia", i danni
arrecati ai beni immobili "tanto da homini quanto da animali" e stimarne, in
termini quantitativi, la consistenza, "secondo iudicio delle loro coscenzia". Il
loro compito era di andare, entro tre giorni, prima a vedere e, poi, di riferire
al Vicario il risultato delle loro valutazioni. Il Vicario, a sua volta, avrebbe
provveduto a imporre lui stesso al colpevole la somma da pagare come
risarcimento. Il capitolo prevede anche l'eventualità che venissero chiamati a verificare il danno in tempo di estate, quando urgevano i lavori di campagna e nessuno dei quattro era disponibile: in tal caso, "de licentia della corte", il padrone poteva far eseguire la stima da due altre persone, le cui valutazioni, confermate con giuramento, avevano lo stesso valore [6].
[1] - Nei secoli XVI-XVII si indicava con questo termine un paese con un suo territorio. Il titolo di città era riservato di norma, solamente per quei centri che erano sede di diocesi. [2] - Cfr: gli "Statuti del Comune di Orte" - trascrizione e traduzione di Don Delfo Gioacchini, con la consulenza storica e letteraria di Aulo Greco con la collaborazione di Maria Teresa Graziosi. Ed. Ente Ottava Medievale. Libro I c. I pag. 25 e seguenti. [3] - Nel 1535 fu stabilito che il Podestà non potesse provenire se non da una di queste quattro città: Todi, Spoleto, Cittaducale e Rieti. [4] Come si vede, il fenomeno delle tangenti era già diffuso ! [5] - Con questo nome venivano chiamati nel comune medioevale i capi delle varie arti. Il termine venne poi esteso ad indicare l'amministratore di una azienda agricola e, quindi, ad un inserviente del comune che aveva il compito di notificare le citazioni giudiziarie e di andare nelle case a pignorare i beni mobili. Negli Statuti di Orte e di Bassanello avevano, appunto, questa funzione. [6] - La figura dei veditori era presente anche negli statuti di Orte, con ben altra funzione, quella, cioè, di valutare e prevedere se il raccolto delle biade e il frumento in tutto il territorio sarebbe stato sufficiente per i bisogni della comunità.
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