Introduzione L'esigenza di norme
statutarie, in una libera comunità medievale, può considerarsi il punto d'arrivo
di una lunga, lenta, collettiva elaborazione di principi, in base ai quali,
nell'ambito di una società in crescente sviluppo, i complessi rapporti sociali,
civili, economici venivano affrontati e risolti sulla base del diritto romano,
del diritto canonico, della consuetudine e, in maniera non certamente marginale,
del buon senso. Essi si servivano di
uno scrivano di non sicura padronanza linguistica che, a scanso di
responsabilità cercò di attenersi il più possibile al loro modo di parlare. Non
sembra, d'altra parte, che nella formulazione delle norme, i "sex viri legibus
scribundis" abbiano avuto presenti modelli di altri statuti baronali in vigore
nei paesi vicini, né tanto meno, statuti di liberi comuni, come quello di Orte,
così diverse sono le situazioni esaminate e le norme giuridiche applicate. Il fatto che anche
"il signore e padrone della terra di Bassanello ", un centro allora di poco più
di cinquecento abitanti, sia stato indotto a dare il proprio consapevole
consenso ("de consenso et scientia") alla formulazione degli statuti, ed abbia
acconsentito addirittura che il suo vicario, alla fine del mandato, venisse
sottoposto a sindacato "della bona et mala iustitia" (1. I c. IV) induce a
rimetter in discussione una verità, data finora per scontata e unanimamente
accolta, se cioè il ritratto del Principe, delineato dal Machiavelli nel 1513 e
divulgato postumo nel 1532, rispecchi veramente la realtà "effettuale" storica e
sociale del tempo o se, piuttosto, non sia da ritenere che il segretario
fiorentino, nel momento stesso in cui era costretto a prender atto di una
situazione che cominciava a modificarsi, abbia cercato, in base alle sue
personali convinzioni, di richiamare il principe ad essere "come sarebbe"
dovuto. Questo stato di cose,
ebbe, però, un brusco arresto quando, nel luglio 1353, arrivò in Italia il card.
Egidio Albornoz, inviato da Innocenzo VI ufficialmente come vescovo di Sabina,
ma in realtà come "vicarium in tempora-libus, reformatorem ac pacis et
provinciarum conservatorem" del patrimonio di San Pietro in Tuscia, del ducato
di Spoleto e della Marca Anconitana. Con queste accortezze, più che con la forza, Martino V era riuscito a imbrigliare Braccio di Montone e a far riconoscere alle città del Patrimonio l'autorità dello stato. In questa linea, i suoi successori non mancarono di far sentire suoi feudatari dei vari centri, spesso riottosi e non sempre disciplinati, il loro "altum et supremum dominium", intervenendo energicamente per eliminare, per quanto possibile, soprusi e prepotenze. Entro questo ambito giuridico, a partire dal sec. XIII fino al sec. XVI, accrebbero nelle nostre zone il loro patrimonio e la loro influenza, su posizioni politicamente contrapposte, le famiglie Colonna e Orsini, di parte ghibellina l'una e guelfa l'altra. Della famiglia Colonna, cardinali come Giacomo nel sec., VIII, e poi senatori come Sciarra (che nel 1303 con Guglielmo di Nogaret osò schiaffeggiare ad Anagni Bonifacio VIII), e i due fratelli Giovanni e Giacomo, amici del Petrarca nel sec. XIV segnarono sempre, nel bene e nel male, le vicende più importanti nel loro tempo. La potenza della casata raggiunse il massimo splendore e, forse, il massimo della prepotenza, nel 1417, quando un suo membro, il cardinale Oddone, fu eletto papa con il nome di Martino V. Questi seppe provvedere con grande accortezza a ridare alla chiesa, squassata dallo scisma, un rinnovato prestigio, e a Roma, abbandonata da quasi cento anni, un nuovo volto, ma sul piano militare, non sapendo a chi appoggiarsi con sicurezza, non trovò di meglio che servirsi dei suoi nipoti, i quali, però, nel governo delle varie fortezze, fiancheggiati sul posto dalle famiglie più influenti, si comportavano non con la dignità che si conveniva ai nipoti del papa, ma con l'arroganza dei tiranni che la facevano da padroni, suscitando ovunque risentimenti e reazioni esasperate. Alla morte del papa (1431) ovunque ci furono insurrezioni e ovunque furono scacciati con i loro fiancheggiatori. A Orte, perchè fenomeni come questi non si verificassero più, i cittadini non esitarono a "scaricare" la rocca, che l'Albornoz aveva fatto ricostruire nel 1366. In diverse città del Patrimonio, ebbe così inizio il triste fenomeno dei fuoriusciti che, collegati con le famiglie rimaste all'interno delle comunità, crearono molto spesso, insieme con le bande assoldate da altre comunità, motivi di tensione e di disordine, con incursioni improvvise e rapine di bestiame. Alla famiglia Colonna si contrapponeva, schierata su posizioni guelfe, la famiglia Orsini, resa illustre, nel sec. XII e XIII da due papi e numerosi cardinali. Saldamente radicata nel territorio dello stato pontificio con numerosi castelli (Bassanello, che era tra i più antichi, risaliva nel suo nucleo primitivo al 1278) ebbe modo di manifestare la sua potenza nel 1390 quando, nel quadro di un disegno politico volto a bilanciare i due contrapposti partiti, Urbano VI (1378 - 1389) nominò il cardinale Tommaso delegato per il Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Da allora nelle nostre zone i contrasti permanenti con i Colonna si accentuarono sempre più, e si fecero estremamente tesi quando gli Orsini divennero gli esecutori della politica di Eugenio IV e dei papi successivi. I signorotti delle varie città e anche i comuni autonomi furono costretti a prender posizione per l'una o per l'altra parte ma, a prescindere dalla posizione originaria, ognuna delle due famiglie, a tutela degli interessi del momento, non esitava a coprire con la propria autorità le ruberie e le rapine operate dagli sgherri a loro servizio. Emblematico, a questo riguardo, il comportamento di donna Elena Orsini, "signora" di Bassanello. Rimasta vedova di Gentile Meliorati, costei aveva sposato in seconde nozze Nicolò Orsini e da questi le era stato affidato il castello di Bassanello con il titolo di "signora". Nel 1452, nell'anno stesso in cui ai due suoi figli Cosimo e Ludovico, Nicolò V aveva concesso il titolo di feudatari di Bassanello, Palazzolo e Cerqueto, alcuni suoi "vassalli" avevano rubato alcune bestie che pascolavano nel territorio di Orte (cfr. Riformanze del Comune di Orte f. 132). Nel consiglio generale appositamente convocato il 20 agosto, su proposta di Giovanni di Battista, gli ortani cercarono di risolvere il caso per via diplomatica: fu riaffermato anzitutto il diritto di difendere i confini territoriali, e questo dovere non poteva essere considerato ingiuria per nessuno; fu, quindi, proposto un piano di pace articolato su tre ipotesi: per evitare "ogni scandalo", il cardinale Latino Orsini, camerlengo, cioè tesoriere della chiesa, e quindi persona assai autorevole nel governo dello stato, e i suoi fratelli, da una parte, e il comune di Orte, dall'altra, avrebbero scritto una lettera a donna Elena, per invitarla a restituire il bestiame; se "la signora" si fosse rifiutata, due ambasciatori del comune sarebbero stati inviati al card. Latino perchè intervenisse con il peso della sua autorità; se anche questi si fosse rifiutato, allora il comune avrebbe fatto ricorso al papa. Il piano, però, si bloccò alla prima fase: la "signora Elena" fece sapere che lei non avrebbe restituito un bel nulla. Per salvare la faccia ("per un minimo di pudore") e per i danni che da questa risposta derivavano al comune, il consiglio generale propose di rimettere la questione a una apposita commissione e di inviare comunque due ambasciatori a Bassanello. Solo se "la signora" si fosse di nuovo ricusata di accettare la richiesta di restituzione, allora i due ambasciatori sarebbero stati inviati immediatamente al papa. Le riformanze non ci dicono come sia stata risolta la questione. Una cosa, però, è certa, che donna Elena non si spostò di un dito dalla sua posizione, anzi qualche anno più tardi, per un caso di maggior gravità, si mostrò ancor più dura e prepotente. Il 16 giugno 1457 alcuni suoi "famigli" ("per famulos de Vassanello") avevano sequestrato un certo signor Michelangelo da Spoleto, alloggiato nell'albergo ("in hospitio") di Toto di Chiasso, nei pressi del Rifugio, appena fuori di Orte. Il consiglio indignato per un delitto così odioso, che offendeva la dignità e la credibilità della città nei confronti di altre comunità, ordinò di arrestare immediatamente e di processare Toto e il suo servo, con l'accusa di favoreggiamento; stabilì poi che se quel cittadino di Spoleto avesse voluto riscattarsi, poteva liberamente farlo a spese del comune; impose una taglia su qualsiasi abitante di Bassanello che venisse trovato entro i confini del territorio e, infine, decise di inviare un'ambasciata a donna Elena per trattare la restituzione del sequestrato: in caso di rifiuto avrebbe rimesso la questione al governatore. Anche questa volta tutto fu inutile: donna Elena continuò imperterrita nella sua strada, guardando solo al "suo particulare"; non solo, ma proprio in quei giorni non esitò ad avallare un furto di grano da parte dei Bassanellesi ai danni di Angiolello Vici (25 luglio), e qualche mese dopo (19 febbraio 1458) il furto, nei pressi della fonte del pino (Refugio) del cavallo di Antonello da Forlì, armigero al servizio di Everso dell'Anguillara, il quale fece sapere che se gli ortani non l'avessero subito restituito, avrebbero dovuto pagarne quattro volte il prezzo. Ci siamo di proposito soffermati su questi episodi perchè ci fanno capire con quanta spregiudicatezza e con quanta arroganza un membro della famiglia Orsini si comportasse nei confronti di un libero comune. Non abbiamo documenti che ci dicano come donna Elena o il suo vicario si comportassero con i propri sudditi, ma, alla luce di questi e altri fatti, crediamo di poter fondatamente ritenere che, forte degli appoggi familiari alla corte papale, i criteri non dovevano essere poi tanto differenti. Le cose cambiarono radicalmente con Alessandro VI, una cui nipote, Adriana Mila, aveva sposato Ludovico Orsini, il quale nel 1494 aveva assegnato al figlio Orsino il possesso, con dominio perpetuo, di Bassanello, Vignanello e Carbognano. Fu proprio il comportamento di messer Ludovico che convinse il papa della necessità di ridimensionare sia gli Orsini che i Colonna, divenuti troppo potenti e in grado di intralciare i suoi piani. Ne derivò una fase politica piuttosto intricata, i problemi di politica estera (calata di Carlo VIII) si intrecciavano con la necessità di rimettere ordine nello stato della chiesa, ridotto a un assieme di città che si atteggiavano a piccolo stato, ognuna desiderosa di sottrarsi al potere centrale per realizzare i propri fini. Il papa fece assediare prima il castello di Bracciano, poi fece imprigionare a Napoli Giordano e Paolo i due figli di Virginio Orsini, quindi si rivolse contro i colonnesi. Quando apparve chiaro l'obbiettivo che Alessandro VI si proponeva, conquistare l'Italia centrale per costruire uno stato da assegnare al figlio Cesare, gli Orsini si schierarono apertamente contro di lui. Le conseguenze furono tremende: furono arrestati e chiusi a Castel Sant'Angelo, dove morirono pochi giorni dopo, il card. Battista e il vescovo Rinaldo; Paolo e Francesco, che avevano partecipato alla congiura della Maggione, furono strozzati con raffinata crudeltà il 18 gennaio 1503, insieme con Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo e Paolo Baglioni, dallo stesso Cesare Borgia che li aveva astutamente invitati a pranzo a Senigaglia, con la scusa di arrivare a un accordo. La famiglia Orsini si trovò improvvisamente decapitata dei suoi esponenti più autorevoli, ma riconquistò presto un ruolo di primo piano quando, scomparso all'improvviso Alessandro VI (18 aprile 1503), nel 1505 si legò strettamente con la famiglia della Rovere attraverso il matrimonio di Laura figlia di Orsino, con Nicola della Rovere, nipote di Giulio II. Intanto anche i tempi erano cambiati e si era aperto un nuovo quadro politico. Gli egoismi cittadini che animavano i piccoli stati italiani, in lotta fra di loro, avevano suscitato le ambizioni delle grandi monarchie straniere, per le quali l'Italia era diventata il centro di una lotta per l'egemonia su un piano sempre più europeo. Le piccole città, così come i piccoli feudi sentirono il bisogno di rompere l'isolamento in cui fino allora si erano chiusi, e superando le antiche rivalità, riconsiderarono i rapporti civili con spirito nuovo, non più basato sulla tirannide all'interno e sulla prepotenza nei confronti delle comunità vicine, ma su norme concordamente fissate e unanimemente riconosciute. Anche il governo del papa mirava alla formazione di uno stato capace di indurre i signorotti e i potenti locali a muoversi non più mirando esclusivamente alle proprie ambizioni e ai propri interessi, ma tenendo conto anche delle esigenze della popolazione e degli interessi della comunità. Fu, appunto, in questo nuovo clima di apertura e di maggiore attenzione che anche nelle piccole comunità feudali, soggette fino allora a un signore assoluto, si sentì il bisogno di fissare con norme scritte i diritti e i doveri dell'una e dell'altra parte. All'inizio dell'età moderna, nel territorio del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, di cui facevano parte anche Bassanello e Orte, i comuni si distinguevano in due gruppi: quelli autonomi, retti sulla base di uno statuto da un consiglio di cittadini eletto a sorte da un bussolo, approvato dal governo centrale, e da un potestà nominato dal papa ; e quelli governati da un signorotto locale, sottratto ad ogni intervento del governo centrale, purchè però, i suoi atti non contrastassero con le leggi generali e con le norme del diritto canonico. L'apparire degli statuti, pur se in epoca relativamente tarda, anche in queste comunità, sta ad indicare che il sistema di un potere assoluto e arbitrario, che aveva permesso fino allora al signore di fare il bello e il cattivo tempo, si era ormai incrinato, non solo per effetto di una maggiore maturazione della coscienza civile nella parte più attiva e intraprendente della popolazione, ma anche per la terribile esperienza vissuta in presenza degli eserciti stranieri, particolarmente durante la calata dei Lanzichenecchi per il sacco di Roma (1527). Il Leoncini (ib. vol. III pag. 53) ci riporta in proposito una preziosa notizia. Laura Orsini, che con il marito Nicola aveva preso possesso del feudo di Bassanello, verso la fine del secondo decennio del '500, quando scesero i Lanzichenecchi, preoccupata per la sicurezza della sua popolazione, scrisse una lettera alla comunità di Orte, per chiedere "che voglia ricettare le donne di Bassanello et homini con le loro facoltà, respetto la venuta del Borbone". Il consiglio comunale "li ricettò" volentieri "assieme con gli altri convicini così Bassano, Penna et altri lochi". Fu così che per un pò di tempo gli abitanti di Bassanello convissero con gli ortani e molti pregiudizi dovettero cadere e le antiche rivalità e gli antichi dispetti non si ripeteranno più. A seguito di quella esperienza, dolorosa ma anche, per certi aspetti positiva, noi crediamo che dovette maturare nell'animo del popolo e in quello dei signori che lo governavano la convinzione che era bene stabilire un rapporto nuovo e diverso tra le parti, basato non più sull'arbitrio e la prepotenza, ma su un principio di fiducia, di incontro e di giustizia. Non è senza un significato che la premessa che apre gli statuti di Bassanello riafferma con chiarezza il fine che si voleva raggiungere: ("l'augumento della comunità et huomini deputati per consiglio pubblico, fu dato libero arbitrio et autorità da fare capitoli et de ordinare statuti secondo ad loro parerà, per lo honesto vivere et pace della terra di Bassanello". Non sappiamo quanto tempo "gli huomini deputati" abbiano impiegato nella stesura delle norme fissate. Ma se teniamo conto che il decreto con cui Laura Orsini e Nicola della Rovere dispongono che i Vicari "allo officio de Bassanello" abbiano come salario venti carlini al mese, più le competenze a loro dovute per le cause penali e civili, reca la data del 17 novembre 1533, possiamo ritenere con quasi assoluta certezza che, a quella data gli statuti erano ormai completi in tutte le loro parti e la comunità di Bassanello poteva ormai iniziare un nuovo cammino, più umano e più giusto, nella vita di ogni giorno. Don Delfo Gioacchini
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Le Aggiunte
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