FOLKLORE USI E COSTUMI LE PROCESSIONI La religione popolare da sempre ha trovato una sua espressione di viva partecipazione alle grandi manifestazioni di culto pubblico e quindi di propaganda come le processioni. Queste cerimonie religiose, che la Chiesa era solita svolgere nel corso dell'anno, erano numerose. Di seguito elenchiamo le principali processioni che si svolgevano fino a pochi anni fa: PROCESSIONE DI S. LANNO di Gennaio E' la prima processione dell'anno e si svolge da secoli nella seconda domenica di gennaio. Il suo percorso si snoda attraverso il centro storico e termina in piazza con la solenne benedizione del paese accompagnata da fragorosi spari di mortari e fuochi artificiali. Questa manifestazione, testimonia ed esalta i valori della tradizione storico-popolare e la grande devozione del popolo di Bassanello verso il patrono S. Lanno. E' una delle poche processioni che non sono state abolite con la riforma del Concilio Vaticano II. PROCESSIONE DI S. MARCO Veniva effettuata il 25 aprile e percorreva il paese vecchio e la passeggiata sino nei pressi delle "palazzine", era d'uso benedire la campagna. Alla tradizione di propiziare raccolti nei campi era legata un'altra manifestazione che si svolgeva sempre nel mese di Aprile ed era quella delle ROGAZIONI. Queste processioni avvenivano in quattro mattinate successive secondo la direzione dei quattro punti cardinali. Il sacerdote, seguito dai contadini e fedeli, giungeva su un campo che benediceva e su questo diceva una breve orazione per la fecondità della campagna. Entrambe le manifestazioni sono state abolite. PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI La processione che si svolgeva con maggiore solennità e devozione era quella del Corpus Domini. Vi partecipa la banda di Moretti in grande uniforme da ufficiale dei bersaglieri, cappello a piume, spalline e cordone, il Sindaco con tanto di fascia attorniato da tutti i consiglieri comunali, i carabinieri e le guardie municipali in grande uniforme e tutte le Confraternite al completo con torce accese. Inizio del Secolo - Processione del Santo Patrono Il parroco in piviale, attorniato da sacerdoti in tonicella e pianeta, teneva il Santissimo che era ricoperto dal baldacchino le cui aste erano sorrette da nobili locali in guanti bianchi. In ogni chiesa la processione sostava con il canto del "Tantum Ergo". L'infiorata era fatta a "sparso" e le campane di tutte le Chiese suonavano giulive accompagnando la processione a cui partecipava tutta la popolazione con grande devozione. Questa processione veniva svolta il giovedì (giorno del Corpous Domini) dalla Parrocchia di S. Maria e la domenica successiva veniva ripetuta dalla Parrocchia di S. Salvatore. Il motivo di questa doppia processione non è noto. Oggi si effettua solo il giovedì, ma certamente non viene esercitata con la stessa solennità di prima. PROCESSIONE DI FINE MAGGIO In onore della Madonna, Il percorso prevedeva il centro storico del paese e la strada provinciale di Vignanello (Via S. Antonio) con attraversamento del prato e ritorno attraverso la "passeggiata" nella chiesa di S. Maria. Questa cerimonia religiosa è stata abolita. PROCESSIONE DELLA MADONNA DI FERRAGOSTO Questa manifestazione religioa attualmente è stata abbinata alla processione di S. Rocco, comprotettore di Vasanello. PROCESSIONE DEL NOME DI MARIA Questa processione veniva effettuata nella seconda domenica di Settembre. Il suo percorso iniziava dalla Chiesa della Stella ed era limitato al paese vecchio e ritorno in Chiesa attraverso il "piazzale". E' stata abolita. PROCESSIONE DELLA MADONNA DEL ROSARIO Tale manifestazione religiosa si svolgeva nella prima e nell'ultima domenica di Ottobre. Prima dell'ultima guerra, questa processione era gestita dalla parrocchia di S. Salvatore e il percorso prevedeva solo il paese vecchio con ritorno in Chiesa. Negli anni 50 la gestione di questa manifestazione passò alla parrocchia di S. Maria senza però variare il suo percorso. E' stata soppressa. L'abolizione di queste manifestazioni religiose sono dovute alle scelte fatte dal Concilio Vaticano II. FESTE 17 Gennaio Festa di S. Antonio Abate E' la
festa che più si attiene all'antico carattere di festa popolare. Il programma
negli anni è quasi sempre lo stesso, eppure soddisfa. Inizi del 1900 - Una Festa di S. Antonio
Inizi del 1900 - Una Festa di S. Antonio FESTA DI S. LANNO E' la
festa più importante di Vasanello e viene celebrata ogni anno, da secoli, nei
giorni 5-6-7 maggio in onore del Patrono. In occasione di questi festeggiamenti
si svolgono tre processioni, una la sera della vigilia, una il 5 Maggio a
mezzogiorno che si porta fino alla Chiesa del Santo e una di chiusura della
festa con la solenne benedizione del paese al centro del "Piazzale" tra un
fragoroso sparo di mortaretti. DESCRIZIONE DEL CENTESIMO SEGUITO L'ANNO 1728 Lì 4
maggio 1728 vigilia del nostro Santo Martire e protettore San Lanno, ad ore 21
nella Chiesa di S. Maria di questa terra di Bassanello fu dato inizio al primo
vespero celebrando Mons. Vescovo Tenderini in Pontificalibus, con l'assistenza
di 4 canonici della Cattedrale di Orte, e di tutto il Clero di Bassanello con
l'intervento del Magistrato vestito con Ruboni accompagnato da tutti i
Provinciali di detta comunità, assieme con il Ecc. Duca. Inizi del Secolo - Processioni TRADIZIONI CHE SCOMPAIONO IL BANDITORE
L'usanza del Bando si perde nel
tempo e come in tutti i paesi, anche a Vasanello, vi era un pubblico "Banditore"
che con la sua voce chiara e potente e con la sua trombetta di latta intimava il
silenzio, nelle case e nelle strade, per l'annuncio di una notizia . Il Bando
consisteva quasi sempre nella comunicazione dello smarrimento di una chiave, di
un monile d'oro (Rarissimo), di un animale o di qualsiasi altra cosa, prevedeva
anche notizie importanti. Si ricorda con simpatia la figura dell'ultimo
Banditore di Vasanello, il popolare "Renato". Non c'era conversazione, per quanto importante che fosse, che non venisse interrotta dal suono delle due note della trombetta. Ecco come era concepito un Bando in dialetto Vasanellese: " Si fa
sapere che... Oppure se si trattava di una comunicazione pubblica: " Si averte
i' popolo... GLI ALTARINI Fin dai tempi lontanissimi nel nostro paese è sempre stata radicata la fede e la devozione alla Madonna e non a caso la nostra principale Chiesa è dedicata alla Vergine Maria, come pure altre Chiese minori come quella della Stella e della Madonna delle Grazie. Proprio alla Madonna è legata una dolce tradizione che chi non ha un'età troppo verde ricorda benissimo e che oggi è quasi totalmente scomparsa; quella degli altarini. All'inizio del mese di Maggio nelle piazzette, nei rioni, nei vicoli, sorgeva come per incanto un'edicola incorniciata di verdura o di ginestra in fiore, al centro della quale era posta un'immagine della Madonna. Al calar della sera, per tutto il mese di maggio, con l'aria dolce della primavera le donne ed i bambini di ogni rione si raccoglievano presso l'altarino più vicino, dove brillavano lumini ad olio, per pregare e cantare. Quei cori risuonavano nella notte ed una delicata armonia si diffondeva nell'aria suscitando ovunque un senso di pacata nostalgia. Purtroppo questa dolce tradizione col mutare dei tempi è praticamente scomparsa. Forse una delle tante cause potrebbe essere stata la televisione che è entrata prepotentemente in tutte le famiglie e ci tiene tutti chiusi in casa, muti, a guardare il piccolo schermo. A testimonianza di quanto sopra oggi esistono ancora 4 edicole in coccio: la prima si trova in Via Corazza sotto l'arco, la seconda in Via Arco Gentili, entrambe in coccio smaltato risalenti al '400; la terza si trova in Vicolo Cieco, la quarta in Via Roma, quest'ultime due sono in coccio rosso. 1906 - Cerimonia della Prima Comunione
1951 - Cerimonia della Prima Comunione
IL FOCARONE
Sino a pochissimi anni fa la sera
della vigilia della festa dell'Ascensione, festa che cadeva sempre di giovedì e
che con la riforma è stata spostata alla domenica, era tradizione allestire il "Focarone".
La sera della vigilia, dopo cena,
verso le 22,00 dopo aver acceso lumini e alle finestre ed ai balconi, si
riunivano tutti i componenti del rione attorno alla grande catasta di legna e si
dava inizio all'accensione del fuoco. Gli anziani ricordano che, la sera dei focaroni, guardando la montagna del Cimino si godeva di uno spettacolo fantastico perchè l'intera montagna era costellata di una miriade di fuochi. La festa dell'Ascenzione per i nostri predecessori era di enorme importanza religiosa ed a questo proposito è sempre esistito il seguente detto: " Pe l'Ascensione manco i' l'ucelli portano la 'mpizzata da i fiji ". Con questa manifestazione, sicuramente di antica origine pagana, si intendeva simulare l'ascesa di Nostro Signore in cielo. Questa tradizione che era quasi completamente scomparsa, è stata ripresa nel 1993 dalla Classe 1954 e tutti gli anni viene regolarmente svolta dalle varie Classi che si succedono nell'organizzazione delle feste patronali. IL BANDO Usanza antichissima che si svolgeva nell'ultimo giorno di carnevale nella piazzetta dell'orologio. Il banditore dopo aver chiamato a raccolta un gran numero di persone con il corno, metteva all'asta gli oggetti più disparati che i paesani avevano offerto precedentemente ai festaroli. Tipico era il personaggio del banditore che di solito era una persona spiritosa, spesso anche sboccacciata , che rendeva piacevole la vendita con battute, proverbi e scherzi. Da evidenziare che la carica di banditore veniva gelosamente tramandata di padre in figlio. Tempo fa si è cercato di far rivivere questo momento particolare di vita paesana, ma senza alcun successo. LE
SATENE Tipica manifestazione carnevalesca è quella della "satana" (forma dialettale di satira). La satana prendeva di mira le persone che nel corso dell'anno avevano fatto parlare di sè, ne riproduceva in forma caricaturale gli atteggiamenti e le caratteristiche più evidenti.
POGGIATA DI S. GIUSEPPE Questa tipica manifestazione si svolgeva il giorno 19 Marzo, festa di S. Giuseppe. La "poggiata" si svolgeva sui prati circostanti la piccola chiesetta del Santo, sita lungo la strada che conduce a Vignanello. Nel primo pomeriggio, intere famiglie, si portavano in questi luoghi per consumare "la merenda" ed in occasione della poggiata era tradizione tagliare i capocolli nuovi. L'atmosfera era resa festosa anche per le presenze dei venditori di noccioline, dei "porchettari" e "anguillari", oltre alle comitive in cui abbondavano i suonatori di fisarmoniche ed altri strumenti. Soppressa la festività la poggiata oggi è del tutto scomparsa. POGGIATA DI PASQUETTA Tantissimi anni fa, la poggiata in occasione della "pasquetta"; si svolgeva in prossimità della Chiesa delle Grazie. Negli anni '50 fu trasferita in località "Scopiglieto". l'atmosfera era simile alla "poggiata" di S. Giuseppe. Anche questa allegra manifestazione è completamente scomparsa. INFIORATA AMOROSA E' risaputo che il mese di Maggio è il mese dei fiori, ma anche degli innamorati che di essi si servivano per fare omaggi o dispetti alla donna del cuore. Di notte gli innamorati preparavano, fuori dall'uscio di casa della loro donna, un'infiorata "amorosa" o "dispettosa", a secondo della circostanza. Nel primo caso l'infiorata era di fiori, che disegnavano piacevoli rime a messaggio delo loro sentimento, il tutto completato da omaggi di frutta o primizie stagionali che venivano appese alla porta di casa. Nel caso di amore non corrisposto, la ragazza avrebbe trovato, all'indomani, l'infiorata "dispettosa" fatta con semi di "stoppolone" oppure fieno. Anche in questo caso erano frequenti rime; però di sfogo e di scherno: Inoltre, in luogo dell'omaggio di frutta, la ragazza trovava un disegno in calce riproducente un paio di corna. Anche questa tradizione è totalmente scomparsa. LE SERENATE Altra tipica manifestazione amorosa, nella vita paesana di qualche tempo fa, era la serenata, della quale si serviva l'innamorato per comunicare alla ragazza il proprio sentimento. Esisteva una precisa procedura. In compagnia di suonatori e talvolta di un cantante, il giovane si recava sotto la finestra dell'amata, dove faceva eseguire motivi musicali; quattro la prima sera; nel caso la ragazza avesse dimostrato di gradire la precedente serenata; otto pezzi la terza sera e questo faceva comprendere a tutti le intenzioni dei due giovani futuri fidanzati. Il fine della serenata era quello di preparare il terreno per la dichiarazione amorosa diretta. LE SCAMPANATE Riservate ai vedovi o alle vedove che convolavano a seconde nozze. Nella scampanata si mobilitava tutto il paese; gli abitanti dei vari rioni si procuravano gli oggetti più impensati purchè idonei a "scampanare". Ad una certa ora stabilita, tutti si trovavano in piazza, dove si formava un lungo corteo che si dirigeva verso la casa dei novelli sposi. Aprivano tale corteo delle persone che trascinavano sull'asfalto pesanti e numerose catene, dietro tutti gli altri con campani, sonagli, bidoni, pentole, coperchi che venivano percossi con mazze e bastoni. Giunti presso la casa degli sposi, continuava la scampanata fino a che questi non aprivano la porta ed offrivano da bere a tutta la compagnia. PROCESSIONE DELLA "MADONNA DE STA PIAZZA" Quando i temporali estivi minacciavano i raccolti dei contadini era tradizione percorrere in processione, riservata alle sole donne, le vie del paese cantando: " Madonna de
sta piazza, La portatrice dello stendardo era sempre la stessa persona dal momento che anche questo compito veniva tramandato da madre a figlia. Mentre era in corso la processione, era tradizione bruciare nelle case palme benedette con la stessa intenzione di allontanare il maltempo. L'ultima portatrice dello stendardo si ricorda in paese che fu una signora di nome Serafina. LA CARITA' DEI MORTI Con l'espressione di: "Chi ce fa la carità di' morti, sinnò da quelli vii je cacciamo ill'occhi", i bambini del luogo,il 2 Novembre erano soliti percorrere le vie del paese, bussando di porta in porta e portando un cesto in cui ponevano la "Carità". Tutti donavano qualcosa: nocciole, noci, mele, uova, salsicce ecc.; i più generosi donavano anche denaro. Il significato di questa usanza è misterioso. E' pensabile che, se questo tipo di questua per i bambini era un divertente passatempo, per gli offerenti era un modo di dimostrare la propria generosità verso chi chiedeva in nome dei defunti. LA SETTIMANA SANTA I Riti Sacri, che la Chiesa celebrava una volta in occasione della Pasqua, erano molto diversi da quelli attuali. Senza dubbio erano più rappresentativi, più suggestivi e forse anche più apprezzati. Sicuramente la gente era più credulona e non aveva molti svaghi in quanto non esistevano bar, non c'era la radio e la televisione; la Chiesa era il luogo più indicato per come il Cristiano doveva trascorrere il suo tempo libero. Dava inizio ai riti della settimana santa, la preparazione dei santi Sepolcri. Nelle ore pomeridiane i sacerdoti, negli scanni al lato dell'altare maggiore della Chiesa di S. Maria, recitavano lo ufficio delle tenebre, mentre all'esterno del Tempio una turba di "Munelli" eseguivano la battitura con grosse "Pertiche", simboleggiando "La Battitura di Giuda". La mattina del Giovedì Santo, dopo la messa, veniva allestito il Santo Sepolcro ed iniziava il pellegrinaggio del popolo per adempiere al compito della Sacra Visita. Normalmente, oltre al S. Sepolcro allestito nella Chiesa di S. Maria, veniva allestito un Santo Sepolcro anche nella chiesa di S. Salvatore. Ad Orte, sede della Curia vescovile, il vescovo consacrava gli Olii Santi. Nel pomeriggio veniva ripetuto il rito dello Ufficio delle tenebre e della "Battitura", venivano "Legate" le campane e si introduceva l'uso delle "Revole". Il Venerdì Santo, al mattino, si svolgeva una suggestiva funzione che culminava con l'adorazione della Croce. Nel pomeriggio, ancora l'ufficio delle tenebre e la "Battitura". A sera inoltrata si snodava una solenne processione che veniva vissuta dall'intera popolazione con fede, devozione, preghiera e raccoglimento come meritava la particolare ricorrenza. La figura di spicco della processione era, come un pò dovunque, il Cireneo. Vestito di bianco, con un cappuccio in testa e catene ai piedi, portando una croce ed uscendo sul portico della Chiesa di S. Maria per incamminarsi lungo il percorso tradizionale, con il caratteristico fruscio delle catene, creava una sua particolare atmosfera drammatica. Per le vie del paese, illuminate da moccolotti, il silenzio regnava assoluto e quasi irreale; al passaggio del Cireneo il silenzio era inevitabilmente rotto da qualche bisbiglio di curiosità: "Chi Sarà ?". Era tradizione infatti che il Cireneo doveva restare anonimo in quanto "Interpretava" la parte per penitenza, per sciogliere un voto di grazie ricevuta o per chiederla in quell'occasione. Il Cireneo inoltre era lo spavento dei bambini a cui veniva indicato come ladro di galline. Il Sabato Santo, a notte inoltrata, grandi cerimonie culminavano con le funzioni del fuoco sacro, l'acqua Santa e lo scioglimento delle campane che annunciavano Cristo Risorto. Il pomeriggio della settimana Santa i preti lo impegnavano per la benedizione delle case, che allora erano solo quelle del paese vecchio. I casali venivano benedetti dopo la Santa Pasqua. Molte di queste tradizioni si sono perse nel tempo e non sono state sostituite adeguatamente, anzi da qualche anno si sta perdendo anche la "Santa" usanza di benedire le case con il tacito consenso di tutta la popolazione di Vasanello. L'AGONIA Il suono della campana di nove rintocchi, intervallati tre alla volta e suonati molto lentamente, annunciavano che in paese vi era un ammalato gravissimo che era entrato in coma e pertanto soffriva moltissimo per varcare la soglia dell'aldilà. Con questo suono si invocavano preghiere per il moribondo e comunemente si diceva che suonava il "Pater Noster" per cui ogni buon cristiano era tenuto a recitare questa preghiera per tre volte. LA COMUNIONE IN EXTREMIS Quando in paese vi era un ammalato grave, se non si sapeva attraverso le chiacchere della gente, se ne veniva a conoscenza quando la grande campana della chiesa di S. Maria lo annunciava con il suono della Comunione in Extremis. Questo avveniva suonando le campane a distesa e lasciando ogni tanto un tocco. Se i tocchi lasciati erano cinque, significava che la Comunione era somministrata ad un uomo. Se i tocchi erano quattro, la Comunione era per una donna. Due chierichetti venivano immediatamente incaricati di recarsi a casa del malato con una piccola cassettina che conteneva un tronetto sopra il quale, il parroco, avrebbe poi posto, la pisside con le ostie. Ai lati del piccolo tronetto venivano poste due candele accese. Il popolo al suono della campana si radunava fuori della Chiesa per accompagnare Gesù che si recava da un malato. Un sacrista portava un ombrellino bianco per coprire il Santissimo luogo tutto il cammino. Arrivati alla casa del malato, il sacerdote entrava con Gesù, il sacrista e tutto il popolo accorso si genuflettevano fuori dell'abitazione recitando litanie. Il sacerdote somministrava il Sacramento mentre tutti i famigliari del malato pregavano in ginocchio. Al termine della cerimonia il sacrista riprendeva Gesù sotto l'ombrellino ed al canto del "Te Deum" si rientrava in chiesa per concludere il tutto con la benedizione Eucaristica. LA MORTE All'avvenuto decesso erano strilli di disperazione che si rinnovano quando si presentavano parenti ed amici. Il morto veniva rivestito degli abiti più belli; ai lati del letto venivano accesi duo o quattro ceri, poi da qualche pia donna venivano recitate le preghiere dei defunti alle quali facevano eco tutti i presenti. Iniziava quindi un continuo pellegrinaggio di popolo per rendere l'ultimo omaggio al defunto. Altre grida di disperazione, dei parenti più stretti, si avevano quando si presentava il falegname per rilevare le misure per la costruzione della cassa. Non sempre era facile trovare le tavole per costruirla, molto spesso, si doveva ricorrere al prelievo delle tavole dal letto del defunto. Molti anni fa addirittura non venivano usate neanche le casse ed i cadaveri venivano avvolti in un lenzuolo e gettati in fosse comuni. Queste fosse erano situate nelle varie Chiese, che prima erano molto numerose, sembra che a Bassanello ve ne fossero addirittura sedici. I vecchi raccontano che questo accadeva moltissimi anni fa quando il paese fu colpito dal colera. In quel periodo la gente, poco adatta e poco esperta a curare i malati di questa terribile malattia, non appena li vedeva in grave stato di coma e che non davano più segni di vita, senza tanti complimenti, li gettava nelle fosse comuni. A questo proposito, nel corso di una ricognizione effettuata molti anni or sono nella Chiesa di S. Rocco, fu ritrovato lo scheletro di una donna in piedi e con una "Coroja" in testa che cercava di rialzare la pietra sepolcrale troppo pesante per le sue forze. Molte furono le supposizioni, ma la più accreditata risultò quella che la donna, come tanti altri colpita da colera, in coma profondo ed in stato di morte apparente, fosse stata gettata nella fossa comune della Chiesa. Questo è un fatto molto raccontato dai vecchi. Riprendendo il discorso sulla morte, si avevano ancora urla di disperazione quando il falegname portava la cassa e quando questa veniva chiusa. Il suono delle campane, a distesa ed i rintocchi lenti poi, chiamava a raccolta il popolo per rendere l'ultimo omaggio al defunto. In quel periodo esistevano cinque Confraternite e una di queste, quella della Misericordia, con sede nella Chiesa di S. Angelo aveva il compito di rendere l'ultimo saluto ai morti, per questo motivo era definita anche "Compagnia della Buona Morte". Era composta da una trentina di elementi e la loro divisa era una veste bianca con rocchetto e cappuccio nero calato sul volto. Ai funerali dei più facoltosi, pagando, interveniva anche la banda musicale ed il sacrestano distribuiva candeline da accendersi in omaggio al defunto. L'usanza delle candeline durò molto poco in quanto la gente cercava di accapararsele e spesso vi furono anche furenti liti, d'altronde, una candela a quei tempi faceva estremamente comodo. Allo giungere del prete in casa per la benedizione della salma si rinnovavano le urla dei parenti. Quando il feretro poi veniva prelevato, occorreva la forza dei presenti estranei per strapparlo dalle mani dei famigliari. Questi poi, non dandosi per vinti, si affacciavano alla porta di casa o alle finestre e con urla cercavano di mettere in risalto tutte le doti del morto in vita, anche se tutte queste doti non corrispondevano a verità. A tale proposito è da ricordare un piccolo episodio per una battuta spiritosa dell'arciprete Don Ferdinando Fabiani. Saruccia, una vecchietta senza figli ma con un marito a cui spesso piaceva alzare il gomito, con conseguenti liti che spesso degeneravano in busse non meritate, quando morì il marito "Petone", come era di uso si affacciò sulla porta di casa, una abitazione in fondo ad "Arghetto", e tra il pianto e le urla di disperazione disse: "Nicola meo !... Quanto ce simo voluti bè !". L'arciprete Fabiani, che nel parlare tartagliava, nel sentire questa espressione non potè fare a meno di borbottare un pò forte: "E che... mica tanto !". Nel modo in cui lo disse, gli altri preti Don Checco, Don Tertulliano, Don Romeo ed altre persone che avevano sentito scoppiarono in una risata che, date le circostanze ognuno cercò di reprimere con una mano davanti la bocca. La cosa fece eco perchè il "Petone" era uno dei tanti tipi caratteristici del paese. Oggi tutto è cambiato, non si recita più neanche il "Miserere" nel tragitto del feretro tra l'abitazione e la Chiesa, è stato abolito persino il "Giro del paese" ed il colore nero in segno di lutto, sia in Chiesa che nel corso della cerimonia. LA SEPOLTURA Al termine della cerimonia in Chiesa la bara veniva posta sopra la portantina di una delle Confraternite (Ogni Confraternita aveva la propria) e con il prete che recitava le orazioni si prendeva la via del cimitero. La salma veniva posta nella camera mortuaria del camposanto e veniva vegliata per una intera notte. Il becchino "Adamo" preparava la fossa, comunemente detta buca, dove veniva deposta la cassa ricoperta poi di terra. La costituzione del nostro cimitero sembra sia avvenuta verso la fine del secolo scorso ed il primo ad entrarvi fu un certo "Gabrielletto". Successivamente i Mariani, che erano la famiglia più facoltosa, costruirono la propria cappella seguiti poi dai Chiodi e dall'avv. Santovetti. Lungo il muro del lato est del cimitero vennero stabiliti i posti distinti, sempre in terra, ed ancora oggi possiamo vedere un piccolo monumento a ricordo di due gemelli dell'allora Segretario Comunale Dott. Ternali. Il lato ovest era riservato per i pozzi comuni. LE CIMICI Un tempo l'arredamento delle abitazioni era ridotto all'indispensabile e quel poco lasciava molto a desiderare sotto l'aspetto igienico. Il letto era normalmente composto da un pagliericcio ripieno di foglie di granturco e poggiante su ruvide tavole che a loro volta erano sorrette, nella maggior parte dei casi, da miseri banchetti. Il pagliericcio aveva più di ogni altra cosa la capacità di attirare un piccolo e fastidioso animale dall'odore sgradevole: la cimice, volgarmente detta "Puce". Questi animaletti si annidavano un pò dappertutto, ma sopratutto nei letti in copiose colonie. La notte questi ripugnanti parassiti si attaccavano con un pizzico al corpo umano per succhiare sangue provocando dolore e fastidio. L'unico modo per eliminarle era quello di catturarle ed appiccicarle su un piccolo malloppo di creta. Con questo sistema se ne uccidevano a centinaia, ma questi parassiti avevano una capacità di riproduzione eccezionale. Con il progresso e sopratutto con la cura dell'igiene, questi animaletti dallo gradevolissimo odore sono completamente scomparsi. Chissà dove si saranno annidati ? LE MOSCHE Un tempo questi fastidiosi animali, che si dovevano scacciare continuamente di dosso, proliferavano ad una velocità vertiginosa perchè trovavano terreno fertile in un ambiente completamente privo d'igiene. Non si conoscevano ancora gli insetticidi e per debellare le mosche si ricorreva ad un sistema alquanto arcano, ma efficace. Si preparavano mazzetti di felci o altra verdura che venivano successivamente innaffiati con un'infuso di acqua e zucchero, precedentemente preparato, che risultava molto gradito alle mosche. Questi mazzetti di felci bagnati appesi nei soffitti delle case, dei negozi e dei locali pubblici. Le mosche venivano attirate dal ghiotto infuso ed inevitabilmente restavano prigioniere di quel mazzetto di verdura ricoperto del viscoso preparato. La sera questi mazzetti pieni di mosche venivano prelevati dai soffitti, infilati in un sacco e con una "Sgrullatina" i fastidiosi animaletti restavano prigionieri. Poi battendo e pestando il sacco si uccidevano. Con questo sistema si eliminavano un'infinità di mosche, ma il giorno successivo ce n'erano ancora di più. I CALZOLAI Questa era una categoria di proporzioni minori ed i suoi componenti, quasi tutti in stretta parentela, erano: "Momicchio", "Archimede", "Agostinetto", "Giosuè", "Guglielmo e Cornelio". Forse c'era anche qualche altro che non sovviene. I BARROZZARI Un tempo vi era uno stuolo di rozzi uomini, il cui compito era quello di lavorare la terra a trazione animale. Ognuno di loro era proprietario di almeno un paio di buoi che venivano usati per arare ed altri lavori simili. Questi animali venivano inoltre utilizzati per il traino di rudimentali carri a due ruote comunemente detti "Barozze". Questi carri venivano utilizzati sopratutto per il trasporto di materiali pesanti. Questi erano i "Barrozzari": "Mozzone", Clemente "Patanaro", Eutizio, "Giggetto Porri", "Meco" de' Mancinetto, "Giulietto", "Peppe Bettina", Zeffirino, "Perello", Vincenzo "Cardinale", Federico, "Puppolo", "Tarpano", "Petrelli", "L'Ometto", "Puntella", "Giovannino Fuccellara", Lanno "Grosso", "Pisciavino", "Pietro Girolimo", "Mariuccettari", Antonio "Popo", "Peppe Boccuccia", "Padre Ulerio" e "Valentinaccio". I VINARI Vendettero il vino per proprio conto:
- La Sig.ra Checca Mariani nella cantina del proprio palazzo. I MATTIOLI Nella nostra provincia, dal 1866 e per circa un decennio, imperversò la banda del "Crudo" composta oltre che dallo stesso, all'anagrafe Nicola Porta, da circa 40 disperati che con le loro nefande azioni criminali: incendi, ricatti, grassazioni, rapimenti e barbari assassini, misero a dura prova le ambizioni di progresso, di benessere, di tranquillità e di rispetto reciproco dei natii della Tuscia. Vivvaddio, negli anni 70 del secolo scorso, si riuscì a smembrare questa banda e 28 di loro, insieme al loro capo riconosciuto, comparvero in giudizio alla Corte D'Assise di Viterbo che comminò a tutti severe pene detentive; di questa banda di malfattori fecero parte anche i tre fratelli Mattioli Francesco, Lanno e Luigi, l'uno dell'altro più crudele, l'uno dell'altro più vendicativo. Questi nobiluomini ebbero i natali nel nostro paese da tale Giovanni e Margherita Fiaschi rimasero ben presto orfani e si trasferirono, insieme alla madre, nel comune di Gallese; nonostante ciò continuarono, già dediti al crimine, a frequentare il nostro paese ed a terrorrizzare la popolazione con le loro smargiassate. Secondo quello che ci è stato tramandato dai nostri vecchi e, confortati da vari documenti, il tutto cominciò quando i Mattioli entrarono in conflitto d'interessi con il Sig. Vincenzo Ancellotti a causa di un piccolo locale di cui entrambi rivendicavano la proprietà. Riuscirono i primi, con la prepotenza e le minacce di cui erano capaci, a far sloggiare l'Ancellotti che momentaneamente l'occupava. L'Ancellotti venne fuori da questa avventura talmente terrorizzato che quando usciva dal paese, per curare i suoi interessi, lo faceva in compagnia dei suoi servi; la faida iniziò il 4 Febbraio 1866, quando l'Ancellotti si recò a Viterbo per affari da solo. Sulla via del ritorno, già in prossimità di Bassanello, fu fermato armi in pugno da cinque individui mascherati che d'acchitto lo derubarono di 50 lire e poi trascinato nella macchia fu relegato in qualche grotta. Fu richiesto alla famiglia un riscatto di 5000 scudi che fortunatamente fu estorto solo in parte dato che, in un attimo di disattenzione, l'Ancellotti riuscì a sfuggire ai suoi aguzzini. Ammaestrato da questa esperienza, l'Ancellotti, dovendo curare i suoi beni, si vide costretto a muoversi con una scorta armata. Questo espediente non intimorì più di tanto i briganti che, inviperiti dal mancato guadagno, estesero la loro rappresaglia ai famigliar! dell'Ancellotti. Il 10 Giugno 1866 il ricco proprietario fu nuovamente ricattato ed il 20 Agosto suo figlio Paolo riuscì a sfuggire miracolosamente alle fucilate dei banditi. Il 18 Ottobre dello stesso anno fu la volta di Antonio Chiodi, genero di Vincenzo, che venne aggredito in località "Poggio Paradiso", mentre era intento insieme ad alcuni contadini alla semina. Poiché il malcapitato tentò di ribellarsi fu affrontato e percosso brutalmente da Checco Mattioli, e se non fosse intervenuto personalmente il "Crudo" sarebbe stato brutalmente trucidato. Iniziò l'andirivieni di un colono, tra il provvisorio covo dei banditi e la casa del rapito; furono necessari tre viaggi dell'improvvisato messaggero per appagare l'avidità dei manogoldi. Con l'ultimo viaggio, e prima che il Chiodi venisse liberato, il messaggero portò alla moglie del sequestrato "una di costui chiave tinta nel proprio sangue, avvertendola che se avesse ella più oltre resistito, avrebbe quanto prima ricevuto la testa del marito". Tré giorni più tardi l'Ancellotti sfuggì ad un ennesimo attentato, nel quale per fatalità, cadde ucciso un suo servo che lo precedeva a cavallo, quest'uomo si chiamava Francesco Celesti. Nel Settembre del 1868 Francesco Mattioli scomparve misteriosamente senza lasciare tracce; il suo corpo fu ritrovato dopo due mesi, in avanzato stato di decomposizione, nella macchia dei "Ruffì" in prossimità di Bagnolo. I fratelli, Luigi e Lanno, attribuirono il delitto a certo Antonio Budi, detto il "Marchigiano", e di professione "calcinarolo", in qualità di sicario dell'Ancellotti e giurarono vendetta nei confronti dell'uno e dell'altro. In paese si respirava aria pesante ed in molti, facili profeti, previdero un'imminente strage. L'11 Ottobre 1868, il "Marchigiano" si recò a vendere il suo prodotto fuori del territorio di Bassanello; i Mattioli, che presumibilmente lo facevano spiare, gli tesero un agguato nei pressi del cimitero. Sulla via del ritorno, quasi giunto alla meta, il "Marchigiano" in compagnia di "Lanno i 'Madonnao" e sua moglie fu fermato e fatto scendere. I banditi intimarono a Lanno e sua moglie di allontanarsi dicendo che al "Marchigiano" avrebbero pensato loro; allontanatisi di gran fretta i due udirono il colpo di fucile con il quale il "Calcinarolo" stramazzò a terra ucciso. L'oltraggio alla salma, fu confermato quando si recuperò il corpo: i banditi gli avevano reciso il capo. Il 28 Giugno 1869, Vincenzo Ancellotti si recava, suo ultimo viaggio, in compagnia di un certo Gabriele Pieri in un suo podere; arrivato al portale di "Fontana Camerata" sentì alle sue spalle un torvo avvertimento: "Ommino.-.si morto!". Erano i Mattioli appostati nella vigna di proprietà "Castracani". Si udirono due spari, l'Ancellotti cadde a terra invocando la Vergine e, spirò mentre il Pieri, impaurilo, se la dava a gambe verso Bassanello. Ai famigliari accorsi il cadavere si presentò con due pallottole conficcate in corpo, una nella mandibola ed una nell'addome, il capo era stato mozzato. La biega barbarla della recisione del capo era opera di Luigi, il minore dei Mattioli, che così fu definito dalla Pubblica Accusa nel processo a suo carico all'Assise di Viterbo: "E più degli altri inoltrato nella carriera del delitto, nel quale aveva mostrato una sconcertante precocità; a tre lustri emulava i più rapaci grassatori, dopo due anni assassinava con premeditazione ed incredibile freddezza prendendo diletto a recidere il capo alle sue vittime". Sulla stessa lunghezza era il Sindaco di Bassanello in occasione della richiesta di certificato di moralità del Mattioli nel 1872: "Alla moralità del Mattioli Luigi, deve il sottoscritto certificare affermativamente il contrario, poiché la pubblica notorietà lo denuncia gravemente pregiudicato per reati di omicidio, di grassazioni, ricatti e sequestri». A rincarare la dose il Sindaco di Gallese: "In questo comune domiciliato pastore, tenne una condotta sospetta, quindi come corre la fama, allettato dalla facilità di illeciti guadagni vi si abbandonò senza curare i mezzi da donde derivavano, facendo tacere la propria coscienza col suono del denaro, o con la necessità della vendetta». Ancora il Sindaco di Gallese, questa volta sul conto di Lanno Mattioli: "Oriundo di Bassanello ed in questo comune per lungo tempo domiciliato come pastore, di poca laboriosità, ed inclinazione al vizio, che coltivato ed allettato da chi aveva diritto ed obbligo di distrarvelo, lo trascinò sulla via delittuosa, la quale lo condusse a render conto dei diritti di società, propietà e umanità, per esso, come è voce comune, calpestati infamemente". I Mattioli avevano a Bassanello ancora un grande nemico, Antonio Mariani, padre del Sor Giusto e Monsignor Salvatore. Fra le due parti si innescò un odio particolarmente cruento che sfociò in un'avventura degna di un films. Si racconta che: - Un giorno i Mattioli riuscirono a catturare il Mariani in località "Arignano" e lo trascinarono nel loro covo. I malfattori, in compagnia di altri componenti la banda del "Crudo", per festeggiare l'avvenimento uccisero un maialino e per arrostirlo delegarono il prigioniero ad accudire il fuoco comunicandogli anche che dopo il festino gli avrebbero fatto la "festa". Il Mariani, una volta provveduto alla cottura del maialino, fu legato e lasciato nei pressi del fuoco mentre i rapitori, al riparo della propria capanna, cominciarono a festeggiare l'accaduto. Antonio meditava la fuga ed attendeva il momento propizio per attuarla. Dopo circa un'ora, ritenuto che i malfattori fossero tutti presi dai fumi dell'alcool, si liberò dai legacci mise il suo mantello sul pongolo (specie di bastone), vi posò sopra il cappello e se la diede a gambe insalutato ospite. I briganti, quando decisero di mettere in atto la loro minaccia, si imbestialirono accorgendosi della beffa perpetrata ai loro danni; cercarono di rintracciare il prigioniero ed al culmine dell'ira Lanno Mattioli cominciò a sparare all'impazzata. Di seguito trascriviamo una delle tante lettere minatorie che i briganti indirizzavano ai possidenti locali: «Caro sorfilice ci racomantiamo a voi che noi siamo sei persone che stiamo per le mache e ci racomantiamo che ci montate cinquecento lire che no sarete molestato ne voi e ne i vostri beni che sino li montate nosarete patrone asorti di casa e se li montate che siano puliti e fate silenzio e montateli questi denari che si no li montate nosarete patrone a caminare tre pasi e se li montate che siano puliti e state zito che si no li montate vi daremo foco a voi e tuta la roba e silenzio». Finalmente la Benemerita entrò in azione, scrollandosi di dosso l'apatia fin lì dimostrata, braccando ed inseguendo i banditi ed infine catturandoli. Al giudizio ai Mattioli furono inflitte le seguenti non lievi pene: - Lanno Mattioli: lavori forzati a vita. - Luigi Mattioli: 28 anni di detenzione. Lanno morì dopo alcuni anni di bagno penale, Luigi scontò i suoi 28 anni uscì anziano e malandato, ma nonostante ciò si sposò con una certa Annamaria che gli dette un figlio maschio di nome Giovanni. Morto il bandito Annamaria si risposò con tale Marco ed emigrò in America. Qui dopo qualche anno abbandonò il marito e si risposò per la terza volta con un emigrato originario di Chia. Con quest'ultimo rientrò in Italia mentre il figlio di Luigi Mattioli, Giovanni, restò in America e di lui non si sono più avute notizie. I COCCIARI L'arte che sempre onorò il
ns. Paese, fu certamente quella del cocciaro, ossia il fabbricante di vasi, mattoni, cocci, in genere. Anticamente, soprattutto nel periodo del Medio Evo, questa
attività fu floridissima. DIVIETO DI SVELARE AD ALTRI IL SEGRETO DELL'ARTE DELLE PIGNATTE Essendo gl'habitatori et gl'homini di Bassanello fondati principalmente nell'arte de vasi che volgarmente dicesi delle pignatte e di queste cavando loro il più del vitto et il sostenimento, laonde spargendosi il detto exercitio qui d'intorno, si causerebbe che quanto si accrescesse di guadagno a quest'altri luoghi tanto in questo castello se diminuirebbe di sustantie e di quotidiano emolumento. Dunque per questo ordinamo et statuimo che nessuno del prenominato nostro castello vadi fora del territorio nè altrove a lavorar li detti vasi et pignatte sensa nostra espressa et scripta licentia sotto pena per ciaschuno et ciasch'una volta di ducati cento di carlini d'applicarsi come le altre alla Camera Nostra e dare il quarto all'accusatore quale serà tenuto segreto et vogliamo che questo ordine s'intenda perpetuarci finchè non sia revocato per contrario nostro ordine scritto et autentico. Datum Bassanelli ex edibus
nostris die XIII mensis februarli MDLXV. Propria manu in hoc libro scripsi. Iulio della Rovere
2° - EDITTO DIVIETO DI ADOPERARE LA LEGNA PER LA COTTURA DELLA CALCE Essendo che la principale arte in Bassanello sia il far delle pignatte et le legne per tal exercitio siano continuamente necessarie et essendoci esposto che alcuni fanno fornace de calce per venderla a forestieri et di ciò la comunità ne sente grave danno et incommodo per esser che in tal fornace defluiscono si gran quantità de legna ad ciò che durrando così in breve tempo non si trovarebbono legna per sustentare la suddetta arte delle pignatte che sensa essa li homini di questa Terra non potrebbono vivere. Onde volendo Noi obviar a questo danno per il presente publico banno a nostro beneplacito duraturo si prohibisce a qual si voglia persona di Bassanello o habitante in esso non ardiscano dopo la pubblicazione del presente banno sotto qual si voglia quesito voler fare o far fare fornace di calce in Bassanello nè in suo territorio per altro che per l'uso proprio della detta terra di Bassanello, et che detta calce non possi venderla a foristiero alcuno sotto pena de dieci scudi per ciasche volta et ciasche soma che ne vendesse da applicarsi per un quarto allo accusatore qual sarrà tenuto secreto et il resto alla Camera del ILLmo sig.re Iulio Ruere. Die 3° Aprilis MDLXVIIII
Quella dei cocciari era una classe numerosa ed importante, tanto da avere nella chiesa di S. Salvatore una cappella, dedicata a S. Giuliano, di loro proprietà, come citato da un manoscritto d'epoca: "... la suddetta cappella è della università dei Pilari per tradizione e da loro fu costruita, come si sa dai vecchi, e dai suddetti Pilari è stata sempre mantenuta con l'elemosine che sempre vengono date dalli medesimi ogni volta fanno le fornaci di pile". Inoltre per meglio comprendere la grande importanza di questa arte ed il lustro che dava a Bassanello, riportiamo alcuni brani tratti da "Dizionario Ecclesiastico" del Moroni (Vol. 102) del 1861: " Bassanello - Comune della Diocesi di Orte, con territorio in colle ed in piano, con pochi e mediocri fabbricati cinti di mura. E' posto in piana e graziosa situazione, e poco distante vi scorre il fiumicello Neva, che dopo 3 miglia gettasi nel Tevere verso tramontana. Il clima è temperato ed i venti vi spirano secchi. Abbonda d'acqua e di generi: Si fabbrica molto sapone e rinomate sono le fabbriche d'ottimo vasellame di creta resistente al fuoco e denominato di Bassanello... La statisca novera 258 case, 260 famiglie, 1201 abitanti, dè quali 16 in campagna. Sono precipui prodotti del territorio il grano ed il vino oltre i pascoli; è pure ricco di querceti. Narra il Calindri che Bassanello già esisteva sotto gli antichi re Toscani col nome di Vasanello e faceva parte dei popoli Falisci, giunta la descrizione di Livio. Lo dice originato dai popoli d'Arcadia e crede che nel territorio fosse il lago Vadimone, ormai seccato, il quale ai tempi di Plinio era di tanto interesse. Ma l'ubicazione e assai contrastata..... Soggiunge il Palmieri, che in questo paese, o ivi presso, P. Cornelio Dolabella vinse gli Etruschi nel 741 di Roma; e che anticamente forse fu detto Vasanello, per l'abilità degli abitanti nella formazione dei vasi di creta..... " All'inizio del '900, erano
ancora molti gli artigiani che svolgevano questa antichissima attività, in "Botteghe", che poi non erano altro che grotte scavate nel tufo, umide e spesso prive
perfino di finestre. A Bassanello esercitavano questa attività, nei primi anni del ns. secolo, i seguenti cocciari: "Cuccunanni", Eugenio, "Panturo", Pietro, "Burattone", "Ceserello", "Bicchierone", Giovanni "Vappo", "Giggi Vappo", "Scaramella", "Augusto Cuculo", Mario "Sacrestano", "Pizzetta", Luciano Romani, "Checcarello", "Menghi", Germanietto", "Annunzio Vappo", "Petone", "Desiella", "Adamo lo Becchino", "Nino Sacrestano", "Enrico Burattone". La materia prima per lo
svolgimento di questo lavoro era l'argilla, comunemente detta "Tera", che veniva
approvvigionata tramite estrazione da cave poste in una località a circa 2 km. da
Bassanello, denominata
"Terrae" (Dove attualmente sorge il villino degli Architetti Veraldi). La
provvista di "Tera", veniva effettuata nei mesi estivi, questo per avere una buona essiccazione al sole prima di
incamerarla nelle botteghe. La provvista di "Tera" annuale di ciscun cocciaro, variava da 100 a 150 balle. Generalmente i vetturali erano: "Peppenero", "Lanno Scuffia", "Peppe di Emma", "Carluccione", "Capone", tutti coadiuvati, nello svolgimento del lavoro, dai famigliari. La "Tera", giunta nelle botteghe, per poterla lavorare, veniva messa a bagno in una grande vasca denominata "Parmento". Dopo questo bagno l'argilla veniva macinata al "Cilindro", composto da due grandi rulli attraverso i quali veniva fatta passare. Questi rulli venivano girati a mano da due persone. Questa operazione aveva lo scopo di omogeneizzare l'argilla. Il cilindro non era posseduto da tutti i cocciari, per cui, coloro che ne erano sprovvisti dovevavano ricorrere all'affitto o al prestito di questo macchinario. La "Tera" passata al cilindro, veniva successivamente deposta su un tavolo e battuta con una sbarra di ferro, per raffinarla. Dopo questa operazione, la "Tera" era pronta per la lavorazione. La lavorazione della argilla veniva effettuata su un rudimentale "Tornio". Questo era composto da un asse verticale alla cui base era fissata una ruota di legno che faceva da volano. All'estremità superiore era fissato invece un ceppo, sempre di legno, sul quale veniva depositata la "Palla" di argilla che doveva essere lavorata. Il cocciaro batteva il volano di tocco con il piede sinistro e plasmava la creta con le mani e la stecca, unico attrezzo a sua disposizione. Terminato il particolare, questo veniva deposto su una tavola ad asciugare al sole oppure all'aria. Quando i pezzi asciutti erano molti, si procedeva alla cottura, che era l'operazione più delicata e difficile del ciclo di lavorazione dei cocci. La difficoltà di questa operazione, era rappresentata dal fatto che, si dovevano raggiungere temperature e tempi di permanenza ottimali, senza avere a disposizione, segnalatori, per cui il tutto era affidato all'esperienza personale. I cocci venivano collocati nella fornace accuratamente, senza farli toccare fra di loro, in modo che la temperatura potesse raggiungerli uniformemente in ogni punto, quindi si procedeva alla chiusura della bocchetta d'ingresso tramite muratura. A questo punto iniziava
l'operazione di cottura comunemente denominata "Tempra". Si procedeva con un
fuoco molto lento, che veniva alimentato per 4 giorni sino a raggiungere una temperatura
max di 300 C. Questi colori venivano preparati artigianalmente dai cocciari: - Il giallo era formato da un miscuglio di antimonio, calce (Come fissativo) ed ossido di piombo (Fondente). - Il verde veniva preparato con zolforamato diluito nell'acqua a cui venivano aggiunti calce, ossido di piombo e antimonio. Anche l'ossido di piombo veniva "Fabbricato in Casa" tramite un processo particolare definito "Calcinazione". Questo processo prevedeva la cottura del piombo fino al raggiungimento dello stato liquido, quindi si procedeva al prelievo di tutte le sostanze in sospensione (Ossido di Piombo) che, raffreddate, venivano macinate. I cocci, una volta pitturati, venivano sottoposti ad una operazione definita "Metriato". Questo processo prevedeva l'immersione dei cocci in un miscuglio di acqua ed ossido di piombo macinato. Con questa operazione i cocci ed i disegni venivano ricoperti di una pellicola di piombo che serviva per proteggerli dal fuoco. Terminato il processo di "Metriato", i cocci venivano di nuovo rimessi nel forno e di nuovo cotti con un fuoco allegro per circa 20 ore, raggiungendo una temperatura di circa 850/900 C. Quando la fornace iniziava a divenire rossa si doveva verificare se era giunto il momento di "Lasciare il Foco". Per effettuare questa verifica si accendeva uno "Zeppetto" di nocciolo che, inserito su un attrezzo di ferro denominato "Spido", veniva introdotto in un foro della fornace, appositamente predisposto, denominato "Vedetta". Con la fiamma che lo zeppetto sprigionava, era facile vedere chiaramente se le pitture ed i cocci avevano raggiunto la brillantezza che il cocciaro desiderava. Se i cocci avevano raggiunto il giusto punto di cottura, si "Lasciava i Foco" ed iniziava il raffreddamento, operazione che aveva una durata di circa 2 giorni. Quando la fornace era fredda si procedeva alla sfornata e quindi al controllo dei particolari. Se i cocci erano lucidi significava che tutte le operazioni si erano svolte alla perfezione, se invece erano bianchi ed opachi significava che il fuoco non era stato sufficiente per la loro cottura. Poi iniziava la cernita dei cocci e tutti quelli buoni venivano ammucchiati per categoria pronti per la vendita. I Particolari traforati che erano i più raffinati (Scaldini, Portavasi, Portaombrelli), venivano lavorati nelle case di sera, anzichè nelle botteghe, perchè erano particolari che richiedevano molta attenzione e molto tempo. Questi pezzi erano destinati, quasi sempre ad ornare le case dei signori. Per i grossisti, che acquistavano i cocci per poi venderli nei paesi vicini, i cocciari applicavano il sistema del "Conto". Il "Conto" era una unità di misura che prevedeva una cifra fissa in lire, ed una variante costituita dalla quantità di pezzi che cambiava a secondo della grandezza dei cocci e della categoria a cui appartenevano. Formavano un "Conto": Categoria Pignatti
Categoria Cazzarole
Categoria Cazzarole
Categoria Scole
Tegamini
Il valore di un "Conto" era pari a 10 soldi. Poi vasi, mattoni, anfore, tubi, tegole ed altri tipi di cocci, ogni categoria aveva, a secondo della grandezza dei particolari, un suo "Conto". La sfornatura di una fornatura dava circa 300 "Conti"; questa quantità poteva considerarsi il lavoro di circa 1 mese. La legna a quei tempi costava 1/2 lira la soma; il piombo 5 soldi al kg. Intorno ai cocciari ruotava l'indotto dei rivenditori di cocci, queste persone, denominati "Caricatori", compravano i cocci e li trasportavano , tramite barozze trainate da buoi o da somare, nelle fiere dei paesi e spesso arrivavano, a venderli a Roma, Frascati, Marino. Appartenevano alla categoria dei caricatori: "Cencio Fighetto", "Mustafà", "Mintonio", "Dondolano", Alfonso Paolocci, "Checco Pallone", Pio Paolocci, "Florindo Caggetto", "Sardino". Poi la famiglia Paolocci, comprò il "Cariolo", un carro robusto a quattro ruote, che, trainato da muli, dava loro la possibilità di trasportare più materiale impiegando minor tempo nei loro lunghi viaggi a volte anche avventurosi. Molti trasportavano i cocci a dorso di somara con due ceste. Non mancavano poi le dure vecchiette che, con grossi cesti in testa, portavano i cocci sino ad Amelia (30 km.) per guadagnare 5/6 lire. Di queste vecchiette vale la pena ricordarne alcune: "Rosa la Bittora", "Maria Argante", "Franceschella". A proposito di questi viaggi avventurosi, è da narrare un fatto curioso da cui è scaturito un noto detto Bas_ sanellese: "Un certo Anselmo, detto "Il Fusto", andava spesso in Umbria a vendere i cocci con la sua somara, per cui era costretto ad attraversare il Tevere con la barca. In uno di questi attraversamenti, mentre il Tevere era in piena, e non si sa come, la somara si imbizzarrì e finì in acqua. Sia il barcarolo che il "Fusto", fecero il possibile per salvarla, ma tutti i loro sforzi furono inutili e la somara fu trascinata via dalla corrente. Mentre si allontanava Anselmo guardandola con commi_ serazione gli lanciò questo monito: - Eh !... somara mea, ... me lasciarai scontento, ma pure tu, nun te ne varai vantanno ! - come dire: "Per me va male, per te andrà peggio". Scomparsi i cocciari
elencati all'inizio, i loro successori sono stati fino a pochi anni fa (Anni 60) i
fratelli
Orlandi Ovidio ed Alverio coadiuvati dai loro figli Linceo, Bruno detto
"Pizzetta" e Orlando. Pian piano anche
questi sono stati costretti ad abbandonare questa attività, perchè con il progresso e
con le nuove leggi si
sono trovati di fronte a molte difficoltà di ordine igienico-sanitario, ecologico e
concorrenza industriale. LA BANDA E' noto a
tutti quanto noi Vasanellesi siamo legati alle tradizioni Bandistiche. Nacquero
quando "I' sor Giggi Ancellotti", allora sindaco di Bassanello, nel 1889 si
adoperò per la costituzione di un corpo bandistico affidandone la direzione al
M.tro Enrico Giovannini di Orte. I componenti di quella prima mitica banda furono:
In seguito il complesso si arricchì di altri elementi:
Inizi del 1900 - Banda in Concerto Presso la Piazza del Comune
1908 - Esibizione della Banda Musicale
Dopo breve tempo, e di questo
non se ne conosce il reale motivo, la direzione fu affidata al M.tro Moretti (di
origine abbruzzese). "I munelli" che componevano la banda furono:
Banda Musicale di Bassanello di Roma
Finalmente nel 1920 su interessamento di un certo Poleggi Raffaele che si era congedato dalla fanfara del 51° fanteria, si riuscì a riorganizzare un corpo bandistico. I componenti di questa banda furono:
Come avvenne per la prima,
anche questa, per screzi interni dopo 6-7 anni si sciolse.
Anche
questa, per un ineluttabile destino come si usava dire a quei tempi, seguì
la sorte delle prime. "I Bardascetti" in camicia nera che ne fecero parte erano:
1941 - Banda Musicale dei "Giovani Balilla" di Bassanello
Anche questa formazione durò
poco, non tanto per le solite incomprensioni interne, ma perchè nata in quel
certo periodo. MENU' PRINCIPALE | Al Lettore | Brevi Notizie Storiche | Notizie Storico Religiose | Spartizione delle Terre | Folklore Usi e Costumi | | Monumenti che Spariscono | Si Gira il Paese | La Sapienza Popolare |Poesie | Bibliografia | | I Componenti della Classe 1951 |
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