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Aspetti della Vita del Casalante

Il Lavoro - Il Divertimento - La Religiosità - Il Costume - Personaggi Tipici

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Ii Divertimento

Preparazione della Fiera del Paese

La fiera del paese era per i contadini e in particolare per i casalanti un'occasione per vendere i propri animali e scambiarli con utensili da cucina o attrezzi da lavoro.
Questo grande mercato si verificava il 15 agosto (giorno dell'Assunta) ed era molto grande e importante: era sopratutto una fiera di bestiame perchè c'erano molti animali, disposti sul prato "di sopra" e "di sotto", di tutte le razze: bovini, suini, ovini, caprini ma anche animali da cortile.
Prima di questo avvenimento nei casali si lavorava a pieno ritmo perchè se si voleva vendere un animale a buon prezzo e se questo era troppo magro, i casalanti dovevano pulire e farlo mangiare bene.
C'erano degli anni in cui facevano affari, ma altri in cui i contadini restavano insoddisfatti perchè non erano riusciti a vendere gli animali che volevano ad un prezzo conveniente.
Ricorda Larino PURCHIARONI:
"Io da ragazzino attendevo con ansia la fiera, perchè trovavo divertente girare tra le numerose bancarelle, incuriosito da ciò che osservavo: per me era il giorno più bello di agosto, come per tutti i bambini, perchè ci divertivamo e speravamo anche di acquistare qualche cosa che ci piaceva".
La fiera era l'occasione non solo per fare affari, ma anche per socializzare con persone provenienti da altri paesi , per scambiarsi idee e opinioni.
Tutto questo oggi è facilitato dalla diffusione dei mezzi di trasporto sopratutto dalle automobili che tutti possiedono, ormai, e con cui si raggiungono in dieci minuti o un quarto d'ora circa, i paesi limitrofi, come Gallese, Vignanello, Orte.
C'era, è vero, l'autobus che collegava Vasanello alla stazione di Orte Scalo e alla ferrovia di Roma nord di Vignanello, ma le automobili private non le possedeva quasi nessuno, ad eccezione di alcuni noleggiatori, come Luigetto, Sergio, negli anni '50, e più tardi, Licinio.
Ma si prendeva a noleggio una macchina solo in casi eccezionali o gravi.
Allora, nessuna casa privata aveva il telefono, perciò si viveva abbastanza isolati.
E quale miglior occasione per uscire da questo isolamento che la fiera del paese ?

Purchiaroni Giovanna - Corsi Chiara (Classe III/L)

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Famiglia PURCHIARONI ARVETO riunita in occasione di una festa

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LE SERENATE

Le serenate sono degli insiemi di canzoni amorose, che il ragazzo dedica alla sua ragazza prima, durante il fidanzamento , il giorno prima del loro matrimonio.
Purtroppo al giorno d'oggi non si fanno più molte serenate, prima però era diverso, infatti molto spesso si sentivano canzoni in lontananza nel cuore della notte.
Prima della seconda guerra mondiale molti ragazzi vasanellesi le facevano.
Il signor Mecocci Nazzareno ci ha raccontato che, intorno agli anni 1930/35, c'erano gruppi di giovani, che si divertivano molto a fare queste serenate, visto che a quel tempo i divertimenti scarseggiavano.
I ragazzi organizzavano le serenate a delle ragazze verso le quali provavano simpatia e talvolta qualcosa di più.
Gli strumenti usati non erano molti, c'erano però quelli più indispensabili, come la chitarra, il mandolino, il violino.
Quando i ragazzi non erano capaci a suonare quegli strumenti usavano dei grammofoni con dischi, che nascondevano dietro i cespugli, mentre loro fingevano di suonare.
A volte la ragazza si accorgeva del brutto "scherzetto" e, offesa, diceva loro:
"Brutto stupido, io creeo che tu me amassi da vero, invece me hai preso in giro !", chiudeva la finestra, ma dopo pochi minuti si riaffacciava e , siccome l'innamorato cercava di farsi perdonare, la ragazza si vendicava iniziando a lanciare oggetti, finchè non se ne fosse andato.
Se invece la ragazza ricambiava l'amore del ragazzo, la madre chiedeva alla figlia cosa stava succedendo e lei rispondeva con una canzone:

"Mamma, nun me lascià sola: c'è un giovanotto che me vole parlà, è un giovanotto venuto da Roma c'ha giurato che me vole bacià".
Prima di fare le serenate i componenti della banda cenavano insieme al ragazzo ed a volte, durante la cena, si facevano dei brindisi del tipo: "Emo beuto e magnato, ma ill'augurio dell'innamorato nun jelemo ancò fatto".
Verso tarda notte si riunivano sotto casa della ragazza.
Di solito i ragazzi,  prima del tanto atteso momento, preparavano delle infiorate amorose che si facevano con rose o altri fiori sulla strada, durante il periodo di maggio.
Se i due innamorati non abitavano molto distanti, le porte dei due casali venivano fatte comunicare con queste infiorate.
I ragazzi che partecipavano a queste serenate venivano anche pagati.
La serenata durava circa una mezz'ora, ma se le cose andavano per le lunghe, i vicini potevano adirarsi e lanciare dei secchi di acqua gelata sulla loro testa.
I ragazzi, a quel punto, iniziavano a far delle provocazioni chiamandoli:
"Vecchiacci, vecchi bacucchi, annate a dormì cò le galline" e iniziavano a tirar loro oggetti o gli strumenti stessi.
Se tutto andava bene, la ragazza, che era molto emozionata lanciava al ragazzo dei baci ed iniziava a piangere per l'emozione. Si cantavano canzoni o stornelli. Si facevano anche delle serenenate "dispettose". Infatti, se i due innamorati si erano appena lasciati, il ragazzo cantava canzoni del tipo: "Speranze perdute" o altre canzoni in cui veniva dichiarato la fine del rapporto.
Infine è da dire che la serenata serviva per preparare il terreno delle dichiarazione diretta e, nel farla, c'era una procedura ben precisa: la prima sera l'innamorato dedicava alla ragazza 4 canzoni; la seconda sera, nel caso la fanciulla avesse dimostrato di gradire la serenata precedente, venivano eseguite 6 canzoni; la terza serenata infine, composta di 8 canzoni, faceva capire le intenzioni dei due futuri fidanzati. Ormai il giovane poteva ardire di dichiararsi esplicitamente.

Giacinti Valentina - Mecocci Diana (Classe III/N)

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CANTI POPOLARI

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Molti anni fa, quando si andava in campagna, per passare il tempo, si cantavano delle canzoncine su diversi argomenti.
Il signor Costantino Costantini ci racconta, ad esempio, che quando era il tempo della raccolta delle nocciole, cioè nel periodo di Settembre, le ragazze venivano assunte da un padrone che le pagava per raccoglierle. Le giovani andavano in campagna la mattina presto e tornavano la sera tardi.
Così i contadini cantavano:

Fiore le nocchie
quanto sò strapazzate ste gionotte
la mattina a bon'ora,
la sera a notte.

Il signor Costantino ci ha raccontato che un giorno, mentre si recavano in campagna, alcune persone incominciarono a cantare:

Fiore dell'ua
l'ua nun la fa la primavera
manco la faccia soa la fa figura

O meto, meto
meto lo grano de tre giorni nato
quello de nove mesi lo lascio areto

Poi quando arrivarono nel campo, in cui rimasero per tutto il giorno, scesero dal carretto e iniziarono a sistemare gli attrezzi per il lavoro che dovevano fare. Uno dei contadini, che era con il signor Costantino, iniziò a cantare una canzoncina, rivolto verso sua moglie:

Bussa, bussa la porticella
è la mia bella che mi viene a rapì
cò la mano aprì la porta
e cò la bocca me lo dà un baciu:
Questo bacio è troppo forte
fino alla morte me lo fa sentir.

Allora la moglie contenta di quello che aveva detto il marito, intonò un'altra canzone:

Mamma nun me lascia sola
c'è un giovinotto che me vole parlà
è un giovinotto venuto da Roma
c'ha giurato che me vole bacià.

Così un terzo contadino, stanco di sentire questi canti, raccolse gli attrezzi e s'incamminò nel campo.
Arrivato, lasciò gli attrezzi e iniziò:

"Non piange Bassanè, che tè quelero,
questa non è una tera abbandonata
c'è San Lanno, protettore in cielo,
le grazie le dispensa sulla strada.
Per sua garzialità e suo garzelo
la sua testa la tiene antelocata.
Per sua garzialità e suo garzelo
protettore è de Bassanello.
Ma che le viene il Corpo di Cristo
tu San Lanno mio sei benedetto,
te ne vieni le cinque di Maggio,
le cinque de Maggio. le cinque di onore,
Pasque rosate le feste maggiore:
Poi le pijamo a la mano a la mano
ill'otto d'Agosto è San Fammiano
San Fammiano ce pozza aiutà
dai vii e dai morti ce pozzi sarvà".

Tutti i contadini lo seguirono nel campo e cominciarono a lavorare. Per un pò nessuno cantò, ma dopo poco tempo , inevitabilmente, iniziarono a intonare piccoli stornelli. Ad esempio:

Fiore, fiorello
mettete la gallina vicino i jallo
che lo vedrete poi un giochetto bello.

Dopo un pò una donna si alzò e disse: "Me tocca i' a piscià, sinnò la faccio decchi !" Allora suo marito cominciò a cantare:

"Fiore mentuccia,
me se piscia sotto la regazza
nun ze campa più fa la gran puzza".

Tra una canzone e l'altra arrivò l'ora di pranzo, così alcune donne si alzarono per andare a preparare i cibi da mangiare. Mentre "apparecchiavano" parlavano tra loro e alcune cantavano:

Fiore del pepe
sotto lo sinalino la portate
la fontanella che smorza la sete.

Finito di "apparecchiare" chiamarono gli uomini, che si precipitarono poichè avevano molta fame.
Un ragazzo confessò il proprio amore per un'altra ragazza e le dedicò due canzoni:

"Portate l'occhio nero brillantino
lo fate innamorà chi sta lontano,
penzate cara a chi te stà vicino".

Poi donandole un fiore:

"So stato sulle montagne de la maiella
dove la neve non se ne va mai,
ho cavalcato una cavalla morella
a te carina nun te cavalco mai,
ma se cè rivo io a montà in sella
le speronate quante tu le voi".

Maracci Eleonora - Orlandi Elisabetta (Classe III/N)

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UNA SERATA DI CARNEVALE PRESSO IL CASALE

L'intervista è stata fatta a Creta Formina d'anni 91.

Creta Formina racconta che, durante il periodo di carnevale lei e la sua famiglia, insieme con alcuni amici, si riunivano nel magazzino del casale, luogo molto spazioso, dal momento che "ospitava" trattori, macchine agricole e le provviste dell'inverno - a volte però ci si riuniva anche in qualche casa abbandonata. Formina racconta che anche a quel tempo ci si mascherava, ma non come adesso, perchè le disponibilità economiche non permettevano di sprecare molti soldi per cose, tutto sommato, inutili.
Oggi i costumi carnevaleschi sono strani e quasi mai raffigurano degli esseri umani, invece prima si usava vestirsi con divise da carabiniere, soldato o vigile per i maschi e vestiti da sposa o lunghe vesti antiche con molti pizzi e ricami per le donne; inoltre i vestiti si creavano in casa, siccome non esistevano le confezioni oggi tanto in voga.
Durante la festa di carnevale era consuetudine che il capo famiglia, Creta Antonio, facesse un discorso che generalmente si concludeva in questo modo:
"Che inizino le danze !"
Si ballava a ritmo di valzer e mazurca, balli tipici di quel tempo.
Questi balli tipici spesso si ballavano in coppia o in cerchio.
Durante la festa si faceva un gioco, molto divertente, basato sullo scambio di coppie; si dovevano formare le coppie; si ballava e, quando la musica finiva, le coppie si scambiavano: a chi rimaneva fuori diventava il nuovo giudice di gara.
Questi balli erano molto coinvolgenti e, anche se si era stanchi, si continuava e tutti si divertivano molto, fino a tardi. All'inizio alcuni amici di famiglia suonavano con organetti fatti a mano, e poi, quando Antonio morì, la famiglia in suo ricordo comprò una fisarmonica.
Il carnevale era atteso da molte persone, perchè era una ricorrenza in cui si mangiava molto. Chi poteva permetterselo mangiava l'agnello e invece quelli più poveri si dovevano accontentare di fave, fagioli o polenta, sebbene per i contadini che arrivavano sfiniti dal lavoro dalle campagne ogni pasto era buono e lo mangiavano con molto gusto e felicità.
Di solito, racconta Creta Formina, le donne ballavano con i loro mariti o fidanzati, mentre le nonne si accontentavano di ballare con i loro nipotini.
In cucina andavano le donne della famiglia; generalmente cucinavano Annuccia Paolocci e altre sue cognate, invece quando Annuccia morì il suo posto fu preso da Formina e dalla sorella Maria.
Per carnevale non si restava sempre chiusi nel casale, ma, a una certa ora, dopo essersi divertiti, si andava tutti in paese dove c'era la banda e si poteva ballare insieme agli altri compaesani.
I preparativi della festa di solito duravano 2-3 giorni, a seconda della grandezza del posto e in questi il casale veniva addobbato con bandierine di carta sistemate dentro e fuori.
La festa durava dal tardo pomeriggio fino alle 11.00, al massimo fino all'una di notte.
A carnevale i contadini, pur sapendo che la mattina si dovevano svegliare presto, restavano con gli altri amici fino a tardi, perchè era un momento speciale aspettato da tutti da tanto tempo e nessuno aveva intenzione di sprecarlo.

Lelli Federico - Putzu Marco (Classe III/N)

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LA POGGIATA DI SAN GIUSEPPE

Un giorno di marzo io e Emanuela siamo andate a chiamare la nostra amica Giovanna Purchiaroni,
la quale abita nei pressi del casale di San Giuseppe. Passando di fronte a questo casale, di proprietà
Mariani, abbiamo visto che il cancello era aperto e la nostra curiosità ci ha spinte ad entrare.
Dopo aver percorso un breve vialetto, ci siamo trovate davanti un grande giardino con alberi da frutto, peri e meli, potati dal signor Gino Purchiaroni. Avvicinandoci a lui abbiamo chiesto delle informazioni riguardo al casale e, mentre parlava, mi sono soffermata a guardare intorno, perchè volevo osserva_
re questo luogo a me sconosciuto.
Vicino al cancello di entrata c'era una piccola chiesetta, sulla cui sommità era posta la statua di San Giuseppe, ai lati c'erano due statue che non sono riuscita ad identificare. Più in là si stagliava la fac_
ciata del casale, il quale aveva due scalinate bellissime che si univano e formavano un'unica entrata. Dopo aver osservato il panorama mi sono nuovamente unita al discorso che stava facendo la mia ami_
ca con il signor Purchiaroni.
Il signor Gino stava affrontando il discorso delle feste tipiche del paese e raccontava che, ogni 19 Mar_
zo, era usanza fare una "POGGIATA", ossia un pic-nic, in onore di San Giuseppe. La mattina della festa non avveniva niente di particolare; infatti si svolgeva come sempre il lavoro, mentre il pomeriggio si riunivano tutti ben puliti e con i vestiti della festa per onorare San Giuseppe. Ogni partecipante alla poggiata, specialmente le donne, il giorno precedente si era riunito in una casa per poter preparare dei dolci o qualcosa da poter portare il giorno dopo. Infatti il signor Gino ci ha raccontato che anche sua madre, insieme alle sue zie, preparavano sempre dei dolci. Nel primo pomeriggio, verso le 14.30, si vedevano intere famiglie, gruppi di amici e amiche, che, con grande solennità e allegria, lasciavano le loro case e si avviavano su per la strada di Vignanello, fino ad arrivare, a piedi, alla località di San Giu_
seppe. I vari gruppi erano carichi di ceste e borse, in cui avevano riposto i loro cibi. Una volta giunti sui prati, che circondano la chiesetta del santo, si faceva a gara per occupare uno spazio sufficiente alla comitiva. In poco tempo il verde dell'erba spariva, ricoperto da tovaglie e coperte. Ogni dove brulicare
di gente: si mangiava, ci si chiamava da una parte all'altra; c'era chi suonava qualche fisarmonica, qualche chitarra, chi si improvvisava cantante e qualcuno, magari già brillo, che trascinava alle danze una ragazza compiacente. Si "viveva" quel giorno, dimenticandosi dei problemi, dei dispiaceri, del pe_
sante lavoro, che purtroppo, avrebbero ritrovato rientrando a casa.
Come per le altre feste che venivano celebrate nel paese, arrivavano anche le bancarelle, la maggior parte vendevano frutta secca, perchè era la cosa che veniva comprata di più, avendo un costo molto basso, ma c'erano anche i porchettari, gli anguillari. Era un momento in cui avvenivano molti fidanza_
menti, perchè arrivavano persone da Vignanello e da Orte. La sera, durante il secondo spuntino, poi_
chè qualcuno aveva bevuto troppo, avvenivano anche scene violente; talvolta infatti accadeva che si
facesse a botte o che succedessero dei fatti veramente spiacevoli, come questo che vi vogliamo ricor_
dare. In occasione della poggiata di San Giuseppe del 1937, un gruppo di amiche di sedici, diciassette anni, si era preparato all'avvenimento con più di un mese di anticipo. Lina, Adelma, Sofia, Anita erano
nel pieno della loro giovinezza e della loro bellezza. Sapevano che quel giorno avrebbero potuto incon_
trare il ragazzo della loro vita, per cui ci tenevano ad essere belle e più eleganti che mai.
Ma i soldi in casa non c'erano per comprarsi un vestito nuovo, o per "farsi i capelli", o per sfoggiare un paio di scarpe nuove. Per più di un mese, quindi, erano state "a cicoria": l'avevano rivenduta, ne ave_
vano ricavato qualche soldo e con questo ne avevano fatto miracoli: chi era riuscita a "tingersi" una camicetta per cambiarle il colore, chi si era fatta riparare un paio di scarpe vecchie regalate, chi aveva trovato il modo di farsi arricciare i capelli, chi era riuscita a procurarsi il "rosso" per le guance. Nel loro cestino, poi, erano riuscite a mettere solamente il "pongolo", un dolce di ricotta. Con tante speranze
nel cuore si recarono a San Giuseppe, trovarono il loro posto, ma, mentre si apprestavano a banchet_
tare, si avvicinò loro un gruppo di ragazzi, capeggiati da un certo........, famoso in paese per la sua tra_
cotanza.

In men che non si dica, i giovinastri afferrarono il cesto in cui era il "pongolo", lo svuotarono del conte_
nuto, che sparì nelle loro "fauci". Non contenti, presero il cesto e ci incominciarono a giocare a pallone
e, tra, risate e urla gridavano alle ragazze: -
V'è piaciuto ì' pongolo ?
Come pietrificate, Lina, Adelma, Sofia e Anita si videro crollare addosso tutto il mondo: nei loro cuori
non c'erano più desideri, ma una grande voglia di piangere.
Oggi, purtroppo, questa festa non viene più organizzata, forse perchè le attività dell'ultimo ventennio hanno disgregato e allontanato i vari membri della comunità Vasanellese, i quali non sentono più il bi_
sogno di trascorrere insieme momenti piacevoli e spensierati, quali la poggiata assicurava.

Tenentini Patrizia - Mariottini Emanuela (Classe III/N)

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LA FESTA DI SAN LANNO

Le tradizioni religiose, a Vasanello, sono rimaste quelle di cinquant'anni fa, senza essere completate dai fuochi artificiali, dalle bancarelle o dai cantanti famosi con i loro concerti in piazza. La festa del patrono, a Vasanello, è stata sempre vissuta con maggiore euforia rispetto alle altre feste locali.
Mia nonna, Pace Silia, di anni settantasei, vissuta per molti anni nel casale del "Morenice", mi ha raccontato come veniva vissuta la festa del Patrono quando aveva circa vent'anni.
Inizia il racconto dicendo che, circa cinquant'anni fa, la festa di San Lanno era una festa maggiormente religiosa: non c'erano grandi divertimenti perchè, a quei tempi, non c'era a disposizione molto denaro.
La popolazione, benchè non avesse le cose sopra citate, dal punto di vista religioso, era molto più presente di oggi e partecipava a tutti i riti religiosi come la processione, che partiva dalla chiesa di Santa Maria, attraversava i prati e finiva davanti alla piccola chiesa di San Lanno; alle Sante Messe e alle benedizioni.
Quando le reliquie o l'immagine del Santo passavano per le vie del paese, ai davanzali delle finestre si mettevano drappi di colore rosso o viola; questa usanza c'è ancora oggi, era ed è come un saluto, un onore rivolto al Santo e ai fedeli che erano presenti alla processione; per le strade in cui passava il corteo facevano delle infiorate che consistevano nell'intersecare tra loro felci, fiori di vario genere e verdura.
Ogni quartiere inoltre costruiva un proprio altare costituito da un tavolo con sopra le più belle coperte che possedevano: così i fedeli si potevano riunire tutti insieme a pregare nella loro zona.
Per la festività di San Lanno ai bambini venivano cuciti dei vestiti fatti con un tessuto molto leggero, fresco che nella maggior parte dei casi era il cotone.
L'abito non era rifinito da cuciture particolari, perchè non si conoscevano modi per abbellirlo, anche per mancanza di mezzi.
I padri per sottolineare la festa, portavano i loro figli ad acquistare un paio di scarpe, che erano dei sandaletti di pezza o di gomma con uan fibbia anch'essa di gomma.
I bambini, alla fine delle festività, chiedevano ai loro genitori quando li avrebbero portati di nuovo ad acquistare un paio di scarpe o un vestito ed i genitori rispondevano che li avrebbero comprati il prossimo anno, sempre per la festa del patrono.
Durante i tre giorni di festa i bambini facevano la coda dietro ad un carretto che vendeva i gelati con la speranza di prenderne qualcuno senza pagare.
Alla sera i genitori portavano i figli in processione e, poi tutti insieme, andavano a comprare il gelato.
Il primo giorno, per pranzo, si mangiavano i maccheroni, pasta asciutta fatta in casa e i carciofi, che si compravano da un venditore che, con un carretto proveniente da Orte, veniva a venderli a Vasanello.
Il secondo giorno si consumava il brodo, l'agnello, l'insalata, mentre il terzo giorno si mangiavano gli avanzi dei due giorni precedenti.
Per la festa del Patrono era usanza mangiare anche il pollo e il maritozzo con l'anice.
Durante le festività le ragazze giocavano a "campana", mentre i maschi giocavano a "buchetta" con i bottoni che venivano tolti dalle camicie, dai giacchetti, dalle magliette ecc. ecc.
Durante le feste, non c'era molto folclore, perchè la scienza non aveva fatto grandi progressi e sopratutto nel nostro paese non c'erano il benessere e i soldi che ci sono oggi.
Per i bambini questi tre giorni di festa erano bellissimi, poi però quando erano passati, appariva sui loro volti la tristezza.
Secondo il nostro parere loro sentivano di più, rispetto a noi, questa festa: bisogna ammirare i nonni e gli altri anziani, perchè, pur non avendo i divertimenti che ci sono oggi, riuscivano ad essere allegri comunque.

Vestri Angelo - Tranfa Riccardo - Costantini Matteo (Classe III/M)

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LA SERA PRESSO IL FOCOLARE:
Racconti di Diavoli e Santi, di Streghe e di Sogni; di Storie Realmente Accadute a Vasanello

La parola paura era, nei tempi passati, un termine molto ricorrente, come pure si provava spesso tale sensazione: la fantasia popolare infatti riempiva di storie e fatti paurosi la vita quotidiana.
Al calare della luce del sole, le case e le vie, a maggior ragione gli ambienti fuori dal paese, cioè le campagne, erano immerse nell'oscurità. Il poco chiarore creato dal fuoco o dalle fiammelle dava modo di scambiare o fare passare per chissà quale mostro una normale ombra proiettata da un albero, una costruzione prodotta da un movimento di un animale che, indisturbato, nelle tenebre, si muoveva semplicemente.
Si creavano, proprio perchè non si distinguevano bene gli ambienti, situazioni che poi venivano interpretate dalle persone in un certo modo e create così dalle storie per lungo tempo ritenute vere, naturalmente accadute e tramandate di padre in figlio.
Prima che la televisione o altri mezzi di comunicazione avessero monopolizzato le serate delle famiglie, per far trascorrere il tempo accadeva che intere famiglie si recassero in abitazioni o casali occupati da altra gente e passassero insieme le prime ore notturne o addirittura l'intera nottata a raccontare storie.
Presso il focolare si ripetevano racconti di diavoli, di santi, di streghe, di sogni, di storie realmente accadute a Vasanello.
Ripetendo questa antica usanza l'altra sera ci siamo riuniti tutti a casa di mia nonna, Mariani Teresa, di anni 63 e, dopo aver cenato, abbiamo incominciato a parlare dei tempi passati.
Noi nipoti parlavamo di storie fantastiche, ma quando è arrivato il turno dei nonni, ci hanno raccontato storie realmente accadute e, per noi ragazzi, affascinanti.
Questa storia risale al 1939 quando mio nonno, Cancella Domenico, di anni 63, aveva cinque anni e riferita dai suoi genitori, Giuseppe Cancella e Enrica Bonelli. Il personaggio principale era il povero defunto fratello di mio nonno, Cancella Gino, che, quando accadde questa vicenda, aveva circa diciotto o dicianove anni. Gino però non era il fratello "vero", cioè carnale di mio nonno, ma era un fratello acquisito, cioè adottato. Quando allora ad una donna moriva un bambino, lei si recava all'orfanotrofio, si sceglieva un bambino, lo allattava e poi, se ci si affezionava, poteva decidere di tenerlo, altrimenti lo riportava all'orfanotrofio. Quest'ultimo però non fu il caso della mia bisnonna che si affezionò così tanto a questo ragazzo che lo tenne con sè e lo crebbe come figlio suo. Tutti lo trattavano come tale, senza mai fargli pesare il fatto che non era veramente figlio o fratello vero. Ora, addentriamoci nella storia, nel bosco di Bagnoreggio era stato ucciso un uomo, un certo Luigi, soprannominato Rucirde e, nel punto del bosco dove era stato ucciso, era stata costruita una chiesetta si trovava in località Carbonara, dove sorge anche il casale Carbonara. Di sera, come già annunciato, la gente andava e portava con sè un bue zoppo; quest'uomo chiese ad una persona del gruppo, il cui nome era Gino, se gli conduceva il suo bue davanti alla chiesa; lui, anche se un pò sbalordito e incredulo, accettò.
Non riusciva a capire il perchè della richiesta fatta dall'uomo: perchè proprio lui avrebbe dovuto portare il bue davanti alla chiesa, (cosiddetta stregata) e perchè non lo avesse fatto direttamente lui.
Una volta arrivati nel punto predetto scomparvero sia il bue che il padrone e Gino rimase sbalordito, attonito, senza più una parola: nella sua mente vagavano mille pensieri uno più contorto dell'altro mentre, immobile, stava morendo di paura. Si pensò allora che colui che portava il bue fosse l'uomo che era stato ucciso nel bosco; le persone ancor prima della vicenda di quella sera, credevano infatti che in quel bosco regnasse qualcosa di strano. La seconda storia è stata raccontata sempre da mio nonno e risale anc'essa al 1939; questa volta il personaggio principale è una persona del paese, mentre il luogo è la stessa chiesetta di cui si è parlato. Due uomini, sapendo che quella chiesa era stregata e vi regnava lo spirito dell'uomo ucciso, decisero di fare una prova di coraggio. Essa consisteva nel recarsi, uno alla volta , nella chiesetta stregata, aprire la porta, entrare, piantare un chiodo nel muro, uscire, chiudere la porta e andarsene. C'è da dire che in questo periodo, la gente portava le mantelle al posto dei cappotti che indossiamo oggi: esse erano fatte di lana o di panno. Una sera uno dei due decise di fare per primo la prova di coraggio. Arrivato davanti alla chiesa fece un lungo respiro, si fece il segno della croce, aprì la porta ed entrò. Prese dalle grandi tasche dei pantaloni un chiodo e un martello e, al buio e in fretta per la grande paura, piantò il chiodo. Non appena ebbe finito, fece per andare via quando si sentì tirare per la mantella, sbarrò gli occhi e, pur morendo di paura, continuò a tirare, ma era bloccato, allora, senza neanche urlare, si tolse la mantella e scappò. Attraversò tutto il bosco correndo e urlando e, arrivato a casa, si sentì molto male: era sul punto di morire. Il giorno seguente andò nei campi e raccontò ai vicini ciò che era successo. Tutti insieme andarono alla chiesa e videro che nessuno lo aveva trattenuto la notte precedente, ma che lui stesso, per la paura e la fretta, aveva inchiodato al muro anche la sua mantella.

Antonelli Tiziana - Maracci Aurora - Paiella Roberta (Classe III/M)

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All'epoca dei nostri nonni, ci si riuniva, di solito, specialmente nelle lunghe serate d'inverno, intorno al focolare, passando il tempo a raccontare storie, molto inventate, qualche volta vere o verosimili: erano storie di di santi, di streghe, maghi, diavoli, fate o di fatti straordinari realmente accaduti.
Nelle epoche più antiche ci si riuniva nelle stalle dei casali, anche con amici e vicini per raccontare e stare insieme. Questa "abitudine" riusciva ad intrattenere i bambini per buona parte della serata e talvolta a suscitare molta tensione tra gli ascoltatori, tanto da farli rimanere in silenzio evitando qualsiasi discussione o litigio tra i componenti della famiglia.
I racconti erano tramandati dagli anziani ai loro figli e ai loro nipoti, e, passando di bocca in bocca, fino ad arrivare ai più giovani. Durante il loro "viaggio nel tempo", venivano modificati con sempre nuovi particolari, frutto della fantasia e della creatività di ognuno.
Oggi, grazie a questo lavoro di ricerca, ho la possibilità, anch'io, di conoscere alcune di qUeste storie e le racconterò ...
"Nel lontano 1920 1920 una signora, di nome Italia, veniva spesso da Roma a trovare i suoi parenti che risiedevano a Vasanello. Quella volta arrivò col treno a Vignanello e si incamminò verso il nostro paese. Durante il tragitto si fece buio e la signora iniziò ad avere paura e continuava a pregare le "anime sante del Purgatorio" di farle incontrare qualcuno. Ad un tratto sentì dei rumori che provenivano da dietro di lei. La sua paura aumentò ed affrettò il passo per non farsi raggiungere, ma nonostante ciò qualcuno le si fece vicino allora lei si voltò e vide un ragazzo abbastanza alto, robusto, ma a causa del buio non riuscì a riconoscerlo in viso.
A questo punto si fece coraggio e parlò per prima dicendo:
- Dove vai e chi sei ? e lui rispose: - vado a Bassanello ! e lei ribattè:
- Dio sia ringraziato ! Facciamo la strada insieme dato che anch'io sono diretta là.
Una volta arrivati alle porte di Bassanello lui le disse: - Sei arrivata ormai. Puoi andare da sola fino a casa. Io non posso accompagnarti perchè debbo andare in un altro posto.
Dette queste parole, Italia si voltò per ringraziarlo e finalmente riuscì a vederlo in viso: era il suo povero fratello Demetrio, morto qualche tempo prima. Allora la donna, fu consapevole di essere stata accompagnata per tutto il cammino dalla buon'anima del fratello".

Mia nonna Teresa mi ha raccontato anche un'altra storia, che ha come protagoniste le streghe e gli zii Giuseppe ed Enrica.
"I venerdì sera, quando si coricavano gli zii, lasciavano, come sempre, i loro indumenti sulla sedia, in fondo alla camera. La mattina di ogni sabato, però una parte di essi spariva e non si riusciva più a trovare.
Quando poi andavano in campagna, con molta meraviglia trovavano gli indumenti appesi al ramo di un albero, perfettamente piegati o, come gli capitò una volta, sotto un cumulo di grano in cantina, anche questi perfettamente piegati.
Un giorno trovarono, addirittura i nastri dei capelli di Enrica legati ad un rovo. Dopo questi stranissimi episodi gli zii giunsero alla conclusione che erano vittimi degli scherzi delle streghe. Eh, si perchè le streghe, erano le protagoniste della maggior parte delle storie raccontate la sera, presso il focolare, e suscitavano nei piccoli paura e tensione".

Anche la storia seguente vede le streghe come personaggi principali...

"C'era una volta una coppia di fidanzati che progettavano di trascorrere felici la loro vita insieme dopo il matrimonio. Il ragazzo andava a trovare la fidanzata tutte le sere, tranne il venerdi, in quanto lei glielo aveva proibito. Il giovane, invece, curioso di conoscere il motivo per il quale non poteva vederla in questo giorno, andò a trovarla proprio un venerdì sera è... entrò in casa, si appostò dietro la porta  della camera da letto e vide con meraviglia che la ragazza si ungeva i capelli con un unguento molto strano.
Fatto ciò, la ragazza salì sul davanzale della finestra, si mise una scopa fra le gambe e alzando le mani al cielo disse:
Sopra l'acqua e sotto il vento vola la strega di Benevento ! E, pronunciando questa formula magica, si alzò in volo a cavallo della scopa.
Il fidanzato rimase allibito per ciò che aveva visto, perchè aveva la prova che la sua ragazza era una strega ! Così decise di ritornare il venerdì successivo per porre fine alla malefica "presenza". Il giorno tanto atteso arrivò ed egli, entrando in casa senza farsi vedere nè sentire, astutamente sostituì l'unguento magico con dell'urina e si appostò per guardare. Come da regola, arrivò la ragazza che diede inizio al rito. Si bagnò i capelli con il falso unguento e, presa la scopa e salita sul davanzale, iniziò a invocare i suoi poteri attraverso la formula magica. Ma stavolta la magia non riuscì, quindi, invece di spiccare il volo, cadde nel vuoto e morì. Il giovane era dispiaciuto per aver provocato la morte della sua fidanzata, ma contemporaneamente, era soddisfatto di avere eliminato un'entità malvagia quale era la strega.
"La sera quando si raccontavano queste storie, molti ascoltavano, qualcuno cominciava a sbadigliare, i più piccoli già erano nel mondo dei sogni, ma per i più "resistenti" il nonno o la nonna o il narratore di turno diceva:
- larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia. Ed era come dire: - E' ora di andare a letto.

Petrarca Alessandro (Classe III/L)

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LE SCAMPANATE

L'usanza della "scampanata" risale al tempo dei nostri nonni, ma si è mantenuta viva fino ai nostri giorni. Veniva organizzata nei confronti di un vedovo e di una vedova che  decidevano di risposarsi dopo poco tempo dalla morte della moglie o del marito, ed era un modo per manifestare, da parte dei paesani, la propria disapprovazione per questa scelta, ma anche un pretesto per suscitare scalpore,
per far "piazza" e divertirsi.
Come si sa, nei paesi la vita scorre sempre uguale, con un ritmo monotono, senza fatti eclatanti e allora tutto può fare notizia, tutto è buono per far sparlare la gente; un secondo matrimonio, dunque, può diventare motivo di chiacchere e di pettegolezzi ed anche di divertimento con una bella "scampanata".
Questa usanza, molto più frequente in passato, ogni tanto viene ripresa e la sua trasizione continua.
Ci racconta Biagio Porri:
"Per fare le scampanate si prendevano pentole, coperchi, secchi e si percuotevano con bastoni, posate; si facevano suonare i campanacci delle mucche e altri oggetti che potevano provocare frastuono: il gruppo di amici, conoscenti e burloni si riuniva sotto la finestra della camera da letto degli sposi e tra risate, fischi, canti, battute spiritose, talvolta anche pesanti, si dava inizio alla scampanata. Questa si protraeva fino a che i due "novelli sposi" non abbandonavano il loro letto ed invitavano ad entrare nella loro casa la folla dei suonatori per mangiare e bere alla loro salute".

Cingolani Francesco - Quadracci Luca (Classe III/L)

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