DILUCIDAZIONE - ISTORICO - CRITICA D E L M A R T I R I O D I
S A N L A N N O
C A P O P R I M O Breve
notizia dell'antica Etruria, e della Terra I. IL Patrimonio così oggi detto di S. Pietro fu un tempo una parte della fioritissima, e potentissima Etruria, o sia Toscana, il dominio della quale era sì esteso, che l'uno, e l'altro Mare, che circonda la nostra Italia, presero il loro nome da tal Provincia: Altro perciò denominato Mare Etrusco, e l'altro Mare Adriatico, da Adria colonia della detta Etruria (I). (I) Blond. in sua etrur. pag. 300. 2. Fiorì questa nobile Nazione molto prima, che si fondasse l'Imperio Romano, e fu al sommo valorosa, si per mare, che per terra. Da essa i Romani derivarono l'uso della Pretesta, della Trabea, della Toga, dei Fasci consolari, dei Littori, della Sella currule, dei Cocchi trionfali, e di altre simili speciose costumanze. A questa Nazione, prima, che i Romani si aprissero la strada per la Grecia, mandavano i loro figliuoli, ad essere disciplinati (I). Nelle guerre, che l'Etruria ebbe poi, con gli stessi Romani, spesso Roma tremò, e trovossi in necessità di creare i suoi Dittatori (2). 3. Intrepidi, e coraggiosi si mantennero gli Etruschi contro la forza della nuova Roma, per lo spazio, secondo alcuni, di anni quattrocento settanta quattro (3); secondo altri per lo spazio di anni settecento quaranta (4); ma finalmente dopo vari combattimenti, furono dai Romani soggiocati, e vinti nella sanguinosa battaglia, e sconfitta datagli presso il Lago Vadimone (5), di cui tanto si parla nelle Storie sì antiche, che moderne, e per cui, tra i moderni singolarmente, tanto ancora si contrasta, e si suda a fissarne il luogo preciso (6). Di questo celebre Lago tornerò a parlarne appresso con maggior precisione. (I) Val. max.
lib. I. Cicer. de Divin. pag. mihi 134. 4. Non poche furono le Città ragguardevoli della Etruria, tra le quali aveva non infimo luogo l'antichissima Città di Orta (I), un tempo anch'essa famosa, e di molto splendore. Augusto, non isdegnò di comprenderla tra le ventisette Città, alle quali destinò le colonie de' suoi Soldati (2). Da questa Città non più lungi, che quattro miglia, esisteva, e tutt'ora esiste una delle antiche Fortezze della detta Etruria conosciuta un tempo sotto il nome di Vasanello, come da un'antica Lapide riportata dall'eruditissimo Genner (3), forse dalle rinomate fabbriche de' Vasi, che tutt'ora vi si conservano. Questa Fortezza restò celebre sino al tempo di Alessandro VI., in cui, il Duca Valentino vi ritenne una non indifferente guarnigione, come ricavasi da lettera dello stesso Duca, che tutt'ora conservasi nell'Archivio della detta Città di Orta. In oggi per altro questa Fortezza stabilmente viene chiamata, e conosciuta sotto il nome di Terra di Bassanello. (I) Plin. hist.
nat. cap. 8. pag. mihi 321. 5. Anco presentemente questa Fortezza, dopo tanti Secoli, ritiene la sua antica forma, e figura. Stà situata in mezzo ad una quasi pianura, nel dorso di un Tufo circonvallato da profondo dirupo. Ha, verso il Mezzogiorno, il suo unico ingresso, che anticamente era guardato, e difeso da doppia muraglia Castellana, tutt'ora visibile, ed era altresì difesa da un Forte, ossia Cittadella quadrangolare munita di quattro Torri, una per ogni angolo. In oggi questo Forte forma il Palazzo dei Duchi di detto Luogo. All'intorno poi del suo circondario, ove il Vallo sembrava più debole, si veggono tuttavia i suoi Fortini, o siano Torricelle di quadrata forma, per la maggior sicurezza; e ciò che è mirabile, i due muri dell'una, e l'altra parte del suo ingresso,tutt'ora esistenti, sono formati sul sasso vivo, e massiccio. 6. Questa sì antica Fortezza presentemente è una non dispregevole Terra del Patrimonio Pontificio di sopra a mille abitatori, eretta in Ducato, e posseduta un tempo dall'Eccellentissima Casa della Rovere, indi per mezzo di matrimonio di Ellena della Rovere maritata in Stefano Colonna, passata nella Eccellentissima Casa Colonna, sin dall'anno 1577. padrona ugualmente del Principato, non molto distante, di Carbognano; Famiglia, come a tutti è noto, sì antica, e sì riguardevole in tutta l'Europa, che il solo volersi azzardare di magnificarla, sarebbe lo stesso, che restarne oppresso dal peso dell'innumerabili prerogative, che per ogni lato la fregiano. 7. Esiste in detta Terra un'antichissimo Mausoleo, in forma di Torre riquadrata, composta di un misto di pietre bianche, e scure, co' suoi cordoni di adattati mattoni. Questa Torre ben alta serve in oggi per campanile di una delle Chiese Parrocchiali di detto luogo, sotto il titolo di Santissimo Salvatore. Evvi costante tradizione, che detta Torre sia un antico sepolcro eretto ad illustre personaggio morto ivi, secondo immagino, nell'ultima guerra, e battaglia, che dai Romani fu data agli Etruschi, presso il Lago Vadimone, che come mostrerò in appresso, non dista dalla detta Torre, che un mezzo miglio all'incirca. Vedesi tuttora l'urna ceneraria di travertino bianco, che stava in detto Mausoleo, adattata in oggi per mensola in una vicina nicchia, che contiene l'Immagine di Maria Santissima. 8. Il molto Reverendo Sig. Don Felice Fabbiani a cui debbo molte notizie del S. Martire, e che perciò nomino a doverosa lode, mi fece osservare, in un angolo di detto Mausoleo, una Lapide con tre scolpite figure, vestite alla Romana, sotto le quali, esiste la seguente epigrafe: XVETTIVS
. SEX . I DIO che con beneficio di alta scala, volli da me stesso rincontrare, e trascrivere, con la maggiore attenzione. Non credo andar lungi dal vero, se affermo, che alla detta Epigrafe manchino le due prime lettere S E logore dalle ingiurie del tempo; così anco, che la I susseguente logora similmente debba leggersi per F, nel qual caso l'accennata Epigrafe darebbe il senso seguente:
SEX . VETTIVS . SEX . FILIVS e che Diogene sicuramente liberto della Famiglia Vettia, facesse ergere il detto mausoleo al detto Sestio della casa Vettia, della quale fa menzione Cicerone in una sua lettera a Tit. P. Attico (I), morto forse ivi in occasione della suddetta battaglia data presso il Lago Vadimone. Nè ciò dee recar maraviglia, giacchè anco al gran Pompeo fu eretto magnifico sepolcro da un suo Liberto (2). 9. Di fatto non più che un mezzo miglio in circa da detta Terra, e per conseguenza da detto Mausoleo si vede, e meritatamente da molti si sostiene, che esistesse il sopradetto celebre Lago Vadimone in un sito, che anch'oggi chiamasi le Prata del Lago, giacchè, essendo stato detto Lago deviato, come osservasi dai Cunicoli, che tutt'ora rimangono, il letto di detto Lago forma in oggi una verde Prataria (3). La notissima lettera di Plinio il giovane a Gallo, in cui narra, che passeggiando egli i Campi Amerini, gli fu con maraviglia mostrato il non molto lungi sottoposto Lago Vadimone (4), non può altrove verificarsi, che nel Lago di Bassanello, il qual solo realmente rimane sottoposto, poco lontano, e visibile dai Campi Amerini. I0. So che altri lo ripongono nel Territorio di Bassano in Teverina (5), altri nel Territorio di Orta (6) mai incontrano la difficoltà, che i siti, ove lo pongano, non erano, ne sono punto visibili dai Campi Amerini. Altri voglino che fosse il Lago oggi detto di Monterosi (7); ma questi, oltre che non è punto visibile dai Campi Amerini, di più è lontanissimo dai medesimi. Lo pretendono altri nel Territorio di Viterbo (8), e per occorrere alla difficoltà della Lettera di plinio, immaginano, che nel Territorio di Viterbo, vi fossero alcuni Campi chiamati Amerie, e che di questi, e non dei veri Campi Amerini abbia Plinio inteso di parlare nella sua lettera. Ognun peraltro si accorge del poco plausibile fondamento, su cui si appoggiano, giacchè se il perspicacissimo Plinio avesse voluto intendere di alcune particolari contrade chiamate Amerie, averebbe ciò sicuramente distinto, e non l'avrebbe confuse sotto il generale nome di Campi Amerini, col qual nome, sapeva benissimo, che non altri potevano intendersi, che i veri Campi Amerini. Lascio altre opinioni, che altrove ancor lo ripropongono, e lo pretendono, ma senza la menoma verosimiglianza. (I)
Tom. 3. fol. mihi 254. II. Mi caderebbe in acconcio di numerar quì le molte altre congruenze, che militano a' prò del Lago di Bassanello, ma siccome queste minutamente si rilevano dal sopralodato Leandro Alberto, nel luogo sopracitato, volentieri da simile ripetizione mi astengo. Solo credo dover aggiungerne una, che non la vedo rilevata da alcun altro Scrittore, cioè, che Elbio, o sia Elio ultimo Re de' Toscani ucciso nell'ultima decisiva battaglia datagli dai Romani, presso il Lago Vadimone (I), non altrove lo trovo realmente morto che in Palazzuola, oggi diruta, distante non più, che un buon miglio dal Lago di Bassanello (2), segno è questo evidentissimo, che il Lago Vadimone non altrove esisteva, che nel Territorio di Bassanello, tanto più che in questo solo appuntino convengono, e si verificano le accennate circostanze della lettera di Plinio, cioè di essere sottoposto, vicino, e visibile dai Campi Amerini. (I)
Demptser. in etrur. reg. cap. 56. pag. 226. Jo. Maria Catan. comment. ad epist.
20. lib. 8. Plin. jun. : Intereares ad Vadimonis lacum in etruria gestae. ubi
Etruscorum res I2. Ma io non debbo più lungamente fermarmi su questa controversia. Il mio assunto non essendo altro, che scrivere una semplice Storia in dilucidazione degli Atti del Martirio di S. Lanno Protettore della Terra di Bassanello, ho dovuto soltanto, a giustificazione de' medesimi Atti, che dell'una parlano egualmente, che dell'altro, far menzione si della detta Terra, che del detto Lago, per quanto possono avere qualche connessione con il di lui Martirio, siccome mi occorrerà notare in appresso, e in questo caso, a me basta di non poter essere riconvenuto o di azzordoso, o di temerario, se fornito dei sopraddetti sodissimi fondamenti, colla scorta di molti non appassionati Istorici, che ci ricordano l'antichissima popolare persuasione, per mia salvaguardia non meno, che de' surriferiti Atti, ho anch'io riposto il Lago Vadimone nel Territorio di Bassanello. I3. Avendo di sopra fatto menzione di Palazzuola diruta, ove morì Elbio ultimo Re de' Romani, benchè la cosa non abbia connessione con la materia, che debbo trattare, pure, perchè non perisca la memoria di due qualunque elle siano Iscrizioni lapidarie, che tuttora si ritrovano fra i suoi ruderi gettati a terra, ed esposte ad essere quanto prima del tutto logore, e cassate dall'ingiurie de' tempi, ho creduto bene, qui annetterle quali da me, colla maggiore attenzione, e diligenza furono potute copiare, sebbene in parte già logore, e consumate, che do annesse nella seguente Tavola I. A. e B Abbenchè la prima di dette Lapidi sia tuttora giacente nell'interno della Chiesa, di forma gotica, e l'altra nelle rovine sbalzata forse fuori della medesima Chiesa, ed ora giacente in mezzo la strada pubblica, pur tutavia, non osservando in esse alcun segno Cristiano, le reputo Lapidi sepolcrali si, ma del tutto profane. Se poi le dette iscrizioni appartengano a qualche famiglia, che possa illustrare quanche punto di Storia, ciò lascio all'erudizione de' Letterati. I4. Prima di andare innanzi, ed entrare in materia stimo anco bene di premettere una piccola descrizione del Lago Vadimone, per non tornare a discorrerae un altra volta. Era il detto Lago (I) non molto grande, di figura rappresentante una rota, per tutto uguale. Le di lui acque di color tra bianche, e verdi, esalanti un'odore solfureo, e perciò medicinali, ed ottime a consolidar singolarmente le fratture. In esso vedevasi continuamente tante verdeggianti Isolette vestite di canne, e giunchi, ognuna di figura diversa, che vagando, ora si univano insieme, ed ora separatamente, a guisa di tante barchette, gallegiavano per tutto il Lago. Avvicinate alle sponde, spesso il Bestiame, che pascolava all'intorno, vi si trovava sopra, e non si accorgeva di essere tra le acque, se non quando le dette Isolette staccate ritornavano a galleggiare in mezzo al Lago. Per altro riunite, e ritornate alle medesime sponde, il Bestiame tornava a terra, senz'avvedersi, o di essere in quelle entrato, o di essere da quelle disceso. Era il detto Lago religioso, e sagro, presso cui le milizie Etrusche, con alcuni Riti, giuravano fedeltà ai loro respettivi Capitani (2). Probabilmente era consacrato a Marte, e non molto lungi dovette esistere un qualche suo Tempio custodito dai Sacerdoti, perciocchè accaderà doverne osservare in appresso. Soggiocava l'Etruria, il detto Lago seguitò ad essere superstizioso, e sagro presso gli stessi Romani. (I)
Plin. jun. dicta epist. 20. ad Gallum. C A P O II. Cristianesimo
dell'Etruria, ed antico culto, I. E' si antica la Cristianità dell'Etruria, che ripetela sua origine dai tempi stessi, che il Principe degli apostoli S. Pietro venne in Italia, ed in Roma. Celebre quindi sin dai primi tempi della Chiesa si rese, per i molti Martiri, che sparsero il loro sangue, in attestato della Fede di Gesù Cristo. Questa verità senza che io mi accinga a dimostrarla, già preventivamente con sodissimi fondamenti, e ragioni è stata stabilita, e quasi a evidenza ridotta dall'eruditissimo Fiorentino nel suo trattato della origine della pietà dell'Etruria, a cui, chi ne sia vago di risaperne con minutezza, potrà agevolmente ricorrere, ben persuaso, che ne resterà pienamente soddisfatto. 2. Tra gli altri Martiri, che decorarono la detta Etruria, meritamente si novera il glorioso S. Lanno Protettore della sopradescritta Terra di Bassanello (I), esistente nella Diocesi della lodata Città di Orta, fatta Concattedrale con quella di Civita Castellana, per opera del Sommo Pontefice Eugenio IV. sin dall'anno 1435. (2). Il culto che in essa Terra, ed altrove gli si prestava era notissimo, e fragoroso, e contava già molti Secoli. Un'antichissima Chiesolina pochi passi lontana dalle sue mura eretta nel sito preciso del suo Martirio. Due Cappelle dedicate a perpetuo di lui onore, una esterna, e l'altra interna a mano sinistra dell'Ingresso nella Chiesa Arcipretale sotto l'invocazione di S. Maria Assunta in Cielo. I Quadri dei respettivi Altari rappresentanti un fresco giovanetto vestito alla Militare, ed a Cavallo. L'unanime persuasione , che esistesse che esistesse il suo prezioso Corpo nascosto trà le mura castellane di detta Terra. Una compagnia di zelanti Confratelli associati al servizio di dette Cappelle avevano, senza interrompimento alcuno, mantenuta sempre la memoria, il culto, ed una vivissima divozione al S. Martire da generazione in generazione. (I) Florent.
Hetrusc. piet. Orig. f. 176. e segg. 3. I miracoli, e grazie, che il S. Martire, in compenso di sì impegnata divozione, continuamente operava, a prò de' suoi supplichevoli, eccitavano anco i popoli vicini, e lontani alla fervorosa di lui venerazione. Quindi nel dì 5 maggio giorno della ricorrenza della sua gloriosa memoria, decorato dai Sommi Pontefici di molte Indulgenze, a folla da tutte le parti accorrevano per unirsi cogli abitanti a celebrare la Festa di sì amabile, e benefico Protettore; per la quale, gli abitanti suddetti s'impegnarono mai sempre, colle maggiori dimostrazioni a' loro possibili, per significare, anco all'esterno, il vivo sentimento, che nudrivano nell'animo, verso il loro amabilissimo Santo. 4. Una sì antica, universale, e per tanti Secoli mai variata, o interrotta venerazione, mossa, ma forse troppo tardi, l'impegno dei Religiosi divoti, a formare una compilazione degli Atti di sì glorioso Martire, parte conservati da perenne tradizione, e parte ancora trovati in antichissime memorie manoscritte, descrivendone l'origine, l'età, la Patria, il tempo, la qualità del martirio, e tutt'altro, che potesse servire a monumento perpetuo, non mai più soggetto a variazione, nel decorso de' tempi, di sì antico, e sì ben stabilito culto. Ma i Secoli probabilmente decorsi, le autentiche memorie o mancanti, o perdute, la stessa tradizione coll'andar del tempo in qualche cosa oscurata, o confusa, fecero si, che nè felicemente, nè senza qualche evidente equivoco si raccogliessero i detti Atti. Disgrazia per altro ordinariamente accaduta alla maggior parte degli Atti dei SS. Martiri, come può vedersi in chi tratta simili materie, e particolarmante nei celebri Bollandisti, che bene spesso trovansi in necessità di doverli purgare dalle occorsevi equivocazioni. C A P O III. Atti raccolti del S. Martire Lanno. I. Eccovi gli Atti, del nostro Martire trascritti da un'antico Volume intitolato Fabrica Hortana, che in Latina lingua si conserva nell'Archivio della Curia Episcopale di Orta, che io espongo, e traduco in Italiano tali, e quali furono dalla detta Fabbrica Ortana estratti dall'eruditissimo Ferrari nel suo Compendio dei Santi d'Italia (I), e riportati altresì dai sopralodati Bollandisti sotto lo stesso giorno 5. Maggio (2); Lando (dicono essi Atti) fu un Giovanetto fratello dei Santi Martiri Valentino, Rutilio, Florentino, Ilario, e Felicissima, che regnando Domiziano, professava la Fede di Gesù Cristo, alla quale convertiva molti colle sue prediche. Dalla Germania Venendo in Italia trovò detti suoi fratelli nascosti in una spelonca presso Faleria, quali procurò, che fossero battezzati. Da questi divisosi, predicando nelle vicinanze di Orta, risanò molti infermi; ma arrestato dagl'inimici del nome Cristiano, fu condotto avanti Domiziano, da cui tentato a venerare i falsi Dei ricusandolo, egli, fu talmente battuto, che ne grondò il sangue da tutto il suo corpo. Indi di nuovo fu presentato a Domiziano, ma il Santo, disprezzate le offerte, e non temute le di lui minaccie, fu condotto al Tempio di Marte, perchè a lui sagrificasse, minacciato altrimenti di morte. Il Santo fece breve Orazione, terminata la quale, il Tempio di Marte rovinò, e colle sue rovine oppresse molti Sacerdoti del detto Tempio; per il che, infuriato l'Imperatore, comandò, che Lando fosse legato ad un'albero, ed ivi abrustolito con lamine infuocate, gli fossero tagliate le guancie, e finalmente fosse decapitato. Il suo martirio seguì presso il Lago Vadimone, poco distante da Bassanello, lungi due mila passi da Orta. In detto luogo esiste ancora una piccola Cappella. Il Corpo poi stà sepolto nella Chiesa Parrocchiale di detta Terra; alla venerazione del quale moltissimi afflitti da dolore di capo ricorrono,,. (I)
Ad diem 5. Maii. 2. Fin qui gli Atti Ortani, i quali sebbene dal Fontanini (I), e dai lodati Bollandisti, non si riputino di molta antichità (2), pur tuttavia provenendo essi da una immemorabile tradizione, dalla quale non meno, che da scritte antiche memorie, si raccolsero sicuramente, per questo appunto l'addotta di loro autorità deve riputarsi tanto antica, quanto la stessa immemorabile tradizione. Ciò non per tanto, non può negarsi, che nel compilamento di detti Atti, non siano occorsi alcuni innocenti equivoci, i quali causarono non poca confusione tra quei, che del S. Martire scrissero prima dell'anno 1628. e che si accinsero a confrontare gli Atti del nostro Santo, con gli Atti dei cinque Martiri supposti Germani di lui fratelli di sangue. Di fatto per quanto questi si affaticassero, non potè ad essi mai riuscire di combinare nè la loro Patria, nè la detta loro Fratellanza, molto meno gl'Imperadori sotto i quali, con troppa variazione di tempi, si enunciavano gli uni dagli altri Martirizzati; Onde spesso e meritamente dovettero sospettare, esservi de' sbagli, o negli uni, o negli altri Atti dei respettivi Martiri. Io non mi farò qui carico alcuno degli equivoci, che facilmente possono essere occorsi anco negli Atti dei SS. Martiri, Valentino, Rutilio, Florentino, Ilario, e Felicissima pretesi fratelli del nostro Santo. Di questi già ne trattano diffusamente molti valenti Scrittori; ed essendo il mio assunto ristretto ai soli Atti di S. Lanno Martire, a questi soli debbo limitarmi, e restringermi. (I)
De Antiq. Hort. lib. I. cap. 6. pag. 42. segg. 3. La oggi mai celebre Iscrizione incisa in un Mattone di terra cotta ritrovata assai dopo la raccolta degli Atti Ortani, nel sepolcro del S. Martire Lanno, e precisamente nell'anno 1528., come mostrarò in appresso, di molto fu valevole a raddrizzare, e rettificare li medesimi Atti, e per conseguenza a togliere la confusione di quei Scrittori, che ne trattarono, prima del ritrovamento di detta Iscrizione. A quest'oggetto appunto, mi sono mosso a formarne la presente brevissima Istoria, con preventiva protesta però, che sgombrati, che siano li pochissimi accidentali equivoci manifestamente tali, non intendo per altra parte di derogare nel resto, in menomo attomo, a quell'autorità, che per ogni riguardo a' detti Atti, e alla venerabile tradizione si deve in tutte le altre cose, che di niun errore, o equivoco possono esser notati. Anco gli antichi Istorici Monumenti hanno la loro prescrizione, ne debbono turbarsi dal loro antico possesso, se per turbarli non gli si opponghino titoli o certi, o almeno megliori; Così seguendo il principio non meno filosofico, che civile, e canonico, ce ne avverte, anzi ce ne fa canone di giusta critica l'eruditissimo Muratori (I). 4. L'Ordine, che per maggior chiarezza mi prefiggo sarà il seguente: Esporrò prima gli equivoci innocentemente occorsi negli Atti Ortani: Premetterò in appresso il ritrovamento del detto Mattone, e sua respettiva Iscrizione, che deve servire per correggere i detti equivoci: Indi passerò all'effettivo schiarimento, e correzione dei medesimi equivoci: Parlerò altresì incidentemente della Sigla (E. P. S.) impressa in detto mattone; ed in appresso, passo passo, anderò esaminando le altre difficoltà, che possano sorgere dai detti Atti. (I)
Tom. 5. Antiq. Ital. dis. 58. pag. 54. Valet hic illud: Nemo certe in vetusta
possessione facile turbandus. Est & hic suus praescriptioni locus, nisi meliores
titulos, eoque C A P O IV. Equivoci occorsi negli Atti Ortani. I. In primo luogo, gli Atti trascritti nella suddetta Fabrica Ortana, ci descrivono il nostro Santo, col nome di Lando (I). Questo nome benchè alterato in una sola lettera, come apparirà in appresso, diede al compilatore stesso degli Atti motivo di crederlo Tedesco di Origine, e tale effettivamente ce lo descrive (2); nè forse senza ragionevole motivo, giacchè, come, con soda erudizione, osservano i Bollandisti, il detto nome è realmente Tedesco, diminuito, secondo l'uso degli Etruschi, dal più estero nome Roland, o altro simile (3). Il Ferrari per altro non potendo, con detta Origine, combinare la Origine degli altri Martiri interpretati da lui fratelli di sangue del nostro Martire, che negli Atti loro si dice chiaramente esser Greca, sospettò, che gli Atti Ortani contenessero sbaglio, e che in vece di ex Grecia, avessero scritto ex Germania (4). Se il lodato Ferrari, per detto motivo, avesse giusta ragione di così sospettare, si rileverà da ciò, che, a suo luogo, dovrò riflettere, sopra la detta pretesa fratellanza cogli altri Martiri. Basti soltanto per ora sapere, che il primo vero equivoco degli Atti suddetti fu di avergli alterato il nime, come apparirà frà poco. (I)
Bolland. ad diem 5. Maii fog. 49. 2. Il secondo equivoco degli Atti Ortani, che io chiamarò piuttosto apparente, si è, che i detti Atti sembrano descriverci il nostro Martire per fratello di sangue degli altri cinque Martiri Valentino, Rutilio, Florentino, Ilario, e Felicissima (I). Questa così comunemente interpetrata, e creduta Fratellanza fu causa di maggiori contese, giacchè, come sopra notai, oltre che li detti cinque Martiri, nei loro respettivi Atti, si enunciano venuti dall'Oriente, il che non combinava punto coll'Origine di Lando venuto dalla Germania. Si aggiungeva a tutto questo, che trà il Martirio dell'uno, e degli altri, appariva tal distanza di tempi, che non erano punto combinabili colla detta creduta Fratellanza. Inoltre si rifletteva da altri, che negli Atti di detti supposti fratelli, non si trovava la menoma menzione di S. Lando (2). Ed i lodati Bollandisti tanto lungi, che vedessero il minimo fondamento di tal fratellanza, che anzi congetturarono martirizzato il nostro Santo nel Secolo VI., nella persecuzione dei Longobardi, o altri Barbari (3), val dire molti Secoli dopo li detti altri Martiri suoi pretesi fratelli. (I)
Bolland. Ibidem. 3. Il terzo non già apparente, ma vero equivoco degli Atti Ortani si è, che preso facilmente abaglio tra li due nomi Domiziano, e Diocleziano, che hanno la stessa desinenza, ci rappresentano il Martirio di S. Lando seguito sotto l'Imperatore Domiziano (I), cioè circa l'anno 90. di nostra redenzione, in cui ribatte la mossa di lui persecuzione. Questa si fatta epoca di tempo, che riponeva il nostro Santo trà i primi Martiri della Chiesa, rendeva tanto più incredibile la supposta fratellanza con li suddetti cinque altri Martiri, dagli Atti de' quali rilevasi, che S. Felicissima era stata Martirizzata sotto Claudio II. distante da Domiziano non già soli anni 70., come accenna il Fontanini (2), ma bensì più di cento ottant'anni, come rilevasi dalla Cronologia degl'Imperatori (3). 4. Li Santi poi Valentino, ed Ilario molto più tardi ebbero il loro Martirio, cioè sotto Diocleziano, val dire, nell'entrare il Secolo quarto (4). Queste ed altre simili dissonanze non poco intrigarono or l'uno, or l'altro Scrittore, che prima dell'anno 1628. si accinsero alla combinazione degli Atti di detti Martiri. Che però il Ferrari credette sbaglio d'Imperatore negli Atti del SS. Valentino, ed Ilario (5). Il Florentino lo credette negli Atti Ortani (6); e così di altri Scrittori. A me sembra, che negli Atti Ortani non occorrino altri o veri, o apparenti sbagli, ed equivoci, che li notati sin quì, giacchè nel resto, non veggo, in che possino esser censurati di abbaglio, come spero di mostrare nel decorso della presente dilucidazione. Vero si è però, che li detti equivoci benchè pochi hanno non perciò involto sempre li suddetti, ed altri Scrittori in una confusione, e dissonanza di pareri riputata mai sempre inesplicabile. Queste dissonanze, e confusioni o tutte, o buona parte vennero per altro susseguentemente tolte, e dileguate dalla Iscrizione incisa nel Mattone di sopra accennata fortunatamente ritrovata nel Sepolcro del nostro S. Martire, che io riportarò, e di essa mi servirò per la dilucidazione delli suddetti Equivoci, dopo aver premessa una breve narrazione del modo, ed occasione in cui detta Iscrizione fu ritrovata. (I)
Ibidem C A P O V. Ritrovamento del Mattone; e sua respettiva Iscrizione. I. Prima di venire allo schiarimento degli equivoci suddetti è troppo giusto, che io premetta il modo, e l'occasione, in cui fu ritrovato il Mattone, ed Iscrizione, della quale mi debbo servire a tal schiarimento, e ne fissi la sua autenticità, antichità, ed autorità, acciò non sia in caso di esser contrastata, o reputata da veruno per meno legittima, ed autorevole. Sebbene la Iscrizione suddetta siasi ritrovata contemporaneamente al sagro Corpo del Santo, non intendo in questo Capitolo di descrivere l'invenzione del detto prezioso Corpo, della quale mi riservo di trattare separatamente nel dettaglio della Vita del Santo. Restringendomi dunque per ora alla invenzione della sola Iscrizione, vado a premettere le seguenti indubitate cose. 2. Nell'anno 1628. in occasione che fu scavato per il ritrovamento del Corpo del S. Martire, fu trovato nello stesso Sepolcro un Mattone di terra cotta, della lunghezza di un palmo, della larghezza di mezzo palmo, e della grossezza di un buon dito pollice, il di cui modello da me cavato dal proprio originale colla maggiore accuratezza annetto nella di contro Tav. segnat. num. 2. contenente incisa la Iscrizione, che in essa si legge in lettere Romane. Questo Mattone, nello scavare, e picchiare i muri dell'Avello, restò rotto in quattro pezzi: Uno de' quali, in cui si vedevano incise alcune lettere, raccolto accidentalmente da innocente fanciulla di tre anni, tra le materie scavate, e non rimosse ancora dal sito dello scavo, fu immediatamente, dal Padre della fanciullina, presentato al Vicario generale di Monsignore Illustrissimo Gozzadini, allora degnissimo Vescovo di Orta, ambi appostatamente intervenuti al detto scavo. 3. Il Vicario generale, visto detto pezzo di Mattone, e sue lettere, si portò subito al luogo delle dette macerie, e facil cosa gli fu di rinvenire gli altri tre pezzi contenenti il compimento dell'altre lettere, che trovò attaccati al mosaico, che aveva formato l'interno dello stesso sepolcro dalla parte Verticale. Questi quattro pezzi unitili insieme, e trovatili uniformi, combacianti, e combinanti tutta l'intera Iscrizione, non mancò di formare sopra qualunque più minuta circostanza di detto ritrovamento un ben'inteso, e legale Processo riportato in esteso dal Boldetti nelle sue Osservazioni (I). Questo Mattone, con sua Iscrizione si conserva tuttora in una custodia di argento, ad uso di Reliquario a tutti visibile nella Cappella di detto Santo. Un ritrovamento si ben circostanziato, ed in tutte le sue parti giuridicamente provato rende più che manifesta l'autenticità di detto Mattone, e sua respettiva Iscrizione, che certamente da verun Uomo può, o deve mettersi in controversia. (I) Lib. 3. cap. I0. fog. 698. e segg. 4. L'anichità del medesimo Mattone, e sua Iscrizione non è meno manifesta, giacchè da ognuno, che ben rifletta, deve riputarsi tanto antica, quando è antico il Martirio del Santo, ed il suo relativo Sepolcro. Il luogo, ove stava riposto il suo prezioso Corpo, non fu sicuramente di semplice nascondiglio, come leggiamo essere bene spesso accaduto alle, Reliquie, e Corpi di molti altri Martiri, che stati prima in pubblica venerazione, per salvarli dalle ingiurie dei Barbari, alle quali tante volte è stata soggetta la nostra Italia, dai fedeli furono improvvisamente, e segretamente nascosti; lo che è sempre avvenuto senza alcun preparamento di formale, e ben preparato sepolcro, non permettendo ciò nè l'imminente pericolo, nè la strettezza del tempo, nè il fine che pretendevano, che era appunto, che detti Santi Corpi, e Reliquie non fossero ritrovate. 5. Il Sepolcro del nostro Martire fu rinvenuto non a foggia di semplice tumultuario nascondiglio, ma bensì a guisa di ben inteso, e perfezionato tumolo, come apparirà nella descrizione che farò del medesimo, nell'opportuno luogo; segno evidente, che questo tumolo fu l'unico, ed il primo al medesimo Santo preparato, ed eretto. Inoltre il di lui prezioso Corpo benchè disfatto, e ridotto a semplici ossa, fu nondimeno, in esso tumolo, ritrovato non disunito, e slogato, ma nella stessa naturale positura, colligamento, e disposizione, che sogliono comporre i corpi umani (I), siccome più diffusamente mostrarò nel descrivere la sua Invenzione. Segno è questo più ch'evidente, che il S. Martire fu ivi riposto, e sepolto con somma attenzione, e premura sin dal tempo del suo seguito Martirio, ed allorchè il suo Corpo non era ancora disfatto; e che dopo il suo seguito disfacimento, dal luogo ove la prima volta fu collocato, non fu giammai rimosso, altrimente le sue ossa si sarebbero trovate scomposte dai naturali siti, e colligamenti, e confuse, e mescolate insieme, siccome facilmente s'intende. (I) Boldet. ibid. lib. 3. cap. I0. fog. 698. 6. Comprovasi ciò maggiormente, dall'essersi in detto sepolcro ritrovato il sangue del Santo Martire congelato, e mescolato con la terra (I); indizio è questo pure manifesto, che il Santo Martire fu ivi riposto appena seguito il suo glorioso Martirio, e quando ancora il suo Corpo era stillante di sangue, il quale, cadendo dalle sue fresche ferite, potè inzuppare la terra, e congelarsi. Questo stesso sangue racchiuso in una tega, con cristallo avanti incastrata nel Busto di argento del Santo Martire, si espone alla pubblica Venerazione, ed è a tutti visibile. Non resta dunque alcun dubbio, che il detto Sepolcro sia tanto antico, quanto è antico il Martirio del nostro Santo, e per conseguenza, che il Mattone, con sua respettiva Iscrizione, ritrovato unito al Mosaico componente l'interno di esso Sepolcro, goda la medesima Antichità, che gode lo stesso sepolcro, e che relativamente gode il Martirio dello stesso Santo. (I) Boldet. lib. I. cap. 30. fog. 146. 7. Contro sì evidenti argomenti comprovanti l'Antichità della nostra Iscrizione, non meritarebbe essere inteso, se qualcheduno obiettasse, o che non sembri verisimile, che subito seguito il Martirio, stando ancora tra gl'inimici del nome Cristiano, potessero seppellirlo tra le mura Castellane, ed ivi addattargli un ben inteso sepolcro: o che l'iscrizione del Mattone per il suo stile indichi Secoli assai posteriori: o finalmente, che il segno della S. Croce inciso in fronte di detto Mattone non fosse in uso nel Secolo terzo, o sia principio del quarto, in cui fu martirizzato il nostro Santo. Cominciando da questa ultima obiezione, io trovo, che il segno della S. Croce fu benissimo in uso sin dai primi Secoli del Cristianesimo, anzi ponevasi, come per esordio in tutte le cristiane Iscrizioni, e scolpivasi in quasi tutti li monumenti (I). Lo stile poi della detta Iscrizione lo trovo altresì combinante con altre Iscrizioni, che al certo non controvertonsi esser del Secolo terzo, o principio del quarto, quale appunto è la nostra. Un tal confronto è stato già fatto individualmente dalla chiara memoria dell'eruditissimo Mamacchi relativamente alla medesima nostra Iscrizione (2); sicchè su di ciò non credo dovermi distendere maggiormente. (I)
Lips. Gretser. de S. Cruce. Genner Theol. dogmat. sch. Lapid. lib. 4. pag. 193.
3. 8. Rimane la prima obiezione, che sembra la più forte, cioè, come i fedeli di quel tempo, tra la ferocia degl'Inimici, potessero aver agio di seppellirlo trà le mura Castellane, e formargli un non inelegante Sepolcro. A che rispondo, che l'astuzia di quei fervorosi Cristiani potè benissimo trovarne il tempo, il modo, e le favorevoli circostanze. Le tenebre della notte, la disattenzione degl'Idolatri, il numero allora forse prevalente dei Cristiani, il luogo da loro scelto nascostissimo, quali appunto erano le viscere delle mura ad altri forse non accessibili. In sostanza il fatto permanente, per se esclusivo di qualunque escogitabile difficoltà, ci mostra, che lo trovarono, altrimente, fingendosi il detto Sepolcro dei Secoli posteriori, non potrebbe facilmente spiegarsi, come il Sagro Corpo potesse rimaner nel suo natural colligamento, e come il fresco sangue del Martire potesse stillare nello stesso Sepolcro. 9. Inoltre non mancano esempj di altri Santi Martiri, che appena seguito il loro Martirio, dalla industria, e santa sollecitudine delli fervorosi, ed intrepidi Cristiani fu data a quelli onorevole sepoltura, nel luogo stesso, ove furono Martirizzati, ed ove appunto sembravan più facili a discoprirsi dalli feroci Persecutori. Leggo di fatto, che S. Saturnino primo Vescovo di Tolosa morto nella metà del terzo Secolo, e Martirizzato nel famoso Campidoglio della detta Città, dalla santa industria di due pie donne fu onorevolmente sepolto nello stesso Campidoglio, ove aveva sofferto il Martirio (I). S. Apollinare dai suoi discepoli fu sepolto, e collocato in un elegante Cassa di pietra fuori delle mura di Classe luogo vicino alla Città di Ravenna, ove patito aveva il Martirio (2). E S. Luciano Martire dal Tiranno fatto gettare al mare, con un sasso legatogli a un braccio, appunto perchè i Cristiani non potessero dargli onorevole sepoltura, miracolosamente portato fuori dall'acque da un gran Delfino, fu indi dai fervorosi fedeli riposto in luogo insigne, e decorato di onorevole Sepolcro (3). E così di molti, e molti altri, che si potrebbero addurre in esempio. Sicchè la fatta obiezione non sembra, che meritar debba singolare attenzione, o che recar possa un invincibile ostacolo all'antichità del nostro Sepolcro. (I)
Ruinart. edit. Paris. 1689. pag. 107. I0. Meno ascoltar dovrebbesi chi opponesse il culto immemorabile, che al S. Martire si prestava anco prima dello scoprimento del suo glorioso Corpo, a cui erano già dedicati Altari, e Cappelle; quali cose siccome certamente indicano la sua apoteosi seguita molto prima del detto scoprimento, così indichino ugualmente, che le sue sagre spoglie fossero state in pubblica Venerazione in qualcheduna delle sue Cappelle,da cui poi fossero rimosse a solo oggetto di salvarle dall'incursione de' Barbari, ed indi nascoste nel Sepolcro di cui trattiamo, e perchè si potesse sempre riconoscere il S. Corpo, vi riponessero anco il Mattone con il programma del suo Martirio. Nel qual caso caderebbe affatto a terra l'antichità sì del Sepolcro, che del Mattone suddetto, il quale in sostanza non potrebbe ad altro servire, che ad attestare l'identità del suo Corpo, siccome in effetto servì allorchè scoperto nel 1628. fu discussa la sua causa in Sagra Congregazione dei Riti. II. Oltre che anco a questa opposizione si adattano le risposte di sopra date alle altre obiezioni; cioè che il naturale colligamento delle Ossa, che il Sangue congelato ritrovato nel Sepolcro, fanno, con evidenza, intendere, che ivi, senza mai più rimoverlo, fu collocato, e riposto, appena seguito il suo Martirio. Rispondendo per altro direttamente a questa ultima obiezione, e da notarsi, che l'equivoco nasce da una falsa supposizione, cioè, che le Apoteosi dei Martiri dei primi tre Secoli si facessero nel modo stesso, che, resa nel quarto Secolo, la pace alla Chiesa, incominciarono poi a farsi pubblicamente, tanto per i martiri, che per i Santi Confessori (I), o dalla universale acclamazione dei Popoli, o dal maturo giudizio dei Vescovi, nei loro però respettivi dipartimenti, con consenso o tacito, o espresso del Sommo Pontefice, come sostengono comunemente, o independentemente da esso come vogliono alcuni (2), o pure, come dopo la Decretale di Alessandro III., e costituzioni di altri Pontefici successori, noi vediamo succedere ai giorni nostri, in cui, non v'à dubbio, che si fanno non solo pubbliche, ma ancor solenni, tanto riguardo alla discussion delle cause, quanto riguardo ai gloriosi Corpi, che senza difficoltà, si espongono alla pubblica vista, e venerazione dei fedeli (*). (I)
Bened. XIV. de Canoniz. SS. tom. I. cap. 5. n. 3. I2. Non così certamente avveniva nei primi tre Secoli della Chiesa. Le Canonizzazioni, o siano gli onori degli Altari non si accordavano allora, che ai soli Martiri, e queste ne erano solenni, nè pubbliche, nè si facevano con ostentazione delle preziose loro spoglie, ed ancorchè si ammetta la comune opinione, che sempre vi concorresse il consenso, o tacito, o espresso del Sommo Gerarca, il certo si è che, appena seguiva il Martirio di qualche Fedele, si dava a questo onorata sepoltura, ma ciò, con la maggiore segretezza, acciò non si scoprisse dagli Idolatri. Nel Sepolcro riponevano qualche segno indicante il suo Martirio: Il Vescovo della Diocesi dava parte del seguito Martirio al Primate, indi con altri Vescovi suoi Colleghi, senza punto rimuovere il Martire dal Sepolcro, prendeva tutte le necessarie informazioni dell'accaduto Martirio, e siccome il nome del Martire non altro significa, che testimonio della fede di Gesù Cristo (I), così tutta la diligenza dei suddetti Vescovi era riposta in verificare, se il Martire aveva affettivamente sparso il suo Sangue in attestato della verità della medesima Fede (2). Se ciò veniva concludentemente provato, erano i Fedeli autenticati a poter prestare al Martire il culto, ad ergergli Altari, e Cappelle non già generalmente, ma nelle loro respettive Chiese, ove i Martiri avevano patito, e giacevano sepolti, nel modo però conveniente a quei tempi di fiere persecuzioni, cioè segretamente, in luoghi privati, sotterranei, ed inaccessibili agl'Idolatri (3). Dal che si comprende, che simili Apoteosi, neppur per ombra si facevano coll'esporre alla pubblica vista, e venerazione i Corpi dei SS. Martiri, non permettendolo l'imminente pericolo, in cui continuamente trovavansi. (I)
Tertull. lib. ad Martyr. cap. I. seqq. Orig. in Joan. cap. I. 7. Cypr. de laud.
Martyr. & c. I3. Quanto siano antiche le due Cappelle esistenti nella Chiesa Arcipretale di S. Maria, non è facile indovinarsi. La prima piccola Cappelletta interna eretta nelle Viscere stesse delle mura Castellane confinante col Sepolcro del S. Martire, che fu poi demolita per fabbricarvi la moderna più ampia, e più comoda perfezionata, e compita nel 1734. (come rilevasi dalla Lapide esistente in detta Cappella), non dubito punto, che vantasse un'antichità ben ragguardevole, facendomi ciò credere il vederla formata in un sito sì nascosto, quale appunto era l'interno delle mura Castellane, sito adattatissimo a tener celato non meno il Sepolcro del S. Martire, che la detta Cappella, in tempi certamente pericolosi, eretta al dovuto di lui onore. Non così la Cappella esteriore la quale fu al Santo dedicata, ed eretta allorchè, resa la pace alla Chiesa, fu dato campo, e luogo a fabbricarsi il Tempio di S. Maria Assunta al Cielo. Ambe dette Cappelle, come ognuno può accertarsene sono situate sì vicine al Sepolcro del Martire, che possono dirsi quasi cambacianti il detto Sepolcro. Ora, ciò posto, contro la promossa difficoltà, così la discorro. Non è credibile, che gli Antichi fedeli fossero si solleciti di rimuovere il glorioso Corpo da qualunque di dette due Cappelle, per salvarlo dalle persecuzioni dei Barbari, e che poi ad ottener il loro intento, gli costruissero un ben intero Sepolcro anco visibile al di fuori, vicino, e quasi combaciante, e può anco dirsi dentro le stesse Cappelle. Certamente ciò sarebbe stato lo stesso, ch'esporlo ad un evidente pericolo di farlo scoprire a quelli stessi inimici, da' quali si procurava salvarlo; il che siccome non è punto presumibile nelli attentissimi, e gelosissimi antichi Cristiani, quindi è, che anco a riguardo di questa giustissima riflessione aggiunta a tutte le altre congruenze rilevate di sopra, sempre più mi confermo, a credere, e ad affermare, che il Corpo del S. Martire non sia giammai stato in pubblica venerazione in alcuna di dette due Cappelle, prima dell'anno 1628. e che il suo Sepolcro, senza alcun dubbio sia il primo erettogli, appena seguito il suo Martirio, e per conseguenza il Mattone in esso ritrovato goda la stessa Antichità del medesimo Sepolcro. I4. Dalle sin qui premesse, e provate si autenticità, che antichità del suddetto Mattone, e sua riferita Iscrizione, per naturalissima illazione, ne siegue, che l'autorità e valore della medesima sia alle dette due qualità totalmente corrispondente, e che per ciò debba uguagliarsi al valore, ed autorità di qualunque altro segno, Programma, ed Iscrizione, che generalmente trovansi nei Sepolcri dei Santi Martiri: giacchè essendo anco la nostra Iscrizione contemporanea, e sincrona al tempo dello stesso Martirio di S. Lanno, non può non meritare tutta quella fede, che dalla S. Chiesa è stata sempre prestata, e suol continuamente prestarsi a' simili ritrovati segni. E tale di fatto dalla S. Chiesa è stata, ed è riconosciuta la nostra Iscrizione, in vigore della quale dalla Sag. Congreg. de' Riti fu approvata l'identità del S. Corpo, e gli fu altresì decretata la continuazione dell'immemorabile culto. Premessa quindi in tal modo l'autenticità, antichità, e valore della nostra Iscrizione, vengo ora allo schiarimento degli sopraccennati equivoci occorsi negli Atti Ortani. C A P O VI. Schiarimento degli equivoci. I. Dalla Iscrizione del sopradescritto Mattone, che qui ripeto. LANNVS XPI MARTYR HIC REQVIESCIT SUB [E.P.S.] DIOCLITiano passus, si viene in chiara cognizione, in primo luogo, che il vero nome del S. Martire non fu altrimenti Lando, come sinora io l'ho chiamato, e come per equivoco, o forse innocente errore, fu inserito negli Atti Ortani: nome affatto Tedesco, come provano i Bollandisti; ma bensì il suo vero nome, come trovasi realmente inciso nel detto Mattone, essere indubitatamente Lanno: Lannus Christi Martyr: nome di sua derivazione affatto Greco, siccome li stessi lodati Bollandisti, dopo aver avuto sotto gli occhi la suddetta Iscrizione del nostro Mattone, attestano, e provano, con somma erudizione (I). 2. Che però, con tutta probabilità, e verisimiglianza, ognuno può persuadersi, che il nostro Santo non altrimente Tedesco, come in detti Atti si accenna, ma bensì fosse di origine Greco, mostrandolo tale non solo l'etimologia del suo nome, ma di più una Pergamena scritta in Greco, che un tempo si conservò tra le sue preziose memorie, e che poi, per incuria di un Rettore di quei tempi, con somma dapocaggine, ed immenso danno delle geste di sì glorioso Martire, e rammarico de' fedeli, fu mandata in perdizione, come sulla fede di degnissimi testimonj, ne assicurano i più volte citati Bollandisti, i quali appoggiati a sì fatte congetture sembrano non andar lontano dal crederlo anch'essi di origine Greco (2). (I)
Tom. 2. in Append. ad diem 5 Maii fog. 797. 3. In secondo luogo siamo con tutta sicurezza accertati, che il Martirio del nostro Santo non seguì certamente sotto Domiziano, come per equivoco fu inserito negli Atti Ortani, ma bensì molto più tardi, e precisamente sotto l'Imperador Diocleziano, il che rimane sino all'evidenza schiarito, e provato, subito che, di questa verità, ce ne assicura l'autentica, antica, ed autorevole Iscrizione del surriferito Mattone: Sub Diocletiano passus. Questa sì preziosa Iscrizione, e scoperta, come attesta il chiarissimo Fontanini (I) sgombrò immediatamente tutte quelle dubitazioni, e sospetti, alle quali, per conciliar gli Atti degli uni, e degli altri Martiri di sopra accennati si erano appigliati gli eruditissimi Ferrari (2), ed il Florentino (3), e fece altresì ricedere i celebri Bollandisti dalla avanzata congettura, che il martirio del nostro Santo fosse assai più recente, e riferibile al Secolo VI., in cui i Longobardi, ed altri Barbari infuriarono contro il nome Cristiano, dalla quale congettura, appena ebbero in mano la detta Iscrizione, non dubitarono di retrocedere (4). (I)
De Antiq. Hort. fog. 42 segg. 4. La mutazione di una semplice lettera nel nome di Lanno in Lando, ed il cangiamento di Diocleziano in Domiziano, non v'ha dubbio, che sino all'anno 1628. causarono somma confusione, e contrasti, come di sopra si è osservato; ma per altro se si rifletta senza prevenzione, li detti errori, ed equivoci, particolarmente nel caso in cui siamo, non debbono recare maraviglia alcuna. Li Atti del nostro Martire, per molto tempo furono conservati, e tramandati con semplice tradizione da generazione in generazione. Indi perchè non si estinguesse la memoria, furono consegnati nello scritto intitolato Fabbrica Ortana. Ciò posto, cosa più facile ad accadere nel Volgo, che variare una semplice lettera di un qualsivoglia nome ? Cosa più freguente, che equivocare, e confondersi tra due nomi della stessissima desinenza, quali sono appunto li nomi di Diocleziano, e Domiziano, ed innavertentemente surrogare l'uno in luogo dell'altro ? Da che conchiuder si debbe, che detti sbagli, non solo sono assolutamente innocenti, ma ancora scusabili, e che perciò appunto, non debbono recar sorpresa alcuna agli animi giudiziosi, e riflessivi. 5. La surriferita Iscrizione del più volte ridetto Mattone non somministra altro lume, nè con essa può farsi altra dilucidazione ò dell'accennata fratellanza con altri cinque Martiri, o di alcun altra parte, ed enunciativa delli nostri Atti: Ma a dirla con ischiettezza, a mio parere, non altri veri equivoci in detti Atti occorrono, che li già di sopra dilucidati. La pretesa fratellanza di sangue con gli altri Martiri, più tosto che errore degli Atti, io la credo puro sbaglio d'interpretazione, come mostrarò in appresso. Il rimanente poi dei medesimi non trovandolo, come parimente mostrerò a suo luogo, nè ripugnante ad alcun punto di Storia, molto meno alla ragione, ed alla verisimilitudine, è troppo giusto, che non debba ad arbitrio di chicchesìa spogliarsi di quel luogo, pacifico e legittimo possesso, che gode da tanti Secoli. Ciò non ostante, dovendo io stare alla parola, non mancarò di proseguire la promessa dilucidazione anco nel rimanente; il che se non altro servirà per sgombrare qualunque amarezza, che potrebbe incontrarsi nei medesimi Atti. 6. Ma poichè a far ciò non più mi doverò servire dell'Iscrizione del sopradetto Mattone, e dall'altro canto, ritrovandosi in esso scolpita una Sigla di tre lettere majuscole ognuna appuntata da se, che chiusa in un Quadrato, o sia Parallelogrammo, interseca la suddetta riferita Iscrizione, che a maggior chiarezza ripeto nel modo seguente: Lannus Christi Martyr hic requiescit sub [E. P. S.] Dioclitiano passus: la qual Sigla (E.P.S.) è stata sempre, ed è anch'oggi occasione di molte dispute trà gli eruditi; quindi prima di andare innanzi, e dipartirmi da detto Mattone, per ordine di materia, dirò qualche cosa della medesima, o più tosto riferirò quanto sin ora di essa è stato scritto da diversi Autori, riportando fedelmente non solo le loro interpretazioni, ma altresì le opposizioni, che incontrarono. Dopo le quali, sarà lecito anco a me di dire il mio sentimento sulla medesima. Ciò fatto ripigliarò indi la dilucidazione del restante degli Atti. C A P O VII. Della Sigla (E. P. S.) incisa nel Mattone. I. In un suo manoscritto, da me non potuto rincontrare, il Leoncini Canonico dell'insigne Cattedrale di Orta, seguitato in appresso da D. Splendiano Pennazza nella Vita di S. Eutizio Prete, e Martire (I), dal Marangoni nel Teatro de' Parochi (2), e da altri, avendo forse letto negli Atti del detto Martire S. Eutizio Protettore della celebre Terra di Soriano, o altrove, che il detto Santo, mentre viveva, era tutto intento, non solo a convertire i Gentili, ma altresì a dare sepoltura ai Corpi de' Santi Martiri, di cui di fatto si narra, che convertisse, ed indi anco seppellire i SS. Martiri Felicissima, e Gratiliano (3), da queste, o altre raccolte notizie, come io vado immaginando, s'indusse a interpretare la detta Sigla (E. P. S.) nel modo seguente: Eutitius Presbyter Sepellivit: Volendoci con ciò far credere, che il nostro Martire Lanno fosse, dopo suo Martirio, sepolto da S. Eutizio Prete, e Martire. (I)
Lib. 4. pag. 93. 2. Questo sentimento del Leoncini benchè seguitato da molti, incontrò per altro presso non pochi, e singolarmente presso quei, che, riponendo il Martirio di S. Eutizio sotto Claudio II., che regnò dall'anno 268. sino all'anno 270. val dire quattordici anni prima di Diocleziano assunto al Trono nell'anno 284. e per conseguenza molti più anni prima del Martirio di S. Lanno, trovavano, come ognun vede, affatto impossibile, che S. Eutizio morto tanti anni prima, avesse potuto dar sepoltura al Martire S. Lanno morto tanti anni dopo il Martirio di S. Eutizio: Onde i più conniventi, ritenendo in parte la data interpretazione, accordavano, che in vece di S. Eutizio Prete, e M. si dovesse intendere di qualche altro Eutizio (I). E sebbene i Martiri dei SS. Eutizio, e Lanno combinassero sotto lo stesso Imperatore, come di fatto si sforza combinarli il più volte citato Florentino (2), pur tuttavia la detta interpretazione non incontrò presso altri l'intero applauso. (I)
Fontan. detto lib. 3. cap. 5. cap. 5. fog. 42. 3. In effetto datasi detta interpretazione a considerare ai sopracitati Bollandisti, colla Sigla però alquanto variata nell'ordine delle lettere, cioè in (P. E. S.) questi, preoccupando sin da quel tempo l'altra interpretazione, che modernamente alla medesima Sigla è stata data dall'eruditissimo P. Mamacchi, della quale parlerò bene a lungo nei numeri seguenti, così saviamente la discorrono. Lo spiegare, dicono essi, detta Sigla: Presbyter Eutitius Sepellivit: ha troppo deboli fondamenti. E chi non vede di quanti sensi siano suscettibili le dette tre lettere, secondo venga in mente a ciascuno d'indovinare. Chi proibisce perciò, che altri le spieghino: Episcopus: intendendo di S. Lanno, e riponendolo, se così piaccia, nel catalogo de' Vescovi Ortani. Chi proibisce altresì di spiegarle in queste altre foggie: Petrus, vel Paulus Episcopus sepellivit: o pure, posuit Episcopus Stephanus (I), e sebbene in appresso rettificatogli il giusto Ordine della Sigla in (E. P. S.) accordino, che qual'ora dette lettere fossero senza punti, potrebbero, senza difficoltà alcuna leggersi: Episcopus: ciò accadde perchè alli medesimi fu esibita tutta l'intera Epigrafe in aspetto assai diverso, giacchè la Sigla (E. P. S.) fu loro trascritta immediatamente dopo il: requiescit: nel modo seguente: Lannus Christi Martyr hic requiescit (E. P. S.) sub Dioclitiano passus (2): onde inferivano, che in questo caso, in cui: haberetur sensus nequaquam interruptus: sarebbesi potuta, anzi dovuta spiegare per: Episcopus: il che per altro non accettavano, stante che, essendo le dette lettere appuntate, non potevano, in tal modo, interpretarsi. Molto più si sarebbero allontanati da sì fatta interpretazione, se la detta Sigla ad essi l'avessero proposta, come realmente si trova tra il sub (E. P. S.) Dioclitiano: nel qual caso, non solo i punti, che intersecano dette lettere, mà molto più il senso affatto interrotto lì averebbero affatto alienati dallo interpretare: Episcopus: giacchè volendola così spiegare averebbero dovuto fare una stranissima, e non mai più praticata violenza, per connetterla col senso dell'antecedente Iscrizione. (I)
In Append. ut supra fol.. 797. 4. Ciò non ostante, il lodato Reverendissimo P. Mamacchi passato ultimamente agli eterni riposi, in occasione della celebre causa, che prese a difendere per la Città di Orta sulla maggiore antichità del di lei Episcopio, a confronto dell'Episcopio di Civita Castellana, che trovansi Concattedrali (qual causa precisamente fu discussa in S. C. del Concilio nell'anno 1759.) rigettando anch'esso P. Mamcchi la sopradetta interpretazione del Pennazza, e per conseguenza del Canonico Leoncini, secondo avevano già prognosticato li Bollandisti, studiandosi a tutto potere di dar sfogo alla difficoltà dei punti obiettata da detti Bollandisti, e molto più all'evidente sconnessione di detta Sigla con il restante dell'Iscrizione, con sforzo, ed impegno affatto straordinario ha di fatto interpretato la detta Sigla (E. P. S.) per Episcopus, e allegando a quest'effetto l'esempio di alcune Lapidi a detta interpretazione collimanti, pretende pro aris et focis, che il nostro Martire debba onninamente noverarsi nel Catalogo dei Vescovi Ortani (I), anzi lo pone per primo Vescovo, ed indi anco lo crea Protettore di detta Città di Orta (2). (I)
De Antiq. Episc. Hort. cap. 3. Antirresi. pag. I. & segg., & pag. 73., & segg. 5. Questa del tutto moderna interpretazione del dottissimo Mamacchi a me piacerebbe moltissimo, perchè decorarebbe il nostro Martire di una dignità così sublime. Ma non va per altro anch'essa esente da insuperabili difficoltà, ed opposizioni. L'antica non meno che la moderna età non ha mai risaputo di un tal Vescovo. Le carte Ortane nè tacciono eternamente. Le Ossa del S. Martire non indicano, che un giovanetto di pochi anni. Così al Mamacchi trovo, che si oppone l'eruditissimo Genner nella sua celebre non meno, che dotta, profonda, e singolarissima Teologia, Dogmatico, Scolastica, Lapidaria, Liturgica (I). (I) Tom. 4. par. a. trat. 3. lib.. 3. cap. 2. §. 2. f. 455. 6. Alle dette giustissime opposizioni, se ne possono aggiungere delle altre non meno forti. Si donino pure al Reverendissimo P. Mamacchi le tante Lapidi da lui recate a provare, che li punti, che intersecano le lettere della nostra Sigla, non pregiudichino punto alla sua datale interpretazione. E sia pur vero, come egli pretende provare, sebbene non ne porti esempio alcuno confacente al caso, che le lettere (E. P. S.) o appuntate, o senza punti possano, anzi in alcuni casi debbano spiegarsi per Episcopus: come effettivamente provano le due Sigle delle Lapidi da lui riportate, le quali per altro non sono intersecate da punti. Si deve però seriamente osservare, che ciò allora ordinariamente succede, quando le dette lettere, oltre le altre congruenze, che a ciò conducono, si trovano in qualche modo connesse, e senza grande violenza riferibili al resto della Iscrizione, e per conseguenza applicabili a quella persona di cui si vuole esprimere, ed indicare simile Dignità. Così di fatto osservo accadere nelle infrascritte due Lapidi da lui riportate in esempio (I). (I) De Antiq. Epis. Hort. pag. 19. I. T. I. X. EGO DAMASI 2. HIC REQVIESCIT MARTIN EPS ET MONACVS 7. In dette due Lapidi, oltre il risapersi già altronde la dignità Vescovile di ambi li detti santi soggetti, e indicarsi bastevolmente nella prima Lapide del Verbo: consecravi: e nella seconda dalle due copulate dignità di: Episcopus, et Monachus: di più in esse la Sigla E P S. non intersecata da punti, trovasi naturalissima, in luogo proprio, e a portata di esser letta, e spiegata, come ottimamente si legge, e si spiega dal Reverendissimo Mamacchi, e come si spiegarebbe da chiunque anco meno erudito, cioè: Ego Damasius Urbis Rome Episcopus hanc Domum consecravi: Hic requiescit Martinus Episcopus, et Monachus: ove certamente simile lettura non soffre la minima violenza. 8. Non così per altro succede nel caso nostro. Della dignità Vescovile del nostro Martire non se ne ha il menomissimo indizio, anci vi sono argomenti in contrario, come si è accennato di sopra, e meglio si proverà in appresso. Dall'altro canto nella epigrafe: Lannus Christi Martyr hic requiescit sub (E.P.S.) dioclitiano passus: le dette tre lettere, come ognun vede, oltre il non avere congruenza alcuna per tal spiegazione, di più stanno poste in si sconnesso luogo, che certamente interrompono affatto il senso sì antecedente, che susseguente della suddetta Iscrizione, se pure non si volesse attribuire la dignità Vescovile a Diocleziano, come naturalmente portarebbe l'ordine, ed il senso delle parole, cioè sub Episcopo Dioclitiano, il che farebbe un senso non men ridicolo, che mostruoso. Quindi l'estensore di detta Epigrafe, che per altro scrisse in Secolo non barbaro, con un modo sì sconnesso, e stravagante, non averebbe formato una passabilmente intesa Iscrizione, ma l'averebbe vergognosamente deturpata, e con una sì equivoca abbreviatura posta particolarmente in sito sì stravagante, l'averebbe resa a tutti, ed in tutti i tempi affatto inintelligibile. 9. La forza, ed efficacia di questa difficoltà pur troppo fu intesa dallo stesso Reverendissimo Mamacchi, onde per evitarla, si attaccò a due per altro, secondo me, debolissime maniglie. L'una, cioè, che detta Sigla non abbia unione alcuna col sub, et Dioclitiano, ma che come chiusa in un Parallelogrammo costituisca onninamente Casa da se (I). La seconda, adducendo moltissime Lapidi stravaganti anch'esse, tanto nella latinità, che nell'ordine delle parole, da che conchiude, che non debba far maraviglia alcuna la stravaganza dell'ordine, e positura dalla nostra Sigla (2). La prima maniglia a me sembra, che possa francamente ritorcersi contro il medesimo; giacchè se è vero, che detta Sigla, come chiusa in un Parallelogrammo, non ha, nè può avere connessione alcuna, con quelle parole, colle quali per altro si trova naturalmente unita, e connessa, con più di ragione sarà lecito a ciascuno di asserire, che molto meno abbia relazione con quelle parole, dalle quali si trova del tutto separata, sconnessa, ed isolata. (I)
Antirresi pag. 6. e 127. I0. La seconda maniglia poi è forse anco più debole, ed inconcludente della prima. Per quanto abbia egli cercato nella remota antichità delle Lapidi scorrette e deformi, non ha potuto certamente trovarne una simile alla incoerenza, e sconnessione della Sigla, che egli immagina nel nostro Mattone. Allega egli è vero al propostosi suo fine le seguenti Iscrizioni (I): La I. Julia Felicissima Lucio Victorino conjugi, cum quo per annos XVI. semprer bona vita vixit de parvula mediocritate nostram digno feci ominum sodalitii magister, et hortater mirae bonitatis, et innocentiae homo depositus. XVIII. Kal. Aug. HIC ARTIFEX ARTIS TESSALARIAE LUSORIAE: e ne rileva non meno gli errori grammaticali, che il Tò hic artifex artis Tessalariae & C. posto nell'ultimo, e non più tosto tra Victorino, et conjugi: La 2. Dp. Ciriacetis III. Idus quae vixit an XX. dies I. quae Neofita mortua est Virgo in p.: La 3. Leontiae Benemerenti in pace Neofitae: La 4. D.P.S. VI. Jun. Victor vixit annis XXXXIII. reddit in pace FUIT PEREGRINVS: Nelle quali Lapidi, come egli rileva il Tò: hic artifex artis Tessalariae: il Virgo Neofita: il Neofitae: il fuit preregrinus: stanno fuor di luogo, e pure non tolgono, che siano riferibili ai nomi propri delle relative Iscrizioni. Da tutto ciò conchiudendo, che lo stesso debba dirsi della Sigla (E. P. S.) del nostro Mattone, la quale benchè posta fuor di luogo, debba onninamente riferirsi a S. Lanno Martire, colla indubitabile interpretazione di Episcopus. (I) Antirresi pag. 125. e segg. II. A dire il vero le Lapidi di sopra opposte, ed altre ancora, che avrebbero potuto opporre, per quanta stravaganza in se contenghino nella trasposizione delle parole, non vi è per altro stato, nè vi può essere alcuno, che facilmente, con pochissima attenzione, e riflessione, non vada ad intendere le chiare, e lampanti qualità sopradette di Artefice di Vergine, di Neofita, di Pellegrino, benchè poste nel fine, esser ciò non ostante riferibili alle persone espresse nelle medesime Lapidi. Non così per altro, nel decorso di più di un Secolo e mezzo, da che venne alla luce la nostra Iscrizione è accaduto circa la Sigla del nostro Mattone. Essa sì perchè oscurissima in se stessa, poichè abbreviata, ed appuntata in ogni lettera, si è molto più perchè posta tra la proposizione sub, et Dioclitiano, luogo, come ognun vede, sproporzionatissimo, e del tutto sconnesso dalle antecedenti, e susseguenti parole, ha dato, e darà mai sempre luogo a vaghe, ed incertissime interpretazioni. Quindi il Leoncini, ed il Pennazza, e con essi molti altri, hanno creduto leggerle: Eutitius Presbyter Sepellivit. I Bollandisti hanno opinato, che dette lettere siano suscettibili di mille sensi, e sebbene qual'ora dette lettere fossero state senza punti, in tal caso, averebbero inclinato a leggerle Episcopus, ciò accennarono perchè detta Sigla fu loro esibita, come posta immediatamente dopo il requiescit, onde, come essi asseriscono, ne vedevano il senso non interotto. Gli Oppositori poi che difendendo l'Episcopio di Civita Castellana, scrissero contro il Reverendissimo Mamacchi, furono più tosto solleciti ad escludere la strana di lui interpretazione, che a fissarne la giusta, e legittima lettura; onde del tutto incerti, ora difesero la interpretazione del Leoncini, ora leggerono le dette lettere per Tò: E pecunia sua: ora quasi di volo le accennarono per segno della Figulina, ora finalmente le credettero una cifra di sua natura inintelligibile. I2. Per sostenere il suo assunto il lodato Mamacchi, oltre l'aver spogliato tutta l'antichità delle Lapidi più conducenti al suo intento, propone altresì una ragione, che egli crede valevolissima a sostenere la da lui data interpretazione, cioè, che altrimente spiegandosi la detta Sigla, converrebbe dirsi, che in quella regione non vi siano stati Cristiani per trecento anni continui, o almeno che siano stati senz'alcun Vescovo (I). A che rispondesi facilmente, che ammettendosi ivi i Cristiani tanto antichi, quanto la venuta di S. Pietro in Roma, come pretende, e prova il spesso citato Florentino nella sua opera della pietà delli Etruschi (2), ed ammettendo, che avessero, come di fatto dovevano avere il loro Vescovo, non ne siegue da ciò, che necessariamente detto Vescovo dovesse essere il Vescovo di Orta, essendo tutt'ora incerto, quando detta Città cominciasse ad avere i suoi Vescovi; molto meno, che detto Vescovo fosse, o dovesse essere S. Lanno Martire, di cui giammai si è risaputa simile dignità; anzi vi sono argomenti convincentissimi, che egli non mai sia stato Vescovo. Nel principio del Cristianesimo, non erano certamente le Diocesi ordinate, come or le vediamo, ma spesso un Vescovo di una sola Città regolava i pochi o molti Cristiani sparsi, e dispersi in moltissimi luoghi anco lontani di una intera Provincia; oltre di che, come sopra accennai, è molto difficile il fissare quando la Città di Orta incominciasse ad avere il proprio Vescovo; e sebbene l'Ughellio lo fissi nel 330. circa (3), val dire 30. anni dopo la morte del nostro Martire; non sò per altro se validi siano i suoi fondamenti, su che io non debbo nè poco, nè punto impegnarmi, per esser essi più tosto esclusivi, che arguitivi del Vescovato del nostro S. Martire. (I)
De Antiq. Episc. Hort. pag. 16. I3. In oltre a me gran forza il riflettere, che l'Episcopio di Orta non ha poi tant'abbondanza di Vescovi Martiri, che l'unico, e il primo, quale certamente sarebbe stato il nostro Martire, gli fosse sì facilmente uscito di memoria. Pur troppo è vero, che molti Episcopj hanno perduto anco il nome dei loro Vescovi (I), ma, a dire il vero, il nome del nostro Martire, sebbene di una sola lettera variato da Lanno, in Lando, ciò non ostante, per quindici interi Secoli è stato sempre vigente, e noto non solo alla Città di Orta contermina alla Terra di Bassanello, ove soffrì il suo Martirio, ma altresì notissimo in tutti quei contorni, e poco meno che a tutto il Cristianesimo; onde sembra inverisimile, anzi affatto impossibile, che della sua sublimissima dignità, che tanto averebbe illustrata la detta Città di Orta, nè ivi, nè altrove menomo indizio ne rimanesse. E qui è da notarsi essere affatto insussistente ciò che si asserisce dal Reverendissimo Mamacchi (2), cioè, che il nostro S. Martire sia anco Protettore di detta Città, essendo a tutti palese, che Orta non ha giammai avuto altro Protettore, che S. Egidio Abate (3). (I)
Ughell. ibid. col. 778. I3. Per altro, concesso anco per pochi momenti al Reverendissimo P. Mamacchi questo suo nuovo Vescovo nella peraltro degnissima persona di S. Lando Martire, ciò non ostante, la suddetta sua difficoltà tornarebbe poco meno, che nel suo pieno: Giacchè la supposta dignità del Santo Martire, al più averebbe potuto empire pochi anni sul fine del terzo Secolo, quindi sempre tornarebbe a dirsi, che prima di S. Lanno, in quella regione, per duecento sessanta e più anni, o non vi fossero Cristiani, o che stassero senza alcun Vescovo, il che non piace nè al Reverendissimo P. Mamacchi, nè ad altri eruditi Istorici. Per toglier dunque una sì fatta difficoltà, senza immaginare Vescovi a suo talento, bastava, che ricorresse all'oscurità dei primi Secoli, dai quali non sono a noi stati trasmessi nè i precisi regolamenti, nè i nomi dei primi Vescovi del nascente Cristianesimo, siccome di questa verità ci assicurano i più volte lodati Bollandisti (I). (I) Append. ad diem 5. Maii pag. 797. C A P O VIII. Interpretazione più
verisimile della Sigla I. Ma rigettate le sin quì riferite interpretazioni, qual sarà dunque il senso, e la intelligenza di detta Sigla, e quale il mio sentimento sulla medesima ? A dire il vero, senza la scorta di Valenti Autori, che hanno fatto le più serie osservazioni su tali Mattoni antichi, e generalmente sulle Figuline, mi trovarei al sommo imbrogliato. Se non che l'eruditissimo Boldetti mi apre il primo una strada, sulla quale caminando, sembrami poter con sicurezza arrivare alla vera interpretazione della medesima. Mi fa egli sapere (I), son sue parole: Che alcuni di questi mattoni sono affatto lisci, e senza alcun segno, altri poi hanno o nel mezzo, o da un lato il Sigillo dell'officina, in cui furono fabbricati, coi nomi dei Padroni di quei Poderi, nè quali era situata la Figulina, e talvolta, vi si scorgevano anco i nomi de' Consoli, che in quel tempo vivevano. Un tale avvertimento mi fece in buon punto sovvenire, che essendomi più volte, nelli scavi di Roma, incontrato a vedere, anzi ad avere in mano simili Mattoni, con alcune lettere iniziali, e domandando, per innata curiosità, che cosa significassero, mi fu, non ricordandomi per altro da chi, risposto, che tali lettere non altro significavano, che la Fabbrica, ossia l'Officina di detti Mattoni. (I) Tom. 2. cap. 17. pag. 527. 2. Con questa notizia, e suddetta regola alla mano, mi sono fatto carico di rintracciare molte serie di Mattoni antichi raccolti da vari Autori, ed in effetto gli ho ritrovati con i segni di sopra indicatimi dal sopra lodato Boldetti, cioè, ora coll'una, ora coll'altra delle seguenti espressioni: ex Officina: ex Figulina: ex Predio; tal volta, col semplice nome dei Padroni, e talvolta anco, con le semplici lettere iniziali appuntate. Oltre il Grutero (I), il celebre, ed in queste materie valentissimo Fabretti ne dà una raccolta ben ampia, altri col solo segno della Fabbrica, altri anco coll'indicazione de' Consoli, che allora vivevano, altri colle sole lettere iniziali appuntate (2). Per non tediar di soverchio i Lettori, ne riporterò alcuni Esempi di ogni specie, principiando da quelle, che hanno la semplice espressione: ex Praedio. (I)
Pag. 183. e 184. Senza l'indicazione de' Consoli.
Coll'indicazione de' Consoli.
Coll'espressione: ex
Figulinis: ex Officina.
Col semplice Nome dei Padroni
Colle sole Lettere iniziali appuntate.
3. Ella è oggi mai questa una verità sì comune, e palese, che lo stesso Fabretti la chiama rem tritissimam (I); ed io prima di propalare questo mio sentimento, essendomi abboccato con moltissimi eruditi, e pratici di simili Mattoni antichi, uniformemente tutti mi hanno attestato, che simili Sigle non hanno altro significato, che l'indicazione della Fabbrica, Officina, o Predio, ove detti Mattoni furono fabbricati, e che l'interpetrarle diversamente sarebbe un'errore imperdonabile. Di fatto trovo, che il lodato Fabretti condanna a grand'errore il sentimento del per altro celebre Ursato, che avendo tra i suoi monumenti Patavini trovato un Mattone, o sia Tegola, con il nome di SERVILIA, lo interpretò per un segno Sepolcrale, o della Famiglia Servilia, o di qualche altra illustre Donna. Quanto per altro andasse lungi dal vero, glie lo prova ad evidenza con una serie ben lunga di simili lavori di terra cotta, li quali benchè contengano i nomi delle stesse Imperadrici, ciò non ostante altro non indicano, se non che elle erano le Padrone di quei Predj, o Poderi, ove simili lavori si fabbricarono (2). (I) Ibid. cap. 7. pag. 498. 4. Ciò posto a me sembra, che l'interpretazione della Sigla (E. P. S.) del nostro Mattone sia più che evidentemente trovata. Ella in sostanza altro non è, che il segno, o sia sigillo della Fabbrica, del Predio, o sia la Figulina, ove detto Mattone fu fabbricato. Che poi le dette tre lettere le leggano per modo di esempio: EX PRAEDIO SEXTII (di quel Sestio forse, il di cui Sepolcro trovasi nella Terra di Bassanello) (I), o pure SERVILII, o vero SEVERI, o SCAVRI: o le prendano per il semplice nome del Padrone, o dell'Artefice, o pur anco per una semplice cifra della Fabbrica, ciò niente cale, o pregiudica alla presente controversia; potendo certamente sotto dette lettere iniziali comprendersi moltissimi nomi, quali sebbene oggi siano difficili a risapersi, non così però succeder doveva in quei tempi, in cui le Officine, e le Fabbriche erano notissime, e notissime altresì le loro cifre, e sigilli. (I) Cap. I. num. 8. 5. Ed ecco il perchè nel nostro Mattone le lettere di detta Sigla si trovano chiuse in un Quadrato; o sia Parallelogrammo, e assai più piccole dell'altre lettere dell'Epigrafe, ed in sito sì sproporzionato, e sconnesso, che ne sembrano, nè realmente sono continuazione delle antecedenti, nè connessione delle susseguenti. Quando nel Mattone incisero la surriferita Iscrizione, già nell'accennato quadrato, trovavansi impresse le dette tre lettere (E.P.S.) segno, e sigillo della Figulina; quindi l'incisore dell'Epigrafe non avendo esattamente presa la misura del sito colla scrittura, che dovea inciderci, anzi avendo incominciata la sua Iscrizione con lettere troppo majuscole, nel progresso, e precisamente arrivato alla proposizione SVB incontrossi, ed inciampò, anco non volendo, nel già esistente quadrato, o sia sigillo, onde per compiere la già avanzata Iscrizione, per necessità dovette oltrepassare il detto quadrato, e sigillo; e dopo il medesimo dovette incidere le due uniche parole Dioclitiano passus, che gli restavano; e siccome il sito gli era già di molto mancato, fu necessitato prima di restringere, ed impiccolire il SVB, ed altre due lettere avanti il Quadrato, ed indi impiccolire anco di più, e di mutare anco la forma delle altre due parole Dioclitiano passus, dopo il medesimo quadrato, come il tutto ocularmentesi vede nella Tavola di detto Mattone segnata num. 2. delineata, ed impressa colla maggior fedeltà, accuratezza, e mosura. 6. Si deve inoltre riflettere, che il detto quadrato nel Mattone non è già disegnato con semplici linee, o pure inciso con punta, o taglio di ferro, ma quasi naturalmente fondo, ed incavato a guisa di piccola casella. Così anco le lettere in esso chiuse non hanno segno alcuno d'incisione, argomento ad ogn'uno evidente, che detto quadrato, e sue interne lettere erano già ivi esistenti, e dall'Artefice impresse allorchè la terra era ancor cruda, al modo stesso, che s'imprimerebbe un sigillo nella morbida cera. Al contrario l'Epigrafe, o sia Iscrizione di San Lanno ocularmente si vede essere stata incisa con ferro nel Mattone già cotto, come apertamente in quasi ogni lettera lo dimostrano le continue irregolari sfregiature, ed ineguali segni, e sconci sì del ferro, che della mano, che lo regolava, senz'alcuna maestria, diligenza, ed esattezza; dalle quali cose tutte si deve onninamente conchiudere, che la controversa Sigla, o siano le dette tre lettere (E. P. S.) non hanno connessione alcuna colla Epigrafe, o sia Iscrizione di S. Lanno trovandosi ivi impressa a fine, oggetto, e significazione del tutto diversa dalla medesima Iscrizione, e perciò in niun conto riferibile al nostro S. Martire Lanno. 7. Io non dubito punto, che se l'eruditissimo Padre Mamacchi avesse dovuto scrivere su detta Sigla fuor della circostanza della intrapresa difesa per la maggiore antichità dell'Episcopio di Orta, non dubito, dico, che stante la sua somma pratica nella materia lapidaria, colle riflessioni, e ragioni sin quì riferite, che dal medesimo potevano mettersi in maggior luce, averebbe di molto illustrata, anzi tolto ogni dubbio sulla presente controversia; ma la sopradetta circostanza, l'accidentale combinazione delle tre lettere della nostra Sigla, che qualora siano senza punti, e siano altresì poste in convenevoli casi, e luoghi, nelle Lapidi Cristiane, possono, anzi molte volte debbono interpretarsi per Episcopus, fecero sì, che o poco, o niente riflettendo alle ragioni di sopra esposte, con replicate stampe di proposte, risposte, e repliche, più tosto, che restar dilucidata la suddetta Sigla, e rimasta sempre più involta in foltissime tenebre, benchè per altro sia cosa di sua natura semplice, e chiara, qualor si prenda, come è evidente per segno, o sia sigillo della Figulina. 8. Trovo, che questa stessa interpretazione, da me sin quì coltivata, fu, come sopra accennai, altresì affacciata dagli oppositori del medesimo Mamacchi, ma si debolmente, che, appena accennatala, l'abbandonarono, e altrove rivolsero i loro passi; Quindi il Mamacchi, infingendosi di non sentirne la forza, destramente la derise, e la degnò di si debole risposta, che certamente non sembra parto di suo talento. Alla medesima, interrogando, o più tosto deridendo i suoi avversari, così prende a rispondere (I): Igitur in lateritia Tabula, in qua esset Martyris nomen, tempore persecutionis, Figulinae signum quis umquam figulorum posuisset: Quasi che, chiunque asserisca, esser detta Sigla segno, e sigillo della Figulina, affermi con ciò che l'Artefice abbia appostatamente fabbricato detto Mattone con scienza, consenso, preventivo avviso, ed approvazione, che il medesimo si destinava a ricevere l'iscrizione, ed il nome di un S. Martire. Replica a mio parere affatto inefficace: Giacchè ogn'uno sa, ed intende, che l'Artefice pone il Sigillo indistintamente in tutti i suoi lavori, quali uscendo dalla sua Fabbrica, nè sà, nè cura sapere, a che uso si destinino dai compratori. Poteva dunque, siccome è cosa probabilissima, il nostro Mattone essere uscito anco dalla Fabbrica di qualche Artefice gentile, portando impressa la sua solita Sigla, e che indi comprato da pio Cristiano senza che il sapesse l'Artefice, incidesse in esso la surriferita Iscrizione. Nè ciò certamente, anco scoperto, portar poteva pericolo, o nocumento alcuno all'innocente Fabbricatore. (I) Antirresi pag. 7. 9. Per non tediar di soverchio i lettori conchiudo finalmente, esser certo, che i Periti di simili Mattoni convengono a credere, che simili Sigle sono non altro, che segni, e sigilli delle Figuline: Che il Boldetti pratichissimo di tali materie ne forma su ciò un Canone Generale, onde non si vada a prendere abbaglio: Che il celebre Fabretti esattissimo raccoglitore, ed illustratore di tali Mattoni, Tegole, e Figuline, a disinganno di ogn'uno, ha riempito un intero libro di simili esempi. E certo altresì, che il Reverendissimo P. Mamacchi in tutta la sua difesa per l'Episcopio di Orta, ha sempre avuto per le mani li detti Autori, de' quali non solo mostra singolarissima stima, ma di più, spesso, per non dire ad ogni passo, ne cita i loro Testi, e pure in questa loro costante opinione, nè pur per ombra gli è caduto in pensiero di confutarli, come per sostenere il suo assunto, sembrava che onninamente dovesse fare. Convien dunque dire, che il Reverendissimo P. Mamacchi, come suol farsi da qualunque ingegnoso Difensore, per non pregiudicar la sua causa, abbia opportunamente scanzate le suddette difficoltà. Che però avendo scritto sulla nostra Sigla ad solam opportunitatem il suo sentimento, e la sua interpretazione datale di Episcopus, presso i giusti discernitori, non merita la menomissima adesione, siccome in fatti non la meritò presso la rispettabilissima Congregazione del Concilio, ove fu discussa, ed agitata la suddetta causa. Prosiegue la
dilucidazione degli C A P O IX. Se S. Lanno sia stato
Martirizzato nella Terra I. CHE il Martirio di S. Lanno sia seguito presso la Terra di Bassanello, anzi pochi passi lontano dalla medesima da veruno, che io sappia, è stato sino ad ora contrastato, o messo in dubbio. Inutile quindi sembrar potrebbe la presente discussione. Ma siccome negli Atti del Santo Martire, si enuncia, che il detto Martirio seguì, presso il Lago Vadimone, vicino alla Terra di Bassanello (I), e dall'altra parte tuttora gli eruditi controvertono, dove precisamente esistesse questo celebre Lago (2). Una tale espressione potrebbe suscitare qualche scrupolo negli animi dei riflessivi, circa il luogo preciso del predetto Martirio. Che però non credo affatto inutile una qualche immorazione su questo punto, che se non altro servirà a sgombrare con maggior facilità qualunque minima esitazione.
(I)
Vedo sopra cap. 3. 2. Altro è dunque il cercare se il Martirio di cui si tratta, sia seguito presso la Terra di Bassanello: Altro assai diverso, se realmente quel tanto celebrato nella Storia Romana Lago Vadimone esistesse nel Territorio di detta Terra. Sono cose queste tanto fra loro disparate, che senza difficoltà l'una può stare senza l'altra; onde è, che se questa ultima si enunci con assertiva ancorchè falsa, l'altra da se benissimo si rimane onninamente vera. Concedendosi ancora alla maggioranza di erudizione, il detto Lago Vadimone nella sua celebre denominazione, esser'egli esistito altrove, non indi seguirebbe, che il Martirio di S. Lanno non sia accaduto nella Terra di Bassanello, o suo Territorio, presso le vicinanze del certissimo antico suo Lago. Quale, o avesse la reale denominazione di Vadimone, secondo molti, ovvero soltanto la similitudinaria, secondo altri in fra gli eruditi, niente ciò pregiudica all'identità del Luogo del Martirio del nostro Santo; e l'equivocazione del Vocabolo primario in secondario, diviene puramente verbale, ed in niun conto sostanziale. Tanto più, che altronde avendo prove, ed argomenti innegabili, che ci confermano tal verità, possiamo, senza nocuramento all'intento, prescindere affatto dalla incidente questione del detto Lago, o sia la sua celebre denominazione. Ma se non vogliamo mostraci privi di senso, e di raziocinio dobbiamo tener per certo, un fatto, che ci si presenta per indubitabile, dovunque per altra parte ci rivolgiamo. 3. Certo appunto, ed indubitabile ce lo rappresentano; Primo la comune, ed universale persuasione non solo degli abitanti di Bassanello tramandata mai sempre da generazione in generazione, ma eziandio del mondo Cristiano, che con qualche premura ha cercato erudirsi de' luoghi, de' tempi, e delle geste dei SS. Martiri; la quale unanime persuasione non ha giammai variato in quindici continuati Secoli; Secondo una Cappella eretta a monumento perpetuo nel preciso luogo del seguito Martirio distante non più che circa due cento passi dalla detta Terra (*); Terzo l'antichissimo Sepolcro tutt'ora esistente, e visibile tra le mura Castellane di detto Luogo, ove il S. Martire nel naturale suo colligamento, ha riposato per tredici Secoli, dell'anno, cioè, 303. tempo del suo Martirio, sino all'anno 1628. in cui fu scoperto, e rimosso dal detto Sepolcro, per riporlo in più decente, ed onorato luogo (I); Quarto dal sangue congelato, e misto con terra, ritrovato nel detto suo Sepolcro, segno evidente, che il nostro Martire fu ivi riposto mentre ancora le sue ferite erano grondandi di sangue, il che fa una chiarissima prova del suo Martirio ivi seguito (2); Quinto finalmente, il che solo basta al nostro intento, che questa verità, in tanti Secoli, non è stata mai smentita da veruno. Argomenti son questi, che non ci lasciano neppure ombra da dubitare, che il suo Martirio sia sicuramente seguito presso la Terra di Bassanello.
(*) Dall'antichità di questa
Cappella. Vedi il dettaglio della Vita par. 3. §. 3. num. 4. 4. Che poi l'antichissima tradizione seguitata dall'estensore degli Atti del suo Martirio, abbia asserito essere il detto suo Martirio seguito presso il Lago Vadimone vicino alla Terra di Bassanello, ciò prova soltanto che sin da tempo immemorabile, vi era cotesta popolare denominazione innegabilmente certissima, ancorchè si ammetta non assistita dalla denominazione Istorica. Sebbene, che sia in fatto assistita, l'anno in appresso, scortati da sodissimi fondamenti, univocamente opinato tanti valenti Scrittori, de' quali ho fatto di sopra onorata menzione (I). Qual'ora per altro questa opinione, di essere, cioè, fondata sulla verità Istorica, non regesse al martello della più fina critica, ciò non pregiudicarebbe punto alla suddetta verità del Martirio seguito presso la Terra di Bassanello, la quale, essendo, per tante altre parti, evidente, non ci lascia alcun luogo dubitarne. (I) Cap. I. num. 9. e II. C A P O X. Della età del Santo Martire. I. GLi Atti Ortani descrivono l'Età del nostro Santo coll'espressione di Adolescens (I). Questa parola deriva sicuramente dal verbo latino Adolesco, che altro propriamente non significa, che andar tutt'ora crescendo nella età (2). Le ossa del S. Martire, come sopra accennai, non lo dimostrano, che di freschissima età. Li quadri delle due Cappelle, come altresì le più antiche Immagini, e la non mai interrotta tradizione di più Secoli, lo hanno sempre descritto, effigiato, e tramandato per un fresco giovanetto di circa anni diciotto, e tale tutt'ora lo credono, e rappresentato. Questa si antica opinione, non trovandola nè in se stessa inverisimile, nè repugnante ad alcun punto di Storia, molto meno alla ragione, sembrami, che senza difficoltà alcuna debba credersi, ed ammettersi; E che anzi temerità somma sarebbe il discostarsene, e abbandonarla, senza un gravissimo fondamento.
(I) Bolland. tom. 2. f. 49. 2. Nè mi si opponga, che siccome gli Atti Ortani si trovano equivocati nel Nome del S. Martire, e nel Nome dell'Imperatore, sotto cui patì il Martirio, come di sopra si è dimostrato, così potrebbero essere equivocati, anco nella età del medesimo Santo, tanto più che l'Estensore ha dovuto riportarsi, e prestar fede alla sempre confusa, e varia tradizione. Al che rispondo. Che quanto è vero, che il Volgo col passare de' Secoli può dimenticare, confondere, ed anco del tutto variare o i nomi, o i punti istorici, che col semplice suono della Voce si tramandano alle Orecchie; altrettanto è certo, che ciò non può succedere facilmente in quelle cose, che alla posterità si tramandano per mezzo o di simulacri, o di pitture, o di altri simili segni; giacchè essendo questi sempre permanenti, e visibili agli occhi de' riguardanti, per indispensabile necessità ad essi ricordano, ed in essi mantengono la memoria sempre viva, pura, ed esatta dei fatti quanto si voglia Antichi. Sicchè se il nostro Santo, nei suoi ritratti, e immagini è stato sempre da generazione in generazione rappresentato, ed espresso per fresco giovanetto, non vi ha motivo ragionevole à doverlo oggi credere diversamente, e a dover correggere i vetusti di lui Atti, che tale ce lo descrivono. 3. Contro sì ben fondata persuasione nulla conchiuderebbe, chi volesse opporre la misura presa del Sagro Corpo, nell'atto del suo ritrovamento, che enunciasi di palmi sei, e mezzo circa di lunghezza (I), quasi che detta misura sia indizio di età assai più provetta. In primo luogo, una tal misura non è sproporzionta all'età di anni dieciotto, trovandosi, e noi stessi bene spesso vedendo giovanetti di tale età, che detta misura anco sorpassano. In oltre, si deve riflettere, che detta misura fu presa quando il Corpo di San Lanno era già ridotto a semplici ossa, val dire, quando per il naturale rilassamento delle congiunture, si era dovuto di molto estendere, ed allungare, sicchè la detta misura per nessuna parte può pregiudicare alla ferma, ed antica persuasione della freschissima giovanezza del Santo Martire. 4. Meno ostarebbe, chi opponesse, che rappresentandosi il S. Martire negli Atti suoi per banditore della Fede, e Legge di Gesù Cristo, ciò non possa combinarsi in un giovanetto si tenero, massimamente Secolare, e forse anco creduto Soldato di professione, e che tale officio, essendo più proprio, e conveniente ad un provetto Ecclesiastico, perciò appunto, si renda più verisimile l'opinione del sopra citato Mamacchi, che opportunamente lo riveste della Dignità Vescovile, onde anco in questa parte si debbano credere equivocati gli Atti Ortani, circa l'asserita giovanezza del Santo Martire. Ho di sopra bastatamente dimostrato a quante difficoltà, vada incontro la detta opinione del Reverendissimo Mamacchi, onde non debba in verun conto abbracciarsi. Che poi e laici, ed anco teneri giovanetti siano stati banditori della Fede, e Legge di Gesù Cristo, massimamente nei primi Secoli della Chiesa, la Storia Ecclesiastica ce ne somministra tanti esempj, che troppo lungo sarebbe il riferirli tutti. basti soltanto accennarne qualcheduno; ed i primi, che recherò, siano i Santi semplicemente Secolari. (I) Boldett. pag. 198. 5. S. Giustino Filosofo Martirizzato in Roma sotto Marco Aurelio, era laico, e predicava la Fede di Gesù Cristo, come rilevasi dagli Atti suoi (I). Di fatto S. Evolpisto uno de' suoi compagni interrogato dal Prefetto Rustico, se era stato fatto Cristiano dalla predicazione di Giustino, rispose, che con sommo piacere aveva inteso gl'insegnamenti di Giustino, ma che per altro aveva imparato ad essere Cristiano dai suoi Genitori (2). Nella celebre lettera delle Chiese di Vienna, e di Lione, che si crede parto di Sant'Ireneo, sul Martirio di S. Potino Vescovo, e suoi Compagni riportata al num. I3. dell'edizione del P. Ruinart si legge la stessa predicazione di un certo Alessandro laico, e medico di professione (3). Altrettanto trovasi negli Atti dei Santi Luciano, e Marciano, non sono laici, ma stati prima ancora Maghi martirizzati circa la metà del secolo terzo, sotto Decio (4). Negli Atti di S. Genesio commediante convertito, e battezzato nel teatro, e stando tutt'ora fra le scene, ov'era presente lo stesso Diocleziano, si narra una simile predicazione (5). Lo stesso leggesi negli Atti di S. Maurizio martirizzato colla sua Leggione di sei mila, e sei cento Soldati da lui comandati, quali Atti furono scritti da S. Eucherio Vescovo di Lione, e negli Atti di S. Teodoto bettoliere di professione, e di tanti, e tanti altri laici, che per brevità si tralasciano.
(I) Si quis ad me venire
voluit communicavi cum illo veritatis doctrinam. 6. Non mancano altresì esempj di Santi Secolari, e insieme teneri giovanetti, che si distinsero nella stessa predicazione. Tale negli suoi Atti ci si descrive S. Vittore giovane nobilissimo (I). Tali negli Atti loro ci si rappresentano li Santi, e nobili giovanetti fratelli Rogaziano, e Donaziano; a' quali, per non più allungarmi, possono aggiungersi i Santi Giovanetti Venanzio, Agapito, e tra le stesse tenere Verginelle meritatamente si novera l'inclita, e sempre ammirabile Santa Rosa, ornamento, e gloria somma della nobilissima Città di Viterbo, della quale si narra, che appena arrivati all'età di dieci anni colle Prediche, convertì molti Eretici, che in quei calamitosi tempi infettavano vari Regni della S. Chiesa, ed anco le Provincie Pontificie, e singolarmente quella detta il Patrimonio di S. Pietro, di cui è capo la detta Città di Viterbo, resi detti Eretici baldanzosi dalla protezzione dell'Imperatore Federico II. capitale inimico sì della Santa Chiesa, che dei Romani Pontefici (2).
(I) Invincibilis sese in
medium Victor opposuit, singulis noctibus Sanctorum castra sollicitè
circumiens, & per Domos singulas ad amorem aeteruae virae, & contemptum 7. E poichè a detto particolare oggetto ho dovuto far menzione della gloriosa Verginella S. Rosa, non voglio in quest'occasione defraudare la Terra di Bassanello di un pregio ben ragguardevole, derivatogli dalla dimora, che nelle sue contrade fece sicuramente la detta Santa. Sebbene, per quanto io sappia, nessuno dei Scrittori della Santa fa di ciò menzione, io credo poterne avere una più che sufficiente prova per asserirla. Sono tutt'ora celebri le due sanguinolenti fazioni dei Guelfi, e dei Gebellini, che nei tempi di detta Santa infierivano, aderendo a questi, come infetti di eresia alla parte dell'Imperatore Federico, e difendendo quelli le parti Pontificie. Fra le Città, che seguirono il partito del detto Imperadore, di molto si singolarizò la Città di Viterbo Patria di S. Rosa, ove per conseguenza la Santa Verginella ebbe occasione di esercitare il suo zelo, ed ardente amore, che portava a Gesù Cristo nella conversione di moltissimi Eretici. Mal soffrendosi ciò dagl'inimici della Chiesa, procurarono, ed ottennero, che la Santa fosse esiliata da Viterbo sua patria. Partì dunque la Serva di Dio unitamente ai suoi afflitti genitori, e salendo la vicina Montagna in tempo d'Inverno, dopo gran stento, arrivò alla Terra di Soriano Feudo in oggi ben ragguardevole dell'Eccellentissima Casa Albani, ove dimorò per un'intero anno, cioè dal principio dell'1250., sino a Decembre dello stesso anno, e quivi fu, che alli 5. di detto Decembre, giorno di S. Niccolò, con ispirito profetico, predisse l'imminente morte di Federico, e la prossima pace della Chiesa, cose tutte che appuntino si avverarono, mentre la Santa già partita da Soriano, si ritrovava in Vitorchiano luogo, sole quattro miglia, lontano dalla sua Patria, ove in pochi giorni, che si trattenne operò quei stupendi prodigi, che si narrano nella sua Vita. I raccoglitori delle sue geste fanno forse soltanto menzione di detti due luoghi come quelli, che più si distinsero o per la lunga di lei dimora, o per li singolari miracoli ivi operati. I Processi per altro della sua Causa, ci accennano soltanto in generale, che esiliata da Viterbo si rifugiò nei luoghi circonvicini (I). (I) Ibid. : Qua de causa ad vicina oppida venit. 8. Poco lungi dalle falde della Montagna, ove stà situata la detta Terra di Soriano, nella confinante pianura trovasi appunto la Terra di Bassanello, contermina con Soriano, e distante non più che sette miglia. In una Vallicella di detta pianura esiste tutt'ora un antichissima Cella, che da tradizione in tradizione si è sempre chiamata, e chiamasi tuttavia Cella di S. Rosa, e si è mantenuta, e si mantiene vegeta la memoria, che ivi si rifugiasse per qualche tempo la Santa Verginella. Questa non mai interrotta tradizione ha per me tal forza, che non sembrami temerità alcuna se asserisco, che la Santa, per qualche ragionevole motivo, da Soriano scendendo nella contermina pianura, si arrestasse per qualche breve tempo nel Territorio di Bassanello. 9. A ciò credere ed asserire mi muovono le seguenti riflessioni. Avendo la Santa dimorato in Soriano per un'intero anno, non dubito, che il suo infuocato Zelo si esercitasse anco ivi incontrasse qualche momentanea persecuzione, onde necessitata si rifugiasse nel confinante Territorio di Bassanello, da dove poi, placati gli animi, e richiamata si restituisse in Soriano. Qualora poi non si volesse ciò supporre, potè la Santa estendere il suo infuocato zelo anco alla Terra di Bassanello impegnata forse anc'essa nel perverso partito dei Gebellini, il che mi si rende anco più probabile, nel vedere che la sua dimora la fece pià tosto nella Campagna, che nell'abitato di Bassanello. Finalmente un monumento tutt'ora esistente della sua così chiamata Cella, una tradizione non mai interrotta, che contro se non ha ripugnanza alcuna, la testimonianza dei processi della sua Causa, che affermano essersi rifugiata non già in uno, o in due, ma in generale nei luoghi circonvicini a Viterbo, mi fanno tener per certa una tradizione sì ben fondata. I0. L'aver voluto dar conto della predicazione solita farsi dai fervorosi Cristiani di qualunque età, sesso, e condizione, singolarmente nei primi Secoli del Cristianesimo, mi ha dato occasione di alquanto prolungarmi in detta estranea disgressione. Ma ritornando in materia, deve riflettersi seriamente, che la predicazione di cui si tratta non deve già prendersi nell'odierno nostro senso volgare, con cui sogliamo a dì nostri intendere la pubblicazione della parola di Dio, o dai sagri Pergami, o nelle pubbliche adunanze, o con quella libertà evangelica, che fra noi usar vediamo. Non erano allora nè tempi, nè circostanze a ciò adattate, ed un tal modo averebbe più tosto apportato danno, che utile alla propagazione della fede di Gesù Cristo. Deve dunque intendersi di una predicazione non clamorosa, ma prudente, circospetta, e ristretta trà i famigliari colloqui, coi quali, i fervorosi Cristiani, e quei particolarmente, che erano da Dio prescelti, ed inspirati, illuminavano le accecate menti dei Gentili, con frequenti e reiterati ammaestramenti, circa le verità e misteri della nostra S. Religione. Simile aconomia fu tenuta anco dai Santi Apostoli allorchè si accinsero ad illuminare l'universo mondo; ed in tal modo appunto, nei primi Secoli predicavano le Donne adulte, le tenere Verginelle, i Giovanetti, i Soldati, i Bettolieri, i Commedianti, e quanti erano investiti dal vero zelo della gloria di Gesù Cristo. Che anzi sappiamo di certo, che non in altra maniera s'introdusse la fede di Gesù Cristo trà i Goti, ed altri Barbari, che per le private esortazioni, e prediche, che facevano i Cristiani tenuti schiavi nelle loro Terre. E tale appunto dobbiamo immaginarci la predicazione del nostro S. Martire Lanno, della quale si fa menzione negli Atti suoi, la quale, come ognun vede, niente affatto pregiudicar può all'asserita di lui giovanezza. II. Forse qualcuno dall'essersi trovata nell'antico suo Sepolcro una Lapide di palmi otto di larghezza effigiata con palme, e fiori (I), volendo argomentare dall'uso de' nostri tempi, che, pur troppo, suol decorare con serti di fiori la sepoltura dei freschi giovanetti defonti, potrebbe anco da ciò formare un altro indizio della giovanezza del medesimo Santo. Ma siccome questo argomento sarebbe per me molto equivoco per le ragioni, che esporrò nella seguente nota, così volentieri la tralascio, bastando al mio intento quanto di sopra troppo forse a lungo ho accenna to (*) E 2
(I) Boldet. Osserv. lib. 2.
cap. 30. f. I46. C A P O XI. Se il S. Martire
Lanno debba credersi fratello I. Non facendosi una più che seria riflessione, a prima vista, sembra certamente, che agli Atti Ortani, ci descrivano il nostro Santo qual fratello di sangue dei SS. Martiri Valentino, Rutilio, Florentino, Ilario, e Felicissima. Di fatto abbracciando tale apparente senso Niccolò Brauzio nel suo Martirologio Poetico ci lasciò scritto : quinque coronandos Frates prior ipse relinquens, Martyrio clarus Landus in astra migrat : Lo stesso senso fu altresì abbracciato dal Ferrari, dal Florentino, e da altri, che scrissero prima dello scoprimento del noto Mattone, ed Iscrizione di sopra riportata. Fissato un tal sentimento, si trovarono in appresso non poco imbarazzati nel voler conciliare gli Atti del nostro Martire,.......... Il Libro è in Corso di Pubblicazione
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